Mercoledì 9 luglio 2014, alle ore 21,00, nella chiesa di Sadurano a Castrocaro Terme “Il giorno in cui la notte scese due volte“… per non dimenticare Alberto. Per descrivere la storia di Alberto gli organizzatori dell’evento pubblicano un articolo di Guido Blumir di Repubblica.
«Alberto, niente privacy Forlì, giovedì 5 luglio 2007. Una bellissima serata d’estate. Alberto Mercuriali, 28 anni, agronomo, incensurato. Vicino ai tavoli di un bar di via dell’Appennino, con amici, fa qualche tiro di canna. I giovani non sanno di essere osservati dai militari in borghese del Nucleo operativo e radiomobile di San Martino, a caccia di trafficanti e spacciatori. Procedendo veloci e silenziosi, agguantano il ragazzo e lo incastrano per lo spinello. Lo caricano in macchina e si dirigono verso la sua abitazione, a Castrocaro Terme. Procedono – senza la presenza di un avvocato – a una “perquisizione domiciliare”. La stanza è piena di libri. Ma i militari “non si lasciano incantare da quella parete che sa di cultura. Fiutano ogni centimetro della stanza”, come scriveranno i quotidiani locali, aggiungendo particolari: proprio dalle pagine di un libro, scavate e tagliate a formare un nascondiglio, spunta una piccola quantità di hashish (forse 40 grammi, secondo i carabinieri).
“Il giorno in cui la notte scese due volte” è un libro fantasy, Il regno dell’ombra. “Forse dopo aver fumato l’erba anche il giovane entrava in una dimensione lontana dalla realtà”, commenterà poeticamente il Quotidiano del Nord. Perché intanto i carabinieri, soddisfatti del ritrovamento, non arrestano il giovane, ma lo denunciano per spaccio, promettendogli che non passeranno la notizia alla stampa e suggerendogli anche di non parlarne ai genitori. Alberto non nega il possesso (grave errore secondo gli avvocati: è meglio, in prima battuta, in genere, riservarsi il diritto di non rispondere). Poi parla col fratello minore e decide di non informare il padre e la madre.
Domenica mattina: tutti i quotidiani locali sparano in prima pagina la notizia del clamoroso crimine. Il Resto del Carlino lancia una maxi foto dei carabinieri a tutta pagina, con titolo cubitale “Imbottito di droga”. I pezzi fanno pensare al fermo di un trafficante professionista di medio livello, particolarmente astuto nell’escogitare il trucco del nascondiglio. I militari raccontano ogni cosa in una conferenza stampa con fotografi e tv. Non fanno il nome del ragazzo, ma in un piccolo centro l’identikit (28 anni, agronomo, vive in famiglia) non lascia dubbi. Vedendo i giornali, Alberto resta fulminato. Si sente tradito. “Un ragazzo per cui la parola data e ricevuta ha sempre avuto un grande valore”, racconta il padre, Renzo Mercuriali.
“Posso immaginare come si sia sentito quando ha visto che un patto così importante – il rispetto della privacy anche verso noi genitori – era stato tradito proprio da funzionari dello stato”. Per alcune ore amici e genitori cercano Alberto sul cellulare, senza fortuna. Alberto Mercuriali non risponde, né chiama nessuno. Domenica sera: collega il tubo di scappamento alla macchina, accende il motore e lascia entrare il gas nell’abitacolo. La mattina successiva i genitori lo trovano. Morto. Asfissiato. “I giornali hanno scritto molte bugie” “Non ci siamo accorti della perquisizione e Alberto non ci ha detto nulla”, dice Renzo. “La domenica non siamo passati dal paese e non abbiamo visto i quotidiani. Lunedì mattina eravamo al lavoro e ci hanno chiamato dall’ufficio di nostro figlio: “Stamattina Alberto non è venuto. Dov’è?”. Siamo tornati a casa e lo abbiamo cercato ovunque. Poi siamo andati al podere e abbiamo visto la macchina, con Alberto dentro. Non respirava più”. “I giornali hanno scritto molte bugie”, ricorda la mamma, Cristina. “Era stato nostro figlio, all’inizio della perquisizione, a consegnare l’hashish ai carabinieri. Noi dormivamo di sotto, non ci siamo accorti di niente. Il ragazzo non voleva che il trambusto ci svegliasse, e si è preso le sue responsabilità, apertamente, dando subito la droga ai carabinieri. Gli articoli sono arrivati come una pugnalata alle spalle. I militari, contro i patti, avevano tenuto una conferenza stampa senza avvertirci.
