Il prossimo 18 agosto 2016 ricorre l’anniversario della morte della partigiana Iris Versari (Poggio di San Benedetto in Alpe, 12 dicembre 1922 – Cornio di Tredozio, 18 agosto 1944), Medaglia d’oro della Resistenza. Oggi in Italia due Istituti scolastici sono a lei intitolati: a Cesano Maderno (MB) l’Istituto Superiore Statale (Liceo Scientifico, Liceo delle Scienze Umane, Istituto Tecnico Settore Economico) e in Romagna la sede coordinata di Cesena dell’Istituto Professionale di Stato “Versari Macrelli”.
Le poche foto disponibili di Iris Versari ci mostrano un viso che ricorda quello di un personaggio del mondo dello spettacolo: bella e solare, coinvolgente, dallo sguardo aperto e luminoso. Forse, se avesse vissuto in un’epoca diversa dalla sua avrebbe potuto vestire i panni di un’attrice o di una cantante, anche perché, oltre all’aspetto avvenente, vantava una bellissima voce. Berto, il fratello più piccolo di Iris Versari, scomparso pochi anni fa, soleva raccontare che spesso Iris, per via di quel suo innato talento, veniva chiamata dalle orchestre a cantare. Il periodo storico in cui visse la sua giovinezza fu invece drammatico: prima il Fascismo, poi il conflitto bellico. La sua era una famiglia patriarcale molto unita, da sempre impegnata nelle rivendicazioni sociali. Il padre Angelo, d’idee socialiste, combattente e mutilato della Grande Guerra, viveva con la moglie Alduina Calcin e i figli Maria (1914), Luigi (1918), Iris (1922), Lilia (1926) e Berto (1928). Cambiarono diverse abitazione, pur sempre restando nella zona di Portico, San Benedetto e Tredozio. Qualunque fosse il casolare in cui i Versari si trasferirono, li si potevano incontrare uomini giovani e adulti desiderosi di libertà, animati dal desiderio di condividere i valori del Socialismo.
Così Iris Versari crebbe e formò il suo carattere. Insieme ai suoi fratelli e alle sorelle respirò un clima di uguaglianza, affetto, solidarietà, tra tradizioni romagnole e nuove idee liberali. Adolescente prestò servizio presso alcune famiglie benestanti e facoltose; a Rocca San Casciano, a Forlì, a Faenza e a Dovadola, rispettivamente presso Versari e Dotti, Valzania, Gabaldi e Zanetti. Sin da giovane, crebbe in lei il desiderio di fare qualcosa per combattere e cambiare le ingiustizie sociali in cui erano costretti a viveri le classi meno abbienti ed emarginate.
Dopo l’8 settembre 1943, con la proclamazione dell’armistizio da parte del generale Badoglio, lo scenario politico, militare e sociale cambiò radicalmente per tutti. Quel giorno a Rocca San Casciano era in programma la festa della Madonna alla quale partecipavano anche Iris insieme al fratello Berto. Dopo la processione con il Vescovo di Modigliana, mons. Massimiliani, sul far della sera iniziò a diffondersi la notizia che la guerra fosse finita. La notizia venne annunciata anche in chiesa, suscitando grande contentezza tra la gente.
Nelle settimane successive le colline della Romagna Toscana diventarono luogo di rifugio per i soldati alleati scappati dalle carceri dei tedeschi e dei fascisti impossibilitati a raggiungere i propri reparti. Altrettanto facevano quei giovani che sceglievano di non aderire al richiamo alle armi del costituendo esercito della Repubblica Sociale Italiana, che combatteva accanto ai soldati nazisti. Sulle nostre colline iniziarono a organizzarsi le prime formazioni partigiane, ancora senza un’adeguata struttura e quasi totalmente sprovviste di armi. In questo contesto Iris dapprima iniziò a operare come staffetta, portando messaggi e informazioni da un gruppo partigiano all’altro, poi si aggregò alla Banda Corbari, legando definitivamente il suo destino proprio a quello di Sirio Corbari. Quest’ultimo, dopo l’8 settembre, aveva aderito immediatamente alla Resistenza armata contro le forze di occupazione tedesca e le milizie fasciste che le appoggiavano, entrando a far parte prima della gruppo partigiano detto “del Samoggia” (dall’omonimo torrente che corre e delimita i territori di Faenza e Modigliana da una parte e di Dovadola, Castrocaro Terme e Terra del Sole dall’altra) e successivamente di un altra formazione detta “del camion fantasma”, un Gruppo di Azione Partigiana (GAP) di cui faceva parte Marx Emiliani.
