La morte di Livio Garzanti, avvenuta a Milano il 13 febbraio all’età di 93 anni, ha fatto ricordare a tutti i mezzi di informazione il suo grande ruolo come editore pubblicando per primo scritti di Pier Paolo Pasolini (Ragazzi di strada) e Paolo Volponi (Memoriale). È stato un grande editore, simbolo di un’epoca in cui i libri si sceglievano e si stampavano con piglio decisionista e artigianale insieme, un padre padrone amato e odiato, e soprattutto un uomo di genio. La sua avventura editoriale si chiuse negli anni Novanta quando cedette la casa editrice in un momento difficile anche se forse non disperato; decisione che probabilmente rimpianse.
Livio Garzanti ha inventato un mondo di libri e di scienza (le sue enciclopedie, soprattutto le “Garzantine”, sono in ogni casa, i suoi autori sono i grandi del secondo dopoguerra, dai già citati Pasolini e Volponi a Beppe Fenoglio, da Carlo Emilio Gadda a Goffredo Parise, da Gina Lagorio (che fu anche la seconda moglie) a Claudio Magris) eppure sembrava non riconoscersi mai del tutto nella nostra società intellettuale o imprenditoriale. Ha scritto il critico e giornalista Mario Baudino sul quotidiano La Stampa che a Livio Garzanti “piaceva decidere da solo e conquistare indifferentemente Truman Capote o i coniugi Golon con le loro popolarissime avventure di “Angelica, la marchesa degli angeli”, Elias Canetti o poeti come Luzi, Caproni; George Steiner o Michael Crichton.
Qualche volta ricevette doni dalla fortuna, come quando Eric Linder, unico e potentissimo agente letterario italiano, gli fece pubblicare “Love Story” (un successo colossale) più che altro per fare un dispetto, disse poi, a un “colosso” dell’editoria. Nel ricordarlo i mezzi di informazione hanno riportato alla luce i legami tra la famiglia Garzanti e Forlì, in primo luogo l’atto di profondo amore che il padre Aldo, al quale si deve l’avvio dell’attività della casa editrice, compì donando alla città nel 1957 la Fondazione omonima o casa per gli artisti, dedicata ai genitori Livio e Maria, lo splendido edificio che ospita fra l’altro l’Hotel della Città et de la Ville, che purtroppo in questo momento sta attraversando un periodo di profonda crisi.
In questa rubrica si darà spazio proprio a Aldo Garzanti nato a Forlì nel 1883 (morirà a S. Pellegrino Terme nel 1961) dove frequentò e si diplomò presso il liceo avendo come docente lo storico Giuseppe Mazzatinti che ebbe un ruolo importante nella sua formazione mentre dal padre Livio, maestro elementare prima a Villagrappa e poi a Forlì nonché combattente garibaldino nel Trentino, acquisì ideali repubblicani. Successivamente Aldo si laureò presso l’Università di Bologna a pieni voti. Nel 1907 intraprese la carriera di insegnante di letteratura svolgendo la propria attività in diversi licei fino ad approdare a quello di Chieri. Contemporaneamente si dedicò agli studi sulle condizioni socio-economiche della Romagna del periodo che va dal 1600 al 1800 indagando, secondo gli insegnamenti di Mazzatinti, su fonti e documenti inediti conservati negli archivi ecclesiastici e notarili, studi e ricerche che ancora oggi nulla hanno perso della loro validità.
Nel 1908 diede alle stampe il libro “Il Comune di Forlì nella prima metà del secolo XVI” che mise in evidenza la conduzione economica, sociale, culturale e politica del territorio evidenziando come allora Forlì fosse una realtà depressa e poco sviluppata, con l’agricoltura che languiva e in balia delle ruberie e delle distruzioni degli eserciti che, attraversando le campagne, “abbattevano alberi, distruggevano messi, incendiavano case; ovunque portavano la desolazione e la rovina”. I ladri, i banditi con le loro ruberie e scorrerie spogliavano a loro volta i contadini e le loro misere terre tanto che nel 1519 parte di quei coloni “non ebbe neppure il coraggio di uscire di casa per seminare!”. E avanti di questo passo. A pensare che nella nota introduttiva al libro Garzanti usa un tono poetico che non fa immaginare tante difficoltà, tanto squallore.
