L’abbazia di San Mercuriale è senza dubbio la chiesa più prestigiosa di Forlì, ricca di storia e di tradizioni, esempio di romanico lombardo impreziosito da un elegante ed alto campanile, uno dei più grandi nel suo genere.
Come tante altre chiese anche Abbazia di San Mercuriale ha subito nel corso della storia diverse trasformazioni, alcune delle quali talmente importanti da poter essere considerate delle riedificazioni. Le origini della chiesa sono incerte e confuse e sono probabilmente databili al quinto secolo dopo Cristo, e vengono fatte risalire a San Mercuriale, primo Vescovo di Forlì, a cui è stata in seguito dedicata.
Non deve meravigliare l’incertezza sull’origine della chiesa; in quei tempi infatti la costruzione di una piccola chiesetta, edificata fuori dalle mura della città, non veniva certo menzionata nelle cronache urbane, sempre molto scarne.
La prima chiesa comunque non ebbe molta fortuna e nel 1173, in conseguenza di uno dei tanti scontri fra guelfi e ghibellini che insanguinavano la Romagna, fu completamente distrutta da un incendio, così come altri edifici forlivesi.
Sulle rovine della chiesa incendiata venne però riedificata una nuova chiesa, in stile romanico, molto più grande della precedente, a tre navate che si concludevano con tre absidi, e con il presbiterio che si ergeva sopra una cripta, come spesso accadeva nelle chiese di quel periodo. Un successivo crollo del presbiterio distrusse però la cripta che non fu più ricostruita.
Tale chiesa, già intitolata a San Mercuriale, faceva parte del complesso abbaziale dei Benedettini di Vallombrosa che, grazie alle diverse e ricche donazioni, godevano di un patrimonio considerevole. La chiesa fu terminata intorno al 1180, assieme al bel campanile alto più di 70 metri. Tale campanile, verso la fine della seconda guerra mondiale, corse il rischio di essere distrutto dai tedeschi in fuga, che lo avevano già minato, ma si salvò grazie alla tenace insistenza del parroco del tempo, il famoso Don Pippo, ed alla sensibilità del comandante tedesco. Con l’ampliamento della città la chiesa fu inglobata entro la cinta muraria e, davanti ad essa, fu realizzata una grande piazza, utilizzando il terreno che il Comune aveva ottenuto dai monaci dell’abbazia i quali, in tal modo, aumentarono il loro prestigio ed il loro potere. Tale piazza è l’attuale piazza Saffi.
Non vi voglio annoiare raccontando le varie trasformazioni subite dalla chiesa nel corso dei secoli, con l’aggiunta di cappelle, delle volte a crociera sopra le navate laterali e di varie sovrastrutture, molte delle quali eliminate poi da un opportuno restauro a metà del novecento. Merita invece una menzione particolare il bel chiostro rinascimentale, adiacente alla basilica e facente parte del monastero, aperto su due lati in occasione di specifici restauri, con una scelta felice che mette in comunicazione le due piazze sulle quali l’Abbazia di San Mercuriale si affaccia.
Un po’ meno felice fu forse la scelta di introdurre, nella facciata restaurata, un rosone di stile romanico, che nella chiesa originaria però non era presente. Si può quindi parlare, in questo caso, anziché di un restauro conservativo di un restauro “creativo”. Al posto del rosone infatti esisteva una semplice bifora.
L’arrivo di Napoleone a Forlì, a fine settecento, segnò la fine dei monaci e del monastero, coinvolti nell’eliminazione degli ordini religiosi, con relativo esproprio dei beni, che riguardò tutte le città conquistate dalle armate francesi.
Dopo queste notazioni storiche mi pare giusto esaminare questa bella chiesa da un punto di vista formale, confrontandola idealmente anche con la basilica di San Vitale esaminata nel mese scorso. Come tutte le chiese romaniche San Mercuriale ha uno stile semplice e severo. Le mura, spesse e massicce, sono aperte da poche finestre e la luce che entra attraverso il rosone della facciata, creando ombre nette e marcate, esalta la forza plastica dei pilastri che delimitano le navate e dei due arconi che collegano le pareti della navata centrale che viene così divisa in tre ampie campate. La suddivisione in campate spezza, visivamente, la continuità della navata (tipica delle basiliche paleocristiane), trasformando così il percorso verso l’altare in una ideale ricerca della salvezza attraverso tappe graduali che simboleggiano il lavoro quotidiano, visto ora come mezzo di salvazione.
Le navate laterali sono immerse nella penombra, e la bellezza dell’edificio non è data dallo sfavillio dei mosaici e dalla ricchezza dei colori ma dall’armonia delle forme, sapientemente proporzionate, che testimoniano quel senso di concretezza e di forza che caratterizza l’epoca dei comuni e la nascita, con le città, di una nuova classe borghese fatta di artigiani e commercianti che vivevano, e lentamente si arricchivano, col frutto del loro lavoro.
Il portale, sulla facciata, è arricchito da una bellissima lunetta che, nello stile sobrio e severo del tempo, racconta il sogno e l’adorazione dei Magi, attribuita al Maestro dei Mesi, uno scultore di scuola Antelamica, ed è uno dei primi esempi di una iconografia che verrà poi ampiamente sviluppata nei secoli successivi.
Lungo la navata laterale destra ha poi trovato posto il sepolcro rinascimentale di Barbara Manfredi, moglie di Pino III Ordelaffi, miracolosamente scampato alla distruzione della Chiesa di San Biagio, bombardata alla fine della seconda guerra mondiale, che causò la perdita degli straordinari affreschi di Melozzo da Forlì e del suo allievo Palmezzano che decoravano la cappella Feo.
Tre bellissimi dipinti di Marco Palmezzano sono però presenti all’interno di San Mercuriale, uno nella cappella Ferri, uno su un altare laterale ed uno nella ricca ed ampia sacrestia decorata con diverse altre opere d’arte.
Umberto Giordano