A distanza di due mesi dall’inaugurazione della mostra “Piero della Francesca. Indagine su un mito”, è possibile tracciare un primo bilancio della mostra e, soprattutto, descriverla con cura dopo averla visitata ed analizzata più volte.
L’adesione del pubblico a tale mostra è stata superiore alle attese, con un alto numero di visitatori fin dalle prime settimane, fatto, comunque, prevedibile data l’importanza di Piero nel panorama artistico italiano.
Sembra incredibile che questo straordinario artista rinascimentale, definito dal contemporaneo Luca Pacioli “il monarca de la pittura”, che aveva operato alle corti di Papa e principi, possa essere stato addirittura quasi dimenticato, per diversi secoli, fino agli inizi del novecento, quando è stato definitivamente riscoperto grazie a studiosi come Bernard Berenson, Adolfo Venturi e, soprattutto, Roberto Longhi, il grande critico d’arte a cui si deve, nello stesso periodo, la riscoperta di Caravaggio.
Qualche timido segnale di nuovo interesse si era manifestato a fine settecento e nel corso dell’ottocento, grazie ad alcuni studiosi italiani e, soprattutto, a studiosi stranieri. Saranno però due importanti opere del Longhi: il saggio “Piero dei Franceschi e lo sviluppo della pittura veneziana” del 1914 e la monografia su “Piero della Francesca”, del 1927, a riportare l’attenzione su questo straordinario artista.
La mostra allestita nei musei di San Domenico, a Forlì, diventati ormai, da più di 10 anni, punto di riferimento per gli appassionati d’arte, si articola su più sale, partendo dalle salette al piano terra, ricche di documentazione, di opere di artisti contemporanei a Piero e di preziosissimi testi antichi di grande valore.
Le opere principali sono però al primo piano, precedute da due grandi pannelli provenienti da Parigi, che dominano il grande scalone, e che riproducono, ad olio su tela, parte degli affreschi realizzati da Piero ad Arezzo, con scene della Leggenda della Vera Croce. Tali pannelli colmano, in parte, una grande lacuna: l’impossibilità di documentare direttamente in mostra la ricchissima e prestigiosa produzione di straordinari cicli di affreschi, nei quali Piero era uno grande maestro.
Fin dalla prima sala si presentano le bellissime opere di Piero e dei suoi contemporanei. Non ci si deve aspettare, però, la solita mostra monografica ricca di opere dell’autore a cui la mostra è dedicata, in questo caso Piero della Francesca.
Piero, infatti, ha dipinto grandi cicli di affreschi, come ad esempio la Leggenda della Vera Croce ad Arezzo, la Resurrezione di Sansepolcro, l’affresco del Tempio Malatestiano di Rimini, ma un numero molto limitato di pitture su tavola, tesori preziosi per i musei che le custodiscono e che non sono disponibili a prestarli agli organizzatori di mostre.
Una sola opera di grande formato è, infatti, presente in mostra a Forlì: il pannello centrale del Polittico della Misericordia con la Madonna della Misericordia, concessa dal museo civico di Sansepolcro, in cambio di un accordo che prevede il prestito, a Sansepolcro, di un’opera presente in mostra a Forlì, quando l’esposizione sarà terminata.
Le altre tre opere di Piero, presenti a Forlì, sono “San Gerolamo e un devoto”, “Santa Apollonia” e “La Madonna col Bambino” proveniente da Newark. L’autenticità di quest’ultima è stata messa in discussione da Vittorio Sgarbi, in visita alla mostra forlivese, ma, malgrado l’indubbia esperienza del critico, non si può dimenticare che tale opera fu certificata come autentica, a suo tempo, dal Longhi, uno dei più importanti studiosi della storia dell’arte italiana, autore di importantissime opere su Piero e su diversi altri grandi artisti italiani.
Ma torniamo al grande protagonista della mostra e chiediamoci: perché organizzare una mostra se le opere di Piero, reperibili nei nostri musei, sono raramente disponibili?
