Il 16 novembre 2013 furono gli studenti del Liceo Artistico di Forlì a inaugurare, insieme al sindaco Roberto Balzani, il restaurato monumento a Icaro di piazzale della Vittoria riportato agli antichi splendori grazie al progetto “Ali nuove per la città”. Si trattava di un progetto ideato dal Fondo per la Cultura di Forlì e patrocinato dal Comune di Forlì, dalla Soprintendenza dei Beni Culturali e Architettonici di Ravenna, oltre all’Università di Bologna (Sede di Forlì) e dall’Ufficio Scolastico Regionale, come iniziativa sperimentale con l’intento di favorire la partecipazione e l’avvicinamento di cittadini, imprese, enti e associazioni al patrimonio culturale della città e alla sua valorizzazione.
Nel corso della cerimonia, dopo gli interventi di rito che avevano messo in risalto l’ottimo risultato ottenuto, al momento di svelare il restauro effettuato, il telo con cui era coperta la statua, inzuppato dalla pioggia della notte, in un primo momento non ne volle sapere di calare. Anzi, più ci si accaniva sul telo, più questo si impigliava sulla sommità del monumento. Dopo numerosi tentativi finalmente Icaro si svelò con il candore riconquistato a tutti i cittadini forlivesi e l’incidente del telo impigliato passò in secondo piano.
Un precedente illustre, a questo curioso episodio, avvenne il 6 maggio 1928 quando fu inaugurata la statua della Madonna del Fuoco, ricollocata in piazza Duomo dopo che era stata tolta dalla piazza principale. Questa storia va raccontata a partire dall’inizio.
Il 14 ottobre 1909, in un clima di forte emozione e tensione, si svolsero anche a Forlì le manifestazioni in ricordo dell’anarchico Francisco Ferrer, fucilato il giorno prima a Barcellona. La giornata culminò in un grande comizio in piazza Vittorio Emanuele (l’attuale piazza Saffi), durante il quale il giovane Benito Mussolini (allora direttore del giornale socialista «Lotta di Classe») si espresse con parole di fuoco riguardo “la necessità del sacrificio per redimere l’umanità da tutte le tirannidi, monarchiche e sacerdotali”. In tanti, per protesta, sfilarono davanti al Vescovado.
Poi, di ritorno in piazza, abbatterono le transenne che recingevano il monumento della Madonna del Fuoco, le ammucchiarono e le bruciarono. In breve la colonna fu avvolta da fiamme così alte da lambire la statua della Vergine posta sulla sommità. terminati i tumulti, l’amministrazione comunale dispose che, per motivi di sicurezza, la statua venisse calata e la colonna rimossa. La mattina del 21 ottobre, sotto il controllo del sindaco Giuseppe Gaudenzi, la scultura della Madonna fu trasferita presso la Chiesa di San Filippo Neri, allora di proprietà comunale e utilizzata come deposito. Si verificò in pochi giorni quello che i repubblicani, i socialisti, gli anarchici e gli anticlericali avevano chiesto a gran voce a partire dal 1899 quando, in Consiglio Comunale, il repubblicano Andrea Morgagni e il socialista Alessandro Balducci avevano avanzato la proposta di eliminare in città tutti i simboli della dominazione papale.
Nel febbraio del 1928 Forlì si preparava a festeggiare il quinto centenario del miracolo della Madonna del Fuoco. Quale occasione migliore poteva esserci per inaugurare a fianco del Duomo l’antica colonna ripristinata, visto che in piazza Saffi nel 1921 era stato collocato il monumento ad Aurelio Saffi? Il progetto e la direzione dei lavori per la ricollocazione della statua furono affidati all’ingegnere Gino Cervesi, mentre l’intervento fu eseguito dalla ditta Benini. Benito Mussolini, che nel frattempo era divenuto presidente del Consiglio dei Ministri, non fu presente alla cerimonia.
Il Duce aveva assunto l’alto patronato nel comitato organizzatore dell’evento di cui principali promotori furono don Tommaso Nediani e monsignor Adamo Pasini. Non si dimentichi che, diciannove anni prima, era stato proprio Mussolini con le parole che aveva pronunciato durante il comizio a scatenare la furia popolare contro quel simbolo “clericale e reazionario”. Da quel giorno però molte cose erano cambiate; il Duce, che da giovane era stato socialista e rivoluzionario, si stava forse preparando alla firma dei Patti Lateranensi, gli accordi di mutuo riconoscimento tra Regno d’Italia e la Santa Sede, che sarebbero stati sottoscritti l’11 febbraio 1929, meno di un anno dopo l’inaugurazione del monumento alla Vergine ricollocato in piazza del Duomo, avvenuta il 6 maggio 1928.
Per il giorno dell’inaugurazione la Diocesi forlivese aveva pensato a una cerimonia solenne, dopo che, nelle settimane precedenti, si erano susseguite iniziative per preparare l’evento. Nelle cronache dell’epoca si può leggere la ricostruzione di quel giorno di festa: fin dal primo mattino i “bravi campanari di Castelfranco e Cento traggono un canto festivo dalle nostre magnifiche campane e fanno sperare che la gioia del sole illumini la letizia della giornata tanto attesa e faticosamente preparata, ma il sole non appare. Piove anzi come il giorno precedente, con un’insistenza quasi invernale…
Il Duomo man mano si affolla avvicinandosi l’ora dell’inaugurazione del monumento, mentre fuori, avendo la pioggia rallentato la sua monotona e inopportuna discesa, fervono i preparativi nel palco delle Autorità e per gli ultimi ritocchi di arredamento. Alle 9,39 precise, continua la ricostruzione di quei momenti, il Clero esce dalla Cattedrale: il Seminario, gli Ordini religiosi, molti parroci venuti dalla campagna, i parroci di città, il Capitolo; viene poi S. E. Rev.ma Mons. nostro Vescovo vestito pontificalmente con gli Ecc.mi Vescovi di Rimini e di Bertinoro oltre a numerose autorità civili. La Banda di Cesena intona la Marcia Reale, mentre tutti si dispongono con ordine e la folla, che gremisce la piazza e le adiacenze, si assesta attenta e reverente. La pioggia, quasi per incanto, si arresta”.
Ed ecco che, sempre dalle cronache di allora, si apprende quel giorno di maggio del 1928 si era verificato un analogo problema al già citato “incidente del telo”, avvenuto nel 2013 mentre si cercava di scoprire la statua di Icaro restaurata. Dopo i discorsi e la benedizione di rito – continuano infatti le cronache – fu finalmente la volta dello scoprimento che però non si verificò perché la pioggia “aveva bagnato il velo” che non ne volle sapere di scivolare via, anzi più lo si tirava e più si impigliava sulle sporgenze della statua. A togliere tutti dall’impaccio e da un imbarazzo crescente ci pensò “l’elettricista Ceccaroni che diede luogo a un bel gesto salendo sul piedistallo della statua per liberarla”. Tirato un sospiro di sollievo la cerimonia proseguì con il canto dell’inno della Madonna del Fuoco accompagnato dalla “rinomata banda di Cesena, si gettarono fiori al monumento e cantando il Magnificat si rientrò in Cattedrale per la Messa Pontificale. Al Vangelo il Vescovo tenne un omelia compiacendosi del fausto rito compiuto”.
La Rubrica “Fatti e Misfatti di Forlì e della Romagna” è a cura di Marco Viroli e Gabriele Zelli