Nel 1499 Caterina Sforza, su suggerimento dello zio Ludovico il Moro, propose ai fiorentini il rinnovo della condotta per il figlio Ottaviano e l’invio di una compagnia di balestrieri in difesa dalla “venuta de’ franciosi”. Osservò infine: “non posso persuadermi che dalle Signorie vostre non si abbia a tener debito conto di tanta nostra fedeltà e devozione presso la vostra eccelsa Repubblica”.
Ai fiorentini interessava restare in buoni rapporti con la Sforza, nonostante intravedessero margini di trattativa per una riduzione dei compensi da corrispondere al figlio di lei. Per trattare il rinnovo del beneplacito a Ottaviano inviarono perciò a Forlì Niccolò Machiavelli, allora trentenne, che giunse in Romagna il 16 luglio 1499.
La contessa ricevette Nicolò Machiavelli nel pomeriggio, in presenza di Giovanni da Casale, suo consigliere particolare, nonché presunto amante. La lunga e complessa trattativa prese il via tra elogi reciprochi e vicendevoli recriminazioni.
Nicolò Machiavelli offrì 10.000 ducati per il rinnovo del beneplacito, con un contratto “ad tempo di pace”. Riferendosi al saldo degli arretrati, Caterina rispose che Firenze non aveva mai dimostrato nei fatti la propria riconoscenza a chi li aveva salvati dall’esercito veneziano. Ma veneziani e fiorentini ora erano in rapporti amichevoli e le affermazioni della madonna forlivese non ebbero grande effetto sull’abile negoziatore di Palazzo Vecchio.
Caterina decise perciò di temporeggiare, istruendo nel frattempo il proprio segretario, Antonio Baldraccani, a che si dimostrasse amichevole nei confronti dell’emissario fiorentino. Il Baldraccani fece sapere in via ufficiosa a Nicolò Machiavelli che se Firenze non era più interessata ai servigi di Ottaviano, al contrario Ludovico il Moro, che temeva l’imminente attacco dei francesi, avrebbe accettato di sottoscrivere una condotta a suo favore a una cifra più alta, pari a quella della condotta precedentemente convenuta coi fiorentini.
In questi frangenti, il desiderio di chiudere in fretta la partita spinse i fiorentini a chiedere, il 19 luglio, alla signora di Imola e Forlì un invio urgente di soldati e di polvere da sparo. Caterina accondiscese di buon grado, a patto che quanto le si doveva venisse pagato immediatamente, non perdendo occasione di manifestare affetto e devozione per la città sull’Arno.
Nel frattempo anche Machiavelli si era convinto dello stretto legame che la Sforza aveva con Firenze, avendo notato quanti fiorentini si trovassero al soldo della contessa.
Tuttavia Firenze non intendeva spendere quanto la contessa richiedeva. I fanti da lei personalmente addestrati erano bene armati, ma costavano 18 lire al mese, mentre Firenze non intendeva spendere più di 14 lire e 17 soldi mensili per soldato.
Per convincere Machiavelli, il giorno seguente, Caterina fece marciare 500 soldati in assetto di guerra e 50 balestrieri a cavallo e raccontò al proprio ospite che quelli erano gli uomini che avrebbe destinato al duca di Milano. Il rappresentante del governo fiorentino ebbe così modo di constatare di persona il grado di addestramento, la finezza dei paramenti e il livello dei moderni armamenti delle truppe forlivesi. Scrisse perciò un messaggio a Firenze per informare che altri soldati di questo livello, così preparati e affidabili, non si sarebbero potuti reperire facilmente sul mercato: non era allora il caso di farseli soffiare sotto il naso dal duca di Milano.
Il 23 luglio giunse da Firenze come risposta a Nicolò Machiavelli la proposta di aumentare da 10.000 a 12.000 fiorini la condotta a Ottaviano. Forte di questa risposta l’ambasciatore fiorentino si precipitò da Caterina. La contessa non lo accolse però di persona, perché impegnata a prestare cure all’ultimogenito, il piccolo Ludovico (futuro Giovanni dalle Bande Nere), di poco più di un anno, gravemente ammalato.
Fu il segretario Baldraccani a riferire l’approvazione di madonna ad accettare la condotta a 12.000 fiorini, ma al contempo si fece portavoce di un’ulteriore richiesta: la garanzia che i fiorentini si sarebbero schierati al fianco della signora di Forlì in caso di attacco da parte dei francesi.
Machiavelli rispose che per un simile accordo avrebbe dovuto richiedere permesso scritto direttamente a Firenze. Ma subito dopo aver inviato la richiesta, ricevette la visita di Giovanni da Casale. Questi recava con sé un messaggio col quale la contessa si scusava per la diffidenza mostrata in precedenza e accettava di sottoscrivere il contratto per conto del figlio, anche senza ricevere la garanzia appena richiesta a Firenze.
Mentre Machiavelli pensava di aver concluso la trattativa, il 24 luglio, venne ricevuto da Giovanni da Casale e da Caterina e dai due (forse amanti) si sentì dire che, nella notte, avevano riflettuto e avevano altresì deciso di attendere la garanzia di difesa richiesta ai Fiorentini. Non è difficile immaginare quale fu la reazione di un uomo del calibro e della tempra del Machiavelli, oramai prostrato dal prolungarsi di simili ondeggiamenti. Fu così che, alla fine di luglio, incassando un “niente di fatto”, l’ambasciatore fiorentino riprese mestamente la via di casa.
Per la cronaca, l’accordo fu poi firmato il mese seguente a Firenze, alle condizioni poste da Caterina. L’insuccesso riportato in quell’occasione rimarrà un’ombra nella carriera dell’abile segretario fiorentino, autore del “Principe”.
Nel suo soggiorno forlivese, Machiavelli fu inoltre impegnato in una missione di secondo livello. Gli era stata infatti commissionata da Biagio Buonaccorsi, amico e cancelliere della Signoria di Ponte Vecchio, la ricerca di un “manifesto” raffigurante la signora di Forlì. Il Buonaccorsi era stato in passato ospite di Caterina, di cui conservava un ricordo tanto tenero da desiderare di possedere almeno un’immagine che gli rammentasse i tratti della bella signora che a tanti uomini aveva fatto perdere la testa.
Non sappiamo se Machiavelli riuscì a portare a termine almeno questa missione. Siamo comunque certi che ebbe grosse difficoltà, in quanto la signora di Forlì non amava farsi ritrarre: come sue raffigurazioni non ci restano infatti altro che uno schizzo eseguito da un frate bergamasco di stanza a Forlì e le effigi sulle monete che fece coniare durante il periodo del suo governo.
La Rubrica Fatti e Misfatti di Forlì e della Romagna è a cura di Marco Viroli e Gabriele Zelli