“Forlì, scriveva, giace in una vasta e fertile pianura… fra due piccoli fiumi: l’uno, il Ronco, scorre a levante…, l’altro, denominato Montone, a ponente, toccando le mura. Sopra questo fiume, all’uscire della città, si vedeva un bel ponte di legname… Il Ronco invece si passava in barca e vi si vedevano gli avanzi di un ponte antico…”. Un altro importante studio di Garzanti, che tutt’ora viene costantemente consultato, fu pubblicato sulla rivista “La Romagna”, nel numero di aprile-maggio del 1908, dal titolo “Un Banco Ebreo in Forlì” nel secolo XVI, dove si narra l’atto di cessione di un banco di credito dell’ebreo Vitale agli ebrei Abraam e Gentilomo. “Gli ebrei, vi si legge, che tante persecuzioni subirono da parte di popoli e governi, in Forlì godettero una vita tranquilla, non travagliata da alternative di espulsioni e richiami”. Vi erano ristrettezze di libertà imposte agli ebrei dagli Statuti generali della Città ma venivano tolleranti senza “subire alcuna espulsione”.
“La causa… si deve trovare nella natura agricola del Comune, la quale, avendo impedito il sorgere di un ceto veramente ricco di commercianti ed industriali, aveva reso necessario l’Ebreo banchiere e conseguentemente obbligato il Comune a far buone condizioni a lui e a tutti gli altri Ebrei che quasi alla sua ombra vivevano”. A Forlì esisteva un ghetto “che si trovava nella via la quale porta ancora il nome di Via dei Giudei”, ora via Sara Levi Nathan.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale Aldo Garzanti si arruolò volontario e combatté al fronte con il grado di ufficiale di artiglieria da campagna. Così Aldo Spallicci ricordò un loro incontro durante l’armistizio: “Lo vidi nei pressi di Santa Caterina di Lusiana e mi disse che non se la sentiva di ritornare a fare il professore”. Proposito che mantenne dando una vera e propria svolta alla sua vita. Si trasferì a Milano e iniziò un’attività di carattere commerciale come rappresentante di prodotti chimici alla quale aggiunse “una ben indovinata industria di stampe su tessuti”, in seguito al matrimonio con la figlia di un imprenditore tessile.
Successivamente, preso da “una specie di nostalgia del tempo passato fra libri e pergamene” e guidato da precisi progetti imprenditoriali, in questo consigliato dall’amico Spallicci, in quegli anni al confino a Milano, rilevò nel 1938 la casa editrice dei fratelli Treves, una delle più antiche e famose d’Italia, che stava attraversando un periodo di crisi e che i Treves non potevano più seguire in seguito alla promulgazione delle leggi razziali. Garzanti, che non si era mai iscritto al partito fascista, come ricorda la studiosa Franca Strocchi nel libro curato da Lorenzo Bedeschi e Dino Mengozzi “Personaggi della vita pubblica di Forlì e circondario”, edizioni QuattroVenti snc, Urbino 1996, nel momento in cui assunse la direzione della casa editrice ex Treves, precisamente il 2 gennaio 1939, inviò un telegramma a Mussolini “per propriziarsi i funzionari del ministero e implicitamente della censura”. Il duce lo invitò con sollecitudine a un incontro per il 13 gennaio, ma quando si scoprì che non aveva la tessera del partito l’udienza fu rinviata e, nonostante le reiterate richieste, mai più concessa. I due concittadini si incontrarono l’anno dopo, il 18 aprile 1940, in seguito alle sollecitazioni della federazione fascista di Milano.
Nel dopoguerra Garzanti seppe riorganizzare l’azienda. Di fatto l’acquisto della Treves venne concluso nel 1938 ma la crisi nella quale già versava prima e la guerra poi avevano impedito qualsiasi tentativo di sviluppo. Tutto il grande complesso tipografico al termine del secondo conflitto mondiale era praticamente un ammasso di rovine causate dai bombardamenti aerei. Garzanti con tenacia e fermezza si rimise al lavoro ricostruendolo su nuove e più solide basi con accanto un proprio stabilimento grafico. Dell’attività della casa editrice parlano i cataloghi, mentre va sottolineato il rapporto costante che Aldo ebbe con la città natale e con alcuni personaggi forlivesi.
Di Spallicci, con il quale condivise la matrice ideologica mazziniana, si è già detto, poi ebbe stabili rapporti di amicizia con il democratico avvocato Bruno Angeletti, già presidente nel 1944 del locale Comitato di Liberazione Nazionale. Infine lo legò a Forlì la presenza delle due sorelle, insegnati elementari molto ben volute e considerate. Non a caso, lui vivo, poeti, scrittori e politici romagnoli trovarono spazio presso le edizioni della casa editrice, come Francesco Serantini con “Il fucile di Papa Della Genga” (1948) e “L’osteria del gatto parlante” (1951); Aldo Spallicci con “Biset” (1949), “Poesie in volgare romagnolo” (1961); Rolando Balducci con “Alessandro Balducci e gli albori del socialismo Forlivese” (1954); Pietro Nenni con “Pagine di diario (1947).