Se lo avessero fatto, Alberto sarebbe ancora vivo. I responsabili di questa tragedia devono pagare”. I coniugi Mercuriali hanno presentato un’istanza per accertare la verità sulle cause del suicidio. Parlare con loro è come vedere il film di un dramma così atroce ed evitabile. Hanno tutto in testa. Devono districarsi tra avvocati, giudici e giornalisti. E lo fanno con il massimo di lucidità e di determinazione. Testimoni inascoltati. L’inchiesta è partita. I Mercuriali hanno aspettato per 12 mesi. In tutto questo tempo i magistrati inquirenti non hanno sentito i principali testi. Ovvero: i carabinieri protagonisti della brillante operazione e il responsabile della caserma. Il fratello minore, Diego, che ha parlato con Alberto a caldo: “Quando, in caserma, si era reso conto della gravità della situazione, stava per chiamare un avvocato e avvertire i nostri genitori”. Se lo avesse fatto, tutto si sarebbe svolto diversamente. Ma i carabinieri lo hanno stoppato, dicendogli che se firmava i verbali con l’assunzione di responsabilità, la cosa si sarebbe svolta in modo indolore. Loro non avrebbero informato la stampa e neanche i genitori dell’accaduto.
Di fronte a questa promessa, Alberto si è convinto. Non è stato sentito il cronista di nera Maurizio Burnacci, del Resto del Carlino: “Io non ho inventato niente. Il romanzo (sul libro imbottito di droga ecc., ndr) l’ha creato qualcun altro”. Cioè i carabinieri: questo il succo delle dichiarazioni del giornalista ai colleghi Lisa Tormena e Matteo Lolletti, registrate nel documentario Il giorno in cui la notte scese due volte. Non sono stati sentiti nemmeno i numerosi colleghi e fotografi presenti all’incontro stampa. “Eppure è chiaro”, spiega la signora Mercuriali, “che quello è un passaggio chiave. È stata quella bugia a essere decisiva per la sparata in prima pagina, come ammettono gli stessi giornalisti autori dei pezzi. Ed è stata quella prima pagina a spingere nostro figlio alla disperazione e al suicidio”.
Sia i carabinieri sia i cronisti avrebbero potuto salvare la vita di Alberto in quelle ore. I carabinieri avrebbero potuto telefonare al ragazzo e ai genitori, informandoli del fatto che avevano cambiato idea e che avrebbero tenuto una conferenza stampa. I giornalisti poi avevano a disposizione tutto il giorno per trovare il ragazzo (l’identikit era trasparente) e sentire la sua versione, quelle dei parenti e degli amici. Il minimo sindacale. E probabilmente la tragedia sarebbe stata evitata. Tutti questi testimoni non sono stati sentiti e il gup ha deciso una prima archiviazione. Ma il caso è troppo complesso e non finisce qui. Anche il pm ha sottolineato che ci sono state delle scorrettezze, perlomeno sul piano deontologico. I Mercuriali hanno fatto partire una denuncia per diffamazione contro tutti gli autori degli articoli e contro il Resto del Carlino. Sta andando avanti. Gli “Amici di Alberto” hanno aperto un sito e organizzato decine di convegni e manifestazioni con grande solidarietà della popolazione e di giornalisti ed esperti di media».