La risposta è semplice. Questa grande mostra descrive, dopo un approfondito studio e grazie ad un nutrito gruppo di opere di straordinario valore artistico accuratamente selezionate, l’influenza esercitata da Piero della Francesca non solo sui suoi contemporanei quali Paolo Uccello, Andrea del Castagno, Domenico Veneziano, Filippo Lippi ed il Beato Angelico, per citarne solo alcuni, ma anche su diversi artisti e movimenti dei secoli successivi.
Particolarmente importante è infatti il fascino esercitato da Piero sui pittori dell’ottocento ed in particolare sui Macchiaioli che si formarono ed elaborarono un nuovo linguaggio pittorico a Firenze, da secoli culla dell’arte. Basti pensare, a titolo esemplificativo, al grande capolavoro di Silvestro lega: “Il canto di uno stornello” (presente in mostra) che ritrae le tre sorelle Batelli che cantano, mentre una di loro suona il piano, nell’atmosfera rarefatta di un pomeriggio d’estate. Quest’immagine ci ricorda le figure di Piero, pacate e solenni, dell’adorazione del Sacro Legno e dell’incontro di re Salomone con la Regina di Saba negli affreschi di Arezzo.
Lo stesso potrebbe dirsi delle ricamatrici dipinte da Adriano Cecioni, immerse in uno spazio ed un’atmosfera sospesa che ricorda la luminosità diffusa di alcune grandi opere di Piero.
L’influenza di Piero della Francesca si estende poi anche ai pittori francesi, contemporanei dei Macchiaioli, quali Degas, Seurat e diversi altri, sicuramente affascinati e influenzati anche dalle due grandi copie degli affreschi aretini, conservati alla Scuola delle Belle Arti di Parigi che, attualmente, come già segnalato, fanno bella mostra di sé nello scalone che porta al primo piano della mostra. Ma l’influenza di Piero non si ferma qui.
Come già detto la definitiva rivalutazione di Piero della Francesca avviene nel ‘900, grazie a grandi critici come Berenson, Adolfo Venturi ed il Longhi che scrivono importanti trattati storici e critici sulla storia dell’arte italiana. Una delle opere più importanti relative a tale periodo, e presente in mostra, è il ritratto di Silvana Cenni, realizzato da Felice Casorati e spesso felicemente accostato alla Madonna della Misericordia. Molto opportunamente gli organizzatori della mostra anno riprodotto, in grande formato, tali importanti opere, sia nei pannelli che decorano le pareti esterne del museo sia nei pieghevoli illustrativi della mostra.
Particolarmente importante e ricca, e legata alla luminosità delle opere di Piero, è la produzione artistica di Giorgio Morandi a cui è dedicata un’ampia e ben selezionata serie di opere collocata in una specifica sezione della mostra. Non si possono non citare, poi, il grande Balthus che venne in Italia per studiare, grazie alla generosità di un ricco mecenate, le opere di Piero come la Resurrezione e gli affreschi di Arezzo. Altrettanto importante è l’opera dell’americano Edward Hopper a sua volta colpito dal fascino di Piero.
E concludiamo con le due opere che gli organizzatori della mostra hanno collocato nella saletta iniziale: il busto di Battista Sforza, moglie di Federico da Montefeltro, realizzato da Francesco Laurana, una bellissima scultura in marmo, elegante e severa, realizzata nel 1474 circa, il cui rigore, la sintesi, l’equilibrio e la monumentalità della figura riprendono pienamente lo spirito e lo stile di Piero.
Il dipinto di Carlo Carrà: l’amante dell’ingegnere del 1921, collocato a poca distanza dal busto di Battista Sforza, reinterpreta pienamente, in chiave moderna, lo spirito di Piero della Francesca.
1 commento
Stenderei un velo pietoso su questa defaillance della fondazione S.Domenico che ha usato il nome di Piero per esporre opere di autori pressochè sconosciuti, decadenti e per niente in linea col titolo della Mostra, che avranno per questo subito una levitazione dei prezzi spandendo odore di speculazione sui tanti, troppi, che non sono hanno creduto al trucchetto alquanto blasfemo!