L’altra mattina mi ha svegliato il mio operatore telefonico. Sì, mi hanno telefonato e una voce guida mi faceva delle domande, ero tentata (molto tentata) di rispondergli come il famoso benzinaio di Cesenatico ma alla fine son stata buona e mi son limitata a riattaccare. Però, vuoi per la settimana che è stata abbastanza difficile, vuoi che mi rompi le balle al sabato mattina che “mè a vleva durmì“, mi è salito un gran nervoso! E allora mi sfogo con voi, abitanti di questo fantastico condomigno (si dice così, son gli altri che sbagliano!) virtuale e voglio parlarvi di un argomento che fa bene al cuore Romagnolo: il motore.
Che ormai l’avete messo tutti via, che il tempo è brutto e iniziano ad arrivare gli sconti nei negozi specializzati e voi vi comprate, per sparagnare, la tuta nuova sperando che a Pasqua vi vada ancora bene. Il motore per il Romagnolo è come il fegato o il cuore, serve per vivere. E smettetela di pensare che fa strano che ne parli una donna, fa strano niente, siamo donne mica invornite! La mia cugina grande aveva un custom una volta e io ho dovuto vendere il mio BMW quando sono emigrata qua in mezzo alla nebbia perchè qui è tutta piana e mi moriva di depressione, quindi il motore non è una roba solo da uomini! Partiamo da una considerazione linguistica, in Romagna si dice il motore.
Se dici con un estero “Ho comparto il motore” lui ti risponde “E come mai non ti hanno dato il telaio, la carena e le gomme?” e qui c’ha un po’ di ragione anche lui. Ma chiamarla moto è così riduttivo e poi, diciamolo, sentire un Romagnolo dire “vado via con la moto” e fa enca un po’ fnoch! In Romagna le strade sembran fatte apposta, c’è il Muraglione, c’è via Maggio, e mille mila raduni dal Mototopa di Durazzanino al famoso e purtroppo famigerato Mototagliatella a Predappio. Vedere la Romagna dal motore è come guardare un’opera d’arte di uno bravo o respirare il profumo del brodo appena fatto. Una volta mi ricordo che andavo sull’E 45 (la buca way per intenderci) e sotto era tutto un tappeto di peschi in fiore, tutto rosa, così bello che un altro po’ mi vien fastidio. E poi hai la possibilità, nella stessa giornata, di andare su in montagna e poi al mare a far l’aperitivo. Qua invece son tutti fissati con l’Harley che per carità e bella ma fa solo un gran rumore. In fondo però li capisco i poveretti, qua è piana come un tagliere e se vuoi fare due curve tocca partire presto la mattina e il paesaggio è tutto a fabbriche di zanzare (le risaie).
Adesso però vi voglio raccontare il mio esame della patente del motore, perchè è davvero una perla.
Ho deciso di prendere la patente che avevo passato da poco il quarto di secolo, ovvero quando me la son potuta permettere. Il mio istruttore era un gran bel figliolo ed era anche molto bravo e simpatico. Il giorno dell’esame arriviamo in motorizzazione, io ero tesa come un corda di violino ma son riuscita a passare le prove coi birilli facendone cadere solo uno. Lui parlava con qualcuno e mi sono accorta che si era incazzato molto. Al momento di partire mi fa “Dì Rossa, io porto in là l’altro che deve far l’esame e l’ingegnera della motorizzazione, te porta in su il motore. Vienimi dietro, dobbiamo andare al Regina Pacis”. Entrano in macchina, io salgo in sella e lui inizia a dare gas…risultato: li perdo alla seconda rotonda. Mi prendo paura, freno un po’ troppo e mi casca il motore e non son più buona di tirarlo su. Viene in mio aiuto un postino (che poi era un mio amico del bar) e riparto. Il problema è che secondo me il Regina Pacis era la chiesa a Porta Schiavonia per cui sono andata là dritta filata e quando sono arrivata non c’era nessuno!
Ero nel panico. Per fortuna ho incontrato il nipote del mio meccanico e gli ho detto “Dì, è questa il Regina Pacis vero???” e lui “Mo no indarlita! Il Regina Pacis è quello dall’altra uscita dei giardini di piazzale della Vittoria”. Un altro po’ svengo. Disperata rimonto in sella e ad una velocità non da esame mi fiondo al vero Regina Pacis ma anche lì non c’è nessuno. Nella mia testa mi son fatta un film assurdo dove venivo denunciata per guida senza patente e furto di motore. E invece ad un certo punto arrivano. L’istruttore scende, mi guarda e mi fa “Scusa Rossa” e io “Scusa gninta sunè. Adesso fai fare l’esame all’altro che a me mi fumano”.
Insomma l’altro fa l’esame e intanto mi raccontano che si erano accorti di avermi persa ma non erano preoccupati perchè tanto erano certi che mi avrebbero trovata al luogo d’incontro e poi avevano fatto tardi perchè eran dovuti passare da scuola guida a prender dei documenti. Io facevo solo sìsì con la testa lasciandoli ignari delle peripezie che mi erano capitate. Vicino alla stazione mi fanno salire sul motore e dar l’esame, mi dicono solo “Torniamo al Regina Pacis”. Do gas e intanto finisco di raccontare al casco tutti i santi mancanti dell’orazione di prima. Arriviamo lì sul viale, a sinistra i giardini, metto la freccia a destra perchè tra 150 mt devo girare, mi avvicino alle strisce pedonali e la vedo! La vecchia! Va a passo speditissimo e cammina dritto, io penso “non deve attraversare” e vado avanti e lei invece con uno scatto felino volta di 90 gradi e mette il piede giù dal marciapiede!!! Io avevo la gomma davanti già sulle strisce quindi ho dato gas e son passata, ma l’istruttore e l’ingegnera si son dovuti fermare. Arrivo, mi fermo e li aspetto.
Arrivano, lui scende e mi fa “Rossa, la vecchia!” io esplodo in un “Ma la vecchia cosa?! Mica ce l’aveva scritto che doveva traversare Dio bono! Cosa faccio l’indovina?! E te che dai gas, e il Regina Pacis che non è dove l’avevo lasciato e adesso la vecchia, a jò capì la sfiga mo accé um pé na masa (ho capito la sfortuna ma così mi sembra troppo)”. In tutto questo l’ingegnera mi guardava divertita e mi fa “Dai va là vieni a firmare sta patente che poi andiamo dal parroco a vedere come ha fatto a spostar la chiesa, invornita!”. Ci siamo messi a ridere e mi hanno anche pagato da bere per farsi perdonare. Adesso ho la patente e non ho più il motore….ma è solo un periodo…ve lo prometto. Intanto sgasate voi per me…..io faccio brum brum con la bocca!
La Rossa
Articolo tratto dalla pagina Facebook “Sa fet a qué”