Mario Bonavita, in arte Marf (Forlì 1894-1946), è stato uno dei parolieri italiani più celebri del secolo scorso. Per farsi un’idea del valore delle composizioni di Marf è opportuno segnalare che gli ultimi dati S.I.A.E. conosciuti, risalenti a una ventina di anni fa, indicavano come eseguite in tutto il mondo una trentina di sue canzoni. Questi alcuni titoli: “Bombolo”, “Amami di più”, “Sotto l’ombrellino con te”, “Non è per gelosia”, “Nostalgico slow”, “Una notte a Madera”, “Passeggiando per Milano”, “Signorine non guardate i marinai”, “Aranci”, “Dicevo al cuore”, “Berrettino”, “Pensée”, “Dillo tu serenata”, “Chiudi gli occhi Rosita”, “Ti darò quel fior”, “Vado in Cina e torno”, “Se avessi un mandolino”, “Io conosco un bar”.
Le sue composizioni vennero interpretate da artisti di grande fama come il Trio Lescano, Carlo Buti, Lydia Johnson, Daniele Serra, Renzo Mori, Giacomo Osella, Miscel, Vittorio De Sica, Milly, Fernando Orlandis, Franco Lary con la direzione d’orchestra di Cinico Angelini, Pippo Barzizza, Dino Olivieri e Stefano Ferruzzi.
Le canzoni di Marf si collocano nel periodo che corre fra il 1920 e il 1940, anni in cui il regime fascista stava perseguendo mire espansionistiche sui territori d’Africa e d’Albania. Ne scaturì una sorta di euforia nazionale alla quale non rimase estranea la produzione musicale. Non fece eccezione a questa tendenza la produzione del nostro Marf, melodica, di facile impronta popolare, propria del comune sentire, ora allegro e spensierato, ora vestito di sottile ironia o di doppi sensi in apparenza ammantati di garbata ingenuità.
Personaggio eccentrico e geniale, Mario Bonavita fu inviato a Milano per studiare Chimica all’Università dalla famiglia, proprietaria della grande fabbrica di feltro, di cui col tempo avrebbe dovuto assumere il comando.
Si laureò invece in Farmacia ma dopo una parentesi lavorativa nella città meneghina, fece ritorno a Forlì per dedicarsi a studi e interessi di segno opposto. La passione per la musica lo spinse a mettersi in gioco in campo artistico e gli anni passati a Milano segnarono senza dubbio un momento fondamentale per la sua formazione in quanto durante quel periodo ebbe modo di incontrare autori e compositori di successo come Vittorio Mascheroni, Paul Bernard, Bixio Cherubini, Angelo Ramiro Borella, Gorni Kramer, Ennio Neri, Peppino Mendes, Eldo Di Lazzaro.
Da un certo momento in poi si dedicò anche alla sperimentazione in campo genetico sia animale sia vegetale, divenendo un vero e proprio precursore in un settore che allora era ai primordi. Ottenne risultati rilevanti specie nel campo avicolo e della floricoltura, sempre e secondo il suo stile, senza scopo di lucro. Il grande professor Alessandro Ghigi, autentico luminare della scienza, avendone ammirato la preparazione e la diligenza, lo volle come assistente alla facoltà di Zoologia dell’Università di Bologna, per poi destinarlo alla Stazione sperimentale di pollicoltura di Rovigo. Mario Bonavita seppe inoltre fondere queste attività con quella di pittore dai delicati colori e dalle atmosfere poetiche.
Alla Villa del Tesoro, proprietà di famiglia a Vecchiazzano nei pressi di Forlì, dove si trasferì definitivamente dal 1936, componeva musica, dipingeva quadri, allevava polli, conigli, piccioni, tacchini e riproduceva ibridi di giaggioli. Morì in quel suo piccolo paradiso, stroncato da un infarto, il 3 agosto 1946. Non aveva ancora 52 anni e pochi giorni prima era stato contattato per assumere la direzione di una “casa musicale” forlivese, composta in gran parte da giovani artisti. L’improvvisa scomparsa di Mario Bonavita lasciò un vuoto incolmabile in città e segnò la fine di un’epoca, colpendo dolorosamente quanti l’avevano conosciuto, amato e stimato.
La Rubrica Fatti e Misfatti di Forlì e della Romagna è a cura di Marco Viroli e Gabriele Zelli