**driiiin…. driiiin….**
Orberto apre un occhio. “Cesira, arspònd a e telefoni.”
La Cesira sferruzza davanti al camino con gli occhiali sulla punta del naso a mo’ di teleobiettivo. Il punto croce è una roba seria, mica pugnette. Allunga una mano al telefono – non si è mai rassegnata a ‘sti cosi di plastica, per lei il telefono è quello nero di bachelite del ’54 della nonna – e risponde.
“Pronto? …mo ciao Angelina! C’ma stét? Tutto bene?”
Orberto grugnisce. L’Angelina è la sua cognata, e prima di riaddormentarsi riesce a pensare ‘mo ac càz la vòla adès questa?’.
“Orberto? Orberto? Orby?”
“AOH! Sa vùt zio prìt! A s’era qué c’a durmiva!”
“Scoltami, scoltami bene. Viene l’Angelina a mangiare da noi.”
Orberto si siede bene sulla poltrona e sentenzia: “Va bene, ma se tira fuori le carte dei marocchi come l’altra volta ci spezzo un dito”.
“Tarocchi, si dice, tarocchi.”
“Va bè che vengan dal Tarocco o dalla Tunisia l’è precìs. Fanno i maroni.”
“Comunque vengono tra qualche gi…”
Orberto scatta: “Come ‘vengono’? Cosa c’ha, lo sdoppiamento della personalità l’Angelina?”
“Ma no invornito, viene anche Widmer, il suo marito.”
Orberto sente che lo stomaco si sta rivoltando. “Mo chi, quel bagigio sporco e unto? Quello che guida la moti che fa quel gran casino?”
“Sì quello che c’ha ha Anleidèsvison.”
“Mo che maroni, Cesira, zio bagaglio, quello rutta come il leone del cinema e scoreggia che neanche quando butti la pollìna nei campi fa del puzzo così!”
La Cesira sospira. Il marito che fa i maroni per gli invitati è un film già visto: “Scolta Orberto, ci vuol della pazienza. Che poi dopo Rino e la Shamhahnthah se ne hanno a male.”
“Samanta, non ci vuol molto a dirlo, ci riesco anche io che non ho fatto le scuole! SA-MAN-TA. A parte che c’hai un alito che stacca la carta da parati dai muri, Cesira.”
“Sì ma lei ci tiene che si senta l’acca aspirata.”
“Aspirata, no soffiata. E comunque cosa c’entrano i loro figli?”
La Cesira sospira (e due). Se vengono l’Angelina e Widmer, vuoi che non abbia invitato anche Rino e la Shamhanhanthnhathahahtahaahhh?” “Ma boia del singolare, Cesira, a parte che adesso ho capito perchè ho perso tutti i capelli, ma è possibile che t’an t’sté mai zéta? Mo sta zitta, che l’altra volta persino il cane dopo un pomeriggio con loro aveva iniziato a drogarsi!”
“Ah beh non ti preoccuperai mica per la Licia?”
“Cesira, chiamalo ‘il cane’ ti prego. Già è un barboncino e la natura non è stata generosa. In più è invornita come una mosca che sbatte sul vetro, e credo sia la più zoccola di tutto il vicinato. Un altro po’ e la dà anche al gatto.”
La Cesira sospira (e tre). “Ah non preoccuparti, portano anche Agilulfo”.
Orberto fa finta di non capire, poi capisce. “Quella specie di cavallo? Quell’incrocio tra Scubidù e Sansone, il cane delle barzellette della settimana enigmistica? Quella balena abbaiante, quel verro puzzolente, quel…”
“Oh che maroni Orberto.”
***
Orberto si mette il giubotino scamosiato. Guarda la Cesira infarinata dalla testa ai piedi, col grembiulone e la Tuta dell’Inchiavabilità, e nonostante sia sexy in quel momento come un comodino stile impero, ci viene un po’ di gonfiore nei paesi bassi. Le butta una mano nel culo e le dice “Scolta, io vado a prendere il pesce”. La Cesira lo guarda come si guarderebbe un dittatore sudamericano, gli dà un colpo d’anca che lo tira di qui a là, e gli fa “dai mò, valà”. Orberto esce, la Cesira sorride. E poi si ributta a fare la sfoglia, che non c’è un minuto da perdere.
