Domenica 22 novembre, alle ore 16,00, l’Amministrazione comunale intende intitolare il teatro comunale di Galeata all’illustre tenore Carlo Zampighi. Tenore forlivese nato nel 1927 e scomparso nel 2007, si è impegnato attivamente nella politica del Comune di Galeata, rivestendo per una legislatura l’incarico di assessore alla cultura e al personale.
Dopo aver completato gli studi, nel 1952 vinse il concorso Enal per la lirica, questo gli procurò un contratto con l’editore Carlo Alberto Cappelli. Subito dopo con l’opera di Pietro Mascagni avvenne il debutto al teatro “Augustus” di Genova. Passò ad Adria, dove eseguì il “Rigoletto”. Partì per un tour nelle maggiori città, dalla Spagna, Madrid, Barcellona, Bilbao, San Sebastian. Si fece poi ammirare a Brescia nella “Sonnambula”, a Sanremo nell’Amico Fritz e in Manon. In seguito compì una tournée in Inghilterra col “Barbiere di Siviglia”. Si è esibito in tutti i maggiori teatri italiani ed internazionali.
Il programma dell’iniziativa prevede il saluto del sindaco di Galeata Elisa Deo e gli interventi, coordinati dal giornalista e storico locale Oscar Bandini, di Gabriele Zelli, consigliere delegato alla cultura della Provincia di Forlì-Cesena e Ezio Monti, compositore e direttore d’orchestra. Gli interventi saranno accompagnati da testimonianze, video e foto d’epoca ed arricchiti dall’accompagnamento musicale di Ezio Monti al pianoforte e del soprano Carlotta Zampighi.
Di seguito un articolo di Gabriele Zelli sulla figura del tenore forlivese
Carlo Zampighi (1927-1997) è da considerare a pieno titolo tra i grandi cantanti lirici forlivesi insieme a Giuseppe Siboni, Angelo Masini, Maria Farneti e Giuseppe Paganelli. Il primo a intuire che il giovanissimo Zampighi aveva qualcosa di speciale fu Don Ezio Gramellini, giovane cappellano della parrocchia di Ravaldino, conoscitore e amante della musica, che rimase colpito dalla voce di “Carluccio”, un ragazzino fra i tanti che frequentavano l’oratorio, capace di raggiungere i toni più alti con sorprendente facilità nonostante avesse solo dieci anni. Così il nostro tenore ha raccontato a Salvatore Gioello e a Lieto Zambelli una delle sue prime esibizioni: “Il mio parroco, Don Leonida Maioli – un uomo di estremo rigore e di sconfinata umanità – era felice di avermi fra i suoi cantori. Un giorno mi presentò all’allora vescovo monsignor Rolla, che mi invitò a cantare in cattedrale per la festa della Madonna del Fuoco. Conobbi un altro bravo prete, Don Gaetano Lugaresi, musicista di razza, che mi fece imparare un’ Ave Maria da lui composta, molto bella, che io cantai con tanta gioia nel cuore”.
Carlo Zampighi fu un ragazzo irrequieto, come ammetteva sempre: “Tanto che mio padre decise di affidarmi ai Salesiani, nel collegio di Faenza. Vi trascorsi anni difficili. Non abbandonai però il canto”. Ciò gli valse ripetuti inviti a esibirsi presso l’osteria di “Ribelle”, la famosa “taverna del bel canto” forlivese, che era situata in un locale fuori porta San Pietro, dove un tempo si riunivano coristi, loggionisti e intenditori, i quali furono capaci, nell’aprile del 1941, di portare come ospite Magda Olivero, una giovane ma già mitica cantante lirica per quella che sarà, secondo i ricordi di un indimenticato melomane forlivese, Alvaro Zaccaria, detto “Tango”: “Una data memorabile, che mai si cancellerà dai nostri cuori”. Quando Zampighi si esibiva in quel luogo era accompagnato da Mario d’la Ciarghina, un corista famoso all’epoca in città, voce solista dei canterini di Martuzzi al quale il poeta dialettale forlivese Mario Vespignani ha dedicato una zirudella, che in più occasioni ebbe modo di commentare la bravura del giovane tenore con parole un po’ colorate, ma efficaci: “Questo non sbaglia, l’è un comar fatt (è un cocomero maturo).
