Il saluto del romagnolo

Piazza-Saffi-foto-di-Renzo-Zilio

Il tramonto su Piazza Saffi a Forlì, mentre si torna a casa morsicando allegramente una piada col salame (rigorosamente di mora romagnola!). Mi viene in mente che – ne parlavo con la Rossa poco fa – vi avrei voluto salutare tutti, ma proprio tutti, solo che lo vorrei fare come farebbe un perfetto romagnolo. Beh, in realtà è un’abitudine che ho riscontrato sui forlivesi miei concittadini, ma basta alzare un po’ l’età media e te lo trovi dappertutto. Lui, l’inimitabile, l’immarcescibile “Saluto del romagnolo”.

Il romagnolo ti vede dall’altra parte della strada e si blocca stringendo gli occhi come dire “an veg un caz, o t’ci propri te?” (traduzione per marchigiani: non vedo nulla, o sei proprio tu?). Quando s’accorge che sì, sono io, sono io da quando son nato e stringi mo’ e caz che t’vu, ma sono io, allarga le braccia e ti viene incontro. E tu dentro di te pensi: quanto affetto, che carino! E apri le braccia a tua volta. Di solito ci si incontra a metà strada avvicinandosi non troppo in fretta che fa “fnòcc”, e non troppo lento che fa “t’at dé una mòsa zio prìt?”. Tu sei carico d’affetto e stai per dire ciao. Poi ti rendi conto che stai abbracciando un romagnolo e parte lui.

“Mo Nero! Mo T’ci propri te boia d’e singuleri! Mo t’ci incora a e mond, c’ut avness un chencar?!” Non c’è da prendersela. Il romagnolo è così, pane al pane, piada alla piada, e chèncar al chèncar. E allora tiri fuori il tuo sarcasmo, allenato da anni di giocate sbagliate a marafone, e gli rispondi “ciò, a stasèva bēn fēn a zenc minùd fa, c’un g’nera ‘bsogn d’un chèncar, mo me at voj ben d’instès!”

Il saluto del romagnolo. Ecco, e mentre biascichi queste parole l’amico romagnolo ti può: 1) stringere finchè non vomiti i ciccioli mangiati a Pasqua del 2003; 2) darti delle pacche sulla schiena che neanche ti menasse Nino Fiumana; 3) se è più anziano di te ti dà il “ganascino”, perchè anche se hai 40 anni, una laurea e due figli sei “e su’ burdèl”. Quindi, ragazzi, benvenuti. Di cuore. La tavola è imbandita, e c’abbiam su del rosso che va in gola senza bisogno del Tomtom. E se un v’è vnù un còlp, fasèma che par sta volta l’è mej.

(il Nero)

Post tratto dalla pagina di Facebook “Sa fet a qué?”

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