In questi anni il sistema normativo italiano delle concessioni balneari in Italia è stato messo in discussione dalla direttiva Bolkestein che ha ritenuto ingiusto l’aver rinnovato automaticamente e sempre agli stessi affidatari i 4.042 chilometri di coste italiane. A parere dell’Europa quindi la concessione del demanio pubblico non dovrà più essere eterna ma, in proporzione agli investimenti fatti, dovrebbe avere una scadenza a cui dovranno inevitabilmente seguire le aste ad evidenza pubblica. Così facendo tutti i cittadini indiscriminatamente avranno l’opportunità di concorrere alla pari per l’ottenimento di un bene pubblico come la spiaggia, esercitando la loro libertà d’impresa.
Con l’introduzione delle aste ad evidenza pubblica, che inevitabilmente alzeranno il prezzo dell’offerte, beneficeranno innanzitutto i “reali” proprietari di quelle aree demaniali, cioè i cittadini, ai cui comuni verranno garantiti dalla libera concorrenza maggiori introiti a disposizione poi della comunità, risorse la cui entità, ricordiamolo, non sarà stabilita dallo Stato ma bensì dal mercato libero. Le aste garantirebbero anche più equità nel mondo imprenditoriale italiano dato che secondo una stima della società pubblica Patrimonio dello Stato, gli stabilimenti versano per le concessioni appena il 5% del fatturato delle proprie attività, mentre per una normale attività commerciale l’affitto del locale incide fino al 35-40% del giro d’affari.
L’Europa però, è bene sottolinearlo, affronta il problema dal punto di vista delle pari opportunità chiedendo all’Italia, con la direttiva Bolkestein, di cambiare un sistema normativo di rinnovo della durata delle concessioni demaniali delle spiagge che per le imprese balneari era di sei anni ed a rinnovo automatico, trasformando di fatto in eterna la concessione demaniale affidata ad un cittadino. La direttiva contesta quindi all’Italia la compatibilità del diritto preferenziale di insistenza e la compatibilità del rinnovo automatico della concessione alla scadenza sessennale. A parere della Commissione Europea detti due aspetti contrastano con i principi di libertà di stabilimento delle imprese comunitarie (art. 43 Trattato CE) e di imparzialità, trasparenza e pubblicità delle procedure di selezione dei concessionari (art. 12, direttiva 2006/123/CE). Per effetto della “direttiva servizi”, le concessioni sul demanio marittimo dovranno avere una durata appropriata e alla fine del periodo limitato dovrà essere garantita l’apertura alla concorrenza”.
Vista l’immobilità legislativa del governo italiano che non si è ancora occupato di predisporre un nuovo sistema che accogliesse le direttive impartite, nel 2009 l’Europa impose all’Italia una Procedura d’Infrazione che l’avrebbe costretta di lì a poco alle aste. Quale fu quindi la scelta della politica, che sui giornali ed agli incontri pubblici si schierava a parole sempre a difesa dei bagnini e che da destra a sinistra si opponeva ad una direttiva che considerava pubblicamente ingiusta? La prima risposta politica arrivò con il governo Berlusconi attraverso un decreto legge che però fu bipartisan (Milleproroghe, 30 dicembre 2009, n.194) e che sopprimeva il secondo comma dell’articolo 37 del codice della navigazione, nella parte in cui prevedeva il rinnovo automatico delle concessioni e la preferenza accordata al vecchio concessionario (diritto di insistenza).
Il 30 novembre 2011 poi, il Senato approvando l’ultima versione della Legge Comunitaria 2010, si adeguò di fatto alle direttive europee, relativamente alle concessioni demaniali marittime abrogando definitivamente il comma 2 dell’art. 1 del DL del 5 ottobre 1993 n. 400, ossia il rinnovo automatico, consentendo così, dopo quasi 3 anni, di archiviare la Procedura d’Infrazione della UE nei confronti dello Stato italiano salvando di conseguenza i balneari dall’asta imminente anziché prorogarla, come avvenne, al 2015. Indipendentemente da come uno la pensi è un fatto appurato che i politici di fronte ai bagnini hanno sempre manifestato la loro avversità alla Bolkestein mentre poi, l’attività parlamentare svolta ha dimostrato invece il contrario.
Ma quali e chi sono stati i parlamentari romagnoli che predicando bene, ma razzolando male, hanno votato favorevolmente il decreto M che abolì il diritto d’insistenza? Sergio Pizzolante (PDL oggi NCD) e Gianluca Pini (Lega Nord) a cui però vanno aggiunti i 91 assenteisti, la cui mancata presenza in aula, ha di fatto salvato la maggioranza dei favorevoli al decreto attestando i contrari a 227 contro 264 voti a favore. Gli assenti di rilievo furono Pier Luigi Bersani (PD) Sandro Brandolini (PD) Pierluigi Castagnetti (PD) Carmen Motta (PD) Antonio Palagiano (IDV).
Purtroppo nemmeno dopo la cancellazione del diritto d’insistenza è stato riformato il sistema delle concessione balneari da parte del governo recependo una direttiva presentata alla Commissione Europea nel 2004 e, è bene ricordarlo, approvata nel 2006. Non sono bastati quindi 10 anni ai parlamentari italiani per legiferare, correggere, emendare una direttiva europea, la scelta intrapresa dalla politica è stata ancora una volta quella di rimandare nuovamente il problema al 2020 attraverso una proroga delle concessioni determinata da una legge del Parlamento del governo Monti. Proroga che ad oggi, l’Europa non ha ancora recepito mantenendo di fatto la scadenza fissata al 2015 ormai passata e che costringerà l’Italia a subirne le conseguenze perché, volenti o nolenti, le concessioni delle spiagge affidata ad un cittadino non potranno più essere ne eterne, ne fuori dal mercato e dalla libera concorrenza.
1 commento
Paragonare l’affitto di un’attività commerciale (35% del fatturato) con il canone della concessione (5% del fatturato) è errato e dimostra la malafede dell’autore.
1) Ci sono tanti imprenditori balneari che pagano l’affitto. Sono loro a dover essere paragonati con gli imprenditori di qualsiasi altro settore che hanno un locale in affitto. E sono certo che la percentuale sul fatturato sarebbe simile nei due casi.
2) Le concessioni sono generalmente basse, è vero (seppure con eccezioni, es. pertinenziali), ma non sono l’unica spesa del balneare (che ha anche IMU, tassa sui rifiuti, ecc)