Il 6 ottobre 1466 Barbara Manfredi era in procinto di mettersi in viaggio per Firenze. Ma prima di partire affidò disgraziatamente a un servitore un biglietto destinato a Giovanni Orcioli, ex uomo di fiducia di Pino III, allontanato da Forlì perché sospettato di avere una tresca con la giovane signora e da poco nominato podestà pro tempore della città bagnata dall’Arno. Quella lettera, il cui contenuto ci è ignoto, pare sia finita proprio nelle mani dell’Ordelaffi, il quale, leggendola, dapprima si turbò, poi subito si quietò, forse meditando un terribile piano di vendetta.
Sta di fatto che Barbara Manfredi il giorno dopo si svegliò di ottimo umore, eccitata per la prossima partenza. Nel tardo pomeriggio cenò con grande appetito ma appena fu in camera manifestò le prime avvisaglie di un grave malessere: febbre e “flusso di corpo”. Da Faenza venne chiamata la madre Giovanna che immediatamente accorse al capezzale della figlia. Il malessere della giovane venne diagnosticato dai medici passeggero e di scarsa entità, per cui la donna rassicurata fece rientro a Faenza. In piena notte però la situazione precipitò. Scrive lo storico Sigismondo Marchesi: “Appena partita la madre, Barbara peggiorò a un segno, che nella vehemenza del flusso le uscirono quasi le budella, e morì”.
Il 7 ottobre 1466 la bella, giovane e dolce Barbara Manfredì cessò così di vivere. Voci e sospetti cominciarono a serpeggiare per la città: come era stato possibile che una giovane donna, nel pieno della salute, fosse potuta morire in così poche ore? La spiegazione poteva essere una sola: a ucciderla era stato il veleno somministrato da una persona a lei particolarmente vicina.
Tutta la corte partecipò al lutto. Il corpo della giovane venne trasportato da Forlimpopoli alla chiesa di San Girolamo in Forlì. Nei giorni successivi accadde che, per mettere a tacere le voci, divenute vere e proprie accuse, in onore della moglie Pino organizzò funerali solenni, degni di una principessa. Chiamò a corte Francesco di Simone Ferrucci da Fiesole, ben noto in Romagna e anche a Bologna, per realizzare un monumento funebre, una tomba ad arcosolio di derivazione toscana, che non ha eguali nella Forlì del Quattrocento. Si suppone che il Ferrucci abbia scolpito il marmo ispirandosi a una maschera mortuaria, ottenuta da un calco del viso di Barbara, il cui corpo, mentre attendeva di essere tumulato, stava adagiato provvisoriamente in una cassa di legno.
Nella pietra resta scolpita una donna distesa, dolcemente addormentata nel sonno eterno, accompagnata dalle parole dettate dal marito Pino. Un’iscrizione retta da due angeli che descrive Barbara come donna dalle virtù divine:
BARBARAE ASTORGII MANF. F. / PINUS ORDEL AN.F.UX. DUICISS / OB. DIVINA VIRTUTUM MERITA / PONENDUM IUSSIT / VIX AN XXII M VI D IIII / B.M. / AN SAL MCCCCLXVI
(Pino Ordelaffi, figlio di Antonio, ordinò che [questo monumento] fosse dedicato alla dolcissima moglie Barbara, figlia di Astorgio Manfredi, per le sue divine virtù. Barbara Manfredi visse ventidue anni, sei mesi e quattro giorni. Anno 1466). Il monumento funebre fu collocato nella Chiesa di San Girolamo in San Biagio e lì restò fino al bombardamento tedesco del 10 dicembre 1944 che provocò la distruzione del prezioso edificio sacro. Da dopo il recupero, avvenuto nel dopoguerra, la tomba di Barbara (nella foto) è visibile in tutta la sua bellezza nella navata destra dell’Abbazia di San Mercuriale in Forlì.
La Rubrica Fatti e Misfatti di Forlì e della Romagna è a cura di Marco Viroli e Gabriele Zelli
1 commento
Sarebbe interessante riprendere gli studi sui suoi resti mortali…