Poi tutta la città dovette affrontare il triste e terribile periodo del Secondo conflitto mondiale. Dopo la liberazione di Forlì, palazzo Mangelli fu utilizzato come sede di un club per soldati inglesi e scozzesi. Nel corso di alcune serate Zampighi ebbe la possibilità di far sentire la sua straordinaria voce. Quando iniziava il suo repertorio il silenzio regnava assoluto per ascoltare i passaggi fondamentali di brani come: “Torna caro ideal”, “Rondini al nido”, “Non ti scordar di me”, ecc. Un giorno, un alto ufficiale di Edimburgo gli chiese di cantare l’Ave Maria di Schubert. “Al termine, come ha più volte ricordato Zampighi, mi mise qualcosa nel taschino. Guardai, erano 1.000 “am-lire” (si tratta della valuta che l’AMGOT, l’amministrazione militare alleata dei territori occupati, mise in circolazione in Italia dopo lo sbarco in Sicilia il cui valore era di 100 “am-lire” per un dollaro degli Stati Uniti). Tornò spesso e continuò a chiedermi quel brano, ringraziandomi sempre allo stesso modo”. Furono anche episodi come questo che lo spinsero a pensare al futuro, in primo luogo iniziando a studiare seriamente.
Per sei anni fu seguito dalla maestra Giuliana Focaccia Godoli e nel contempo iniziò a partecipare ai primi concorsi, come quello per giovani cantanti indetto dal Conservatorio di Firenze che Zampighi vinse. Poi arrivarono i primi veri concerti: “Conservo un bellissimo ricordo dei primi esordi, ebbe modo di ricordare, e in particolar modo del periodo fra il 1946 e il 1947 quando alla domenica mattina l’Esperia (sala cinematografica e teatrale forlivese non più esistente da oltre vent’anni) si colmava di operai degli stabilimenti forlivesi, richiamati dalle stagioni teatrali promosse dalla Camera del Lavoro assieme ai responsabili di quella grande orchestra che fu la “Sinfonica Romagnola”. Guidava gli spettacoli il carissimo, indimenticabile dottor Eolo Camporesi, straordinaria, eclettica figura di medico e di umanista. Un uomo che ha sempre creduto in me e non ha mai cessato di stimolarmi allo studio. A lui debbo molto della mia carriera”. La carriera prese il volo quando incontrò il grande impresario di Rocca San Casciano, Carlo Alberto Cappelli al quale piaceva la voce di Zampighi.
“Mi fece esaminare da quattro direttori d’orchestra. Ascoltò il loro giudizio e dopo qualche giorno mi chiamò dandomi appuntamento nello studio di un notaio: sul tavolo di quel professionista era pronto il contratto che prevedeva otto recite al mese per cinque anni (in seguito divennero quindici) per un compenso di 350.000 lire mensili. Era fatta! Poi Cappelli mi portò alla Scala dove appresi i segreti della scena e, soprattutto, imparai a memoria tre spartiti: “Rigoletto”e “Traviata” di Verdi, oltre a “L’amico Fritz” di Mascagni. Poi, il mio repertorio si è via via arricchito, fino a comprendere 36 opere”.
Con l’opera di Pietro Mascagni, avvenne il debutto al teatro al teatro “Augustus” di Genova di fronte al presidente della Repubblica Luigi Einaudi. Era il 16 settembre 1951. In quell’occasione Carlo Zampighi vide il padre, presente dietro le quinte, piangere. Di gioia, naturalmente. Come ha avuto modo di evidenziare Michele Raffaelli, studioso e appassionato di lirica: “La tecnica scaltrita e la naturale inclinazione al fraseggio, morbido e vellutato, fecero senz’altro di Carlo Zampighi un ricercato interprete di “Sonnambula”, dei “Pescatori di perle”, di “Elisir d’amore” e, nel genere buffo, del “Don Pasquale” e del “Barbiere di Siviglia”. Ma ciò non impedì di spaziare oltre i limiti di un repertorio essenzialmente leggero e belcantistico, per imporsi anche nei più impegnativi capolavori del repertorio romantico e verista”.
Tra i momenti più esaltanti della sua carriera si ricordano l’esecuzione di “Traviata” nel 1959 a Magenta, alla presenza del presidente francese Charles De Gaulle, nel quadro delle celebrazioni del centenario della storica battaglia risorgimentale la partecipazione alla prima televisiva, in veste di protagonista (Duca di Mantova) nel “Rigoletto” di Giuseppe Verdi con la regia di Luchino Visconti, ed infine, nel corso delle sue peregrinazioni artistiche all’estero, una sua presenza a Dallas (Stati Uniti), al fianco di Maria Callas nel “Barbiere di Siviglia” di Gioacchino Rossini. Cessata la carriera militante, nei successivi anni Settanta e Ottanta, Carlo Zampighi, dando prova di una straordinaria longevità artistica, ha promosso e preso parte a concerti vocali in città e in Romagna, ovunque apprezzato nel repertorio lirico più popolare e a lui congegnale, e nell’esecuzione di cantiche tratte dal patrimonio musicale della nostra terra.