***
Orberto rincasa col carriolo. La lista della Cesira equivale all’alimentazione di un piccolo paese dell’Africa sub-sahariana di un anno intero, e stiamo parlando soltanto del pesce. “Allora, ho preso: le pavarazze, le cozze che Antènore mi ha detto che eran buone, i cefali da fare in t’e fòran, l’inguilla sempre che non sguilli nel lavandino come l’altr’anno, il palombo, le triglie, le zeppie.”
“Hai preso anche il beccalà?”
“Mo si capisce. Son mica invornito. Questo lo facciamo nella gardèla che viene un bisgiù.”
“Ecco adesso poi intanto che io finisco di far le 8 uova di cappelletti per favore me lo pulisci anche, vero.”
“Ziobò Cesira, lo sai che al bar mi aspettano che c’è il torneo di marafone, non posso…”. La Cesira si tira su la gonna. Ha una certa età ma è ancora piacente.
“La vuoi vedere ancora questa?”
Quando tira giù la gonna, Orberto ha già messo su la pentola con le pavarazze.
***
La casa sembra la fucina del dio Vulcano. C’è un umido e un vapore che neanche nella bassa ferrarese. Le zanzare in casa girano con gli antinebbia accesi. Gli omini del logo della Robe di Kappa sulla tuta della Cesira si stanno sventagliando e bevono una Caipiroska alla sugna per riprendersi. Ci sono: vongole e cozze che si stanno schiudendo in pentola come le uova di alien, un mezzo brodetto fatto con il palombo che cerca di uscir fuori, pan grattato per terra che Orberto fatica a tenere l’equilibrio (meno male che in gioventù pattinava), parmigiano sui muri. La piastra è accesa per grigliare le verdure, il brodo è su e la Cesira lo sta schiumando con la ramina. Orberto la guarda e pensa che ci vuol bene alla sua moglie, sì, ma sua sorella l’ammazzerebbe e la darebbe ai baghini e poi chissà se la mangerebbero.
Orberto apre lo sportello sopra al frigorifero e viene sepolto da una montagna di cappelletti in caduta libera. “Scusa Orby, non sapevo dove metterli!”, fa la Cesira mentre si gira e mette una mano sul panetto di burro semidisciolto appoggiato sul lavello. “Neanche io sapevo dove metterlo”, fa Orberto emergendo dalla cascata. “Mo in frigo, no?” risponde seccata la moglie. “E come cazzo si fa che è pieno?”
In effetti quel frigo non è pieno, è obeso. Dentro c’è tanta di quella frutta che così tanta insieme non la vedono neanche gli operai della Santa Rosa quando fanno le confetture. E la verdura. “Cesira! Ma cos’è tutta sta verdura! Vengono a mangiare Bagsbànni e Rogerràbbi?”. La Cesira sospira (e quattro), e si vede perchè il vapore si attorciglia e avviluppa attorno alle sue parole: “che maroni che fai, ce lo vorrai dare un po’ di cazzimpèrio di antipasto no?”
***
Orberto è nel letto. E’ schiantato. Ha lavorato tutto il sabato, ha saltato il torneo di marafone, e in più gli tocca anche subire la cognata e la sua maronosa famiglia. Ripassa il menù, che prevede: cazzimpèrio come antipasto, cappelletti in brodo, passatelli in brodo, lesso con sottaceti di contorno, brodetto di pesce, cefali al forno, frutta, zuppa inglese, caffé, ammazzacaffé, conto, guardi signora manca un’acqua minerale dallo scontrino, fanno 300 euro che fa, concilia, ronf… zzzz….
La Cesira esce fuori dal bagno e Orberto scatta su. Non deve dormire, ha un’ultima sfida da fare. Un’ultima missione da compiere. Trombarsi la moglie. E’ allo stremo – un uomo Romagnolo che aiuta la donna a far da mangiare si stanca più che Superman a mangiare un sufflé di kriptonite – ma ce la deve fare. La moglie si infila sotto le coperte. Ha il pigiama di flanella, gli scarfarotti, la sciarpa di lana e c’ha gli odori più strani del mondo. Latte detergente, sugna che cava le occhiaie, stucco metallico per crepe nel legno e crema per le mani. Però la Cesira è la Cesira, e le si avvicina con l’occhio da cernia. In fin dei conti, ci sarà un motivo se l’ha sposata.
(il Nero)
Tratto dalla pagina Facebook “Sa fet a qué”