Dopo lo scioglimento del gruppo, causato dal ferimento, dalla cattura e dalla fucilazione di Emiliani e dell’altro componente di spicco Amerigo Donatini, Corbari decise di continuare la lotta nell’Appennino faentino insieme ad altri compagni, appartenenti a diverse correnti politiche, creando una propria unità partigiana indipendente che constava di circa una cinquantina di uomini e della quale divenne il comandante con il nome di battaglia di Silvio. Iris partecipò intensamente alla vita della Banda Corbari. Non si tirò indietro neppure nelle azioni più eclatanti e rischiose, come quella dell’uccisione del Console Gustavo Marabini, che vale la pena di ricordare. Tramite il conte Zanetti dei Raggi di Castrocaro, Silvio Corbari fece sapere al Console Marabini, che comandava l’82° Legione GNR di Forlì, di voler trattare la sua resa e quella della sua Banda.
L’incontro tra Corbari, Iris Versari e Otello Sisi da una parte, il Console Marabini, il conte Zanetti, il suo fattore e il maggior Mussolini, cugino del Duce, dall’altra, avvenne alle ore 19.00 del 23 maggio 1944, presso il podere Castellina, sito tra Rocca e Dovadola, di proprietà del conte Zanetti. Il colloquio dovette essere persuasivo sulle intenzioni dei partigiani in quanto i tre salirono sull’auto di Marabini partendo con lui in direzione Forlì, poi verso Predappio, attraverso la strada dei Raggi. Nei pressi del podere Pianelli di Monte Maggiore, verso le 20.30, il Console venne ucciso con un colpo di rivoltella alla nuca, arma che probabilmente era stata occultata da Iris Versari nelle parte intime. Il corpo di Marabini venne gettato sul ciglio della strada. All’autista Alfredo Giordani i partigiani imposero di proseguire lungo un altro percorso, quindi lo lasciarono libero. Corbari volle dimostrare la vitalità della sua formazione uccidendo chi, al momento dell’assunzione del comando della milizia di Forlì, aveva espresso il proposito di annientare i partigiani e, il 24 marzo 1944, si era reso protagonista, insieme ad altri, della fucilazione di cinque giovani renitenti alla leva da parte di un battaglione di camice nere veronesi che avevano già svolto rastrellamenti per rintracciare i giovani del 1924 e 1925 da arruolare, presso la caserma Ferdinando di Savoia (ribattezzata Ettore Muti), in via Ripa.
Con questa impresa Corbari dette un segnale preciso anche per ricostituire un proprio gruppo dopo un inverno difficilissimo e la quasi decimazione della Banda, ma nel contempo ne provocò la fine. I nazifascisti infatti intensificarono gli sforzi, utilizzando ogni mezzo per sgominare gli uomini che scelsero di affiancare Corbari, tanto che nel corso di un rastrellamento anche i genitori di Iris vennero presi e deportati in Germania. I fratelli minorenni furono affidati agli zii e solo la madre fece successivamente ritorno a casa. Iris profondamente indignata per l’arresto dei suoi familiari, con il suo temperamento forte e combattivo che la contraddistingueva, si sentì ancora di più spronato ad aiutare i compagni partigiani nel combattere il nemico. Purtroppo però, accidentalmente, si ferì a una gamba e questo problema la costrinse a un periodo di convalescenza a letto.
I compagni si consultano con lei su come comportarsi, visto che, essendo in fuga dai fascisti, spesso dovevano spostarsi e Iris, in quelle condizioni, non poteva seguirli facilmente. Incalzati da fascisti e nazisti, Iris non volendo essere di peso, incitò i compagni a mettersi in salvo. Ma durante le prime ore del mattino del 18 agosto 1944, dopo una notte trascorsa in una casolare in località Cornio di Modigliana, a causa di un tradimento, giunse improvviso l’agguato. Iris non si perse d’animo e quando un ufficiale tedesco le fu di fronte si difese uccidendolo, poi si tolse la vita. Questi attimi caotici e drammatici consentirono a Silvio Corbari, Adriano Cadadei e Arturo Spazzoli di scappare. Gli aggressori li inseguirono. Si udirono molti spari. Spazzoli e Corbari vennero colpiti, mentre Adriano Casadei, leggermente ferito, avrebbe potuto continuare la fuga. Accortosi però della drammatica situazione in cui si trovavano i compagni, tornò indietro per aiutarli. Il resto della storia è tristemente noto, anch’egli fu preso e ucciso insieme agli altri. Nel corso dello stesso pomeriggio i poveri corpi inermi dei quattro giovani coraggiosi furono appesi ai lampioni di piazza Saffi, di fronte a Palazzo Albertini dove, durante il Ventennio, aveva trovato sede il Partito Fascista. Iris riposa nel Cimitero Monumentale di Forlì ed è ricordata tra le donne più valorose e intrepido della storia cittadina e di tutta la Resistenza italiana.
La Rubrica Fatti e Misfatti di Forlì e della Romagna è a cura di Marco Viroli e Gabriele Zelli