La casa editrice concentrò gli interessi soprattutto in campo letterario e poi nei settori della storia, della politica e della scienza. Aldo Garzanti venne nominato cavaliere del lavoro nel 1955 e fu sempre un generoso benefattore sostenendo opere di assistenza e di solidarietà operanti a Milano. Volle lasciare qualcosa di maestoso alla città di Forlì quando fece costruire, con la mediazione di Angeletti, la Fondazione dedicata ai genitori Livio e Maria Garzanti destinata ad ospitare, in un edificio disegnato dall’architetto Giovanni Ponti, un albergo, un ristorante e altre attività economiche che potessero contribuire agli scopi dell’istituzione che erano quelli di ospitare scrittori e artisti in tarda età o giovani di promettente avvenire.
L’inaugurazione avvenne il 12 ottobre 1957; per Forlì si trattò di un giorno memorabile nonostante le acerrime critiche dei forlivesi rivolte al progetto di Ponti e conseguentemente a chi in una situazione dove erano ancora evidenti i segni della distruzione bellica intendeva pensare al solo destino e lavoro degli artisti. In un resoconto per “il Resto del Carlino”, pubblicato il giorno dopo, Luca Goldoni scrisse parole di elogio: “L’ho collaudata proprio questa stamattina, la calda intimità di questa casa. Sono entrato in una stanza e ho trovato una scrivania. Non il tavolino con la specchiera e il centrino ricamato, di tutte le stanze d’albergo di questo mondo, ma una scrivania, capite?”
Il tavolo da lavoro, continuava Goldoni, potrebbe proprio rappresentare lo stemma simbolico di questa, che non è una casa di riposo. “Non voglio degli uomini stanchi, o peggio dei vinti – diceva Garzanti -… voglio gente che lavori, voglio che mi paghino questa solo retta: il lavoro”. Molte le personalità presenti, dell’arte, della cultura, personalità politiche, i congiunti dell’editore, gli amici forlivesi di un tempo. Parlò per primo Aldo Spallicci il quale “evocò le figure dei genitori di Aldo Garzanti, alla cui memoria è dedicata la Fondazione”, il padre Livio garibaldino, maestro elementare che “educò figli e scolari (in ciò assistito dalla moglie Maria) all’amor di Patria e alle più elette virtù civiche”.
“Quando si avvicinò al microfono, Aldo Garzanti… si lasciò vincere dalla commozione…; Garzanti disse poche parole tutte di ringraziamento a quanti lo avevano sostenuto nell’ardua iniziativa”. Fu la volta infine di Orio Vergani, il notissimo scrittore, il quale precisò che “Garzanti aveva affrontato in pieno il problema del lavoro intellettuale; e aveva voluto allontanare l’ombra di una deludente vecchiaia dagli artisti ormai avanti negli anni e aveva voluto assicurare, ai giovani meritevoli, un trampolino in cui prepararsi – senza ogni altra preoccupazione che non fosse quella del lavoro liberamente scelto – ad affrontare la vita…”.
“Dopo le parole di gratitudine che il poeta Stefano Tuscano pronunciò a nome dei suoi tre amici già residenti nella Casa [poi ne verranno molti di più], gli invitati – concludeva Goldoni – furono accompagnati a visitare i locali dell’accogliente edificio…”. Aldo Garzanti ebbe modo di dire di se stesso: “Posso dire d’avere bene compiuta la mia giornata, dapprima coll’avere formato ed educato dei buoni cittadini mazzinianamente a imparare i doveri e poi coll’avere aiutato gli studiosi al tramonto e gli artisti all’inizio della loro carriera a tenere alto il nome di Romagna e quello d’Italia”.
Propose un progetto probabilmente troppo innovativo e all’avanguardia per la Forlì e l’Italia di quel periodo. Oggi resta ben poco di quello che Garzanti volle donare alla città. Gli artisti non sono più ospitati da diversi decenni, alcuni locali del complesso sono sfitti da tempo, il ristorante ha chiuso all’inizio dell’anno, l’albergo sta per fare la stessa fine, la Fondazione ha ridotto l’attività culturale, dopo la presidenza di Angelo Satanassi, a poche e sparute iniziative. Forlì ha indubbiamente un problema in più e da adesso non può più contare sulla disponibilità di Livio Garzanti.
La rubrica Fatti e misfatti di Forlì e della Romagna è a cura di Marco Viroli e Gabriele Zelli