Annalena Tonelli nacque a Forlì il 2 aprile 1943. Cattolica fervente, la sua vocazione umanitaria la portò a lavorare per oltre trenta anni a favore dei profughi africani, prima in Kenya, poi in Somalia. Dal 1996 visse e operò in Somaliland, un ex protettorato britannico che, nel maggio del 1991, aveva dichiarato l’indipendenza dalla Somalia, autoproclamandosi Repubblica, cinque mesi dopo il rovesciamento del regime di Siad Barre che aveva gettato il paese africano nel caos e nell’anarchia. Annalena Tonelli Frequentò il Liceo Classico e, dopo essersi laureata in Giurisprudenza, conseguì vari diplomi all’estero per la cura delle malattie tropicali e della lebbra. Anche se non era medico elaborò una profilassi per la tubercolosi, utilizzata ancora oggi in tutto il mondo dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Si formò nell’Azione Cattolica forlivese, nella parrocchia, e poi come Presidente locale della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana). Nel 1969 – dopo «sei anni di servizio ai poveri di uno dei bassifondi della mia città natale, ai bambini del brefotrofio, alle bambine con disabilità mentale e vittime di grossi traumi di una casa-famiglia» – la venticinquenne Annalena Tonelli si trasferì in Africa per seguire le attività del Comitato per la Lotta Contro la Fame nel Mondo di Forlì che lei stessa, nel 1963, aveva contribuito a fondare.
Nel dicembre 2001, nella Sala Nervi, oggi Sala Paolo VI in Vaticano, durante un convegno al quale era stata invitata a partecipare, raccontò così la sua scelta di diventare missionaria: «Scelsi di essere per gli altri: i poveri, i sofferenti, gli abbandonati, i non amati, che ero bambina e così sono stata e confido di continuare fino alla fine della mia vita. Volevo seguire solo Gesù Cristo. Null’altro mi interessava così fortemente: Lui e i poveri in Lui. Per Lui feci una scelta di povertà radicale». In Africa inizialmente prestò la sua opera a Wajir, in Kenya, vicino al confine con la Somalia, dove si dedicò ai nomadi del deserto e ai profughi somali, salvando la vita a migliaia di loro.
Costantemente minacciata perché bianca, donna e cristiana, la Tonelli ebbe modo di dichiarare in un’intervista: «Non ho paura (…). Sono stata in pericolo di vita, mi hanno sparato, picchiata, sono stata imprigionata, ma non ho mai avuto paura». Dopo la sua denuncia dei massacri che il governo stava perpetrando contro una tribù di nomadi del deserto, nel 1984, fu costretta ad abbandonare il Kenya perché considerata persona non gradita. Nonostante questo Annalena non perse la sua voglia di continuare a lottare per il bene e per la verità: «Ho esperimentato più volte nel corso della mia ormai lunga esistenza che non c’è male che non venga portato alla luce, non c’è verità che non venga svelata. L’importante è continuare a lottare come se la verità fosse già fatta e i soprusi non ci toccassero, e il male non trionfasse. Un giorno il bene risplenderà».
Nel 1991, fu a Mogadiscio nei drammatici giorni della caduta di Siad Barre, e Annalena fu tra gli ultimi occidentali a lasciare la capitale somala. Da Mogadiscio si spostò a Merca, sulla costa meridionale della Somalia, dove continuò a occuparsi dei malati di tubercolosi, ma anche delle tante persone che stavano morendo di fame a causa di una terribile carestia. Quando la situazione divenne insostenibile, decise suo malgrado di andarsene. Graziella Fumagalli, il medico di Caritas italiana che la sostituì, venne uccisa pochi mesi dopo. Annalena Tonelli tornò in Italia per un anno che decise di trascorrere in preghiera e meditazione presso un eremo.
Nel 1996 tornò in Africa, a Borama, in Somaliland, dove fondò un ospedale con 250 letti e l’ambulatorio per la cura e la prevenzione della tubercolosi. Avviò la Scuola speciale per sordomuti e bambini disabili e si adoperò per combattere l’analfabetismo, convinta che, grazie all’istruzione, si sarebbe potuta migliorare la situazione economica e sociale di tante povere e sfortunate persone. Si dedicò in particolare ai bambini ciechi, sordi e mutilati per cause belliche e fu in prima linea nella lotta all’Aids e alle mutilazioni genitali femminili, l’ancora tanto diffusa pratica dell’infibulazione. Per gli indiscussi meriti umanitari, nel 2002, fu nominata Commendatore della Repubblica dal presidente Carlo Azeglio Ciampi.
In aprile del 2003 venne insignita dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) del prestigioso Premio Nansen Refugee Award, conferito ad associazioni o persone che si prendono cura dei profughi o comunque di chi soffre. Due anni prima lo stesso riconoscimento era stato attribuito a Luciano Pavarotti. Il premio, che fu assegnato la prima volta nel 1954, prende nome da Fridtjof Nansen, celebre esploratore norvegese, scienziato e politico, che fu il primo Alto Commissario per i Rifugiati della Società delle Nazioni, predecessore dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Purtroppo, il 5 ottobre 2003, Annalena venne barbaramente uccisa da un commando di terroristi a Borama, nel nord-ovest della Somalia, mentre rientrava alla sua abitazione, nei pressi dell’ospedale.
La tragica notizia apparve il giorno seguente sui quotidiani di mezzo mondo. Scriveva il «Corriere della Sera» del 6 ottobre: «Secondo le prime ricostruzioni, sconosciuti hanno fatto irruzione nell’abitazione della missionaria laica e le hanno sparato. La volontaria è morta un’ora più tardi in ospedale. “Non lasceremo nulla di intentato per identificare e portare dinanzi alla giustizia gli assassini di Tonelli”, ha assicurato il presidente del Somaliland». Annalena era donna di poche parole, convinta com’era che a parlare dovessero essere i fatti. Non era molto conosciuta nel nostro Paese ma, come ben scrisse la giornalista Franca Zambonini su «Famiglia Cristiana»: «le somale emigrate in Italia, i nomadi del Kenia, i tubercolotici di Manyatta, i malati di Aids di Borama e i rifugiati del Nord Somalia, cioè loro gli sconsolati della Terra, conoscevano bene Annalena Tonelli».
Fu sepolta in Somalia, come lei desiderava. In un periodo storico difficile come quello che stiamo vivendo, a noi restano la sua fede e il suo insegnamento. Le sue parole a favore degli ultimi, dei diseredati dal mondo, oggi sono vive più che mai: «(…) i piccoli, i senza voce, quelli che non contano nulla agli occhi del mondo, ma tanto agli occhi di Dio, i suoi prediletti, hanno bisogno di noi, e noi dobbiamo essere con loro e per loro e non importa nulla se la nostra azione è come una goccia d’acqua nell’oceano. Gesù Cristo non ha mai parlato di risultati. Lui ha parlato solo di amarci, di lavarci i piedi gli uni gli altri, di perdonarci sempre… I poveri ci attendono. I modi del servizio sono infiniti e lasciati all’immaginazione di ciascuno di noi. Non aspettiamo di essere istruiti nel campo del servizio. Inventiamo… e vivremo nuovi cieli e nuova terra ogni giorno della nostra vita».
Nel 2010, l’allora sindaco di Forlì Roberto Balzani aprì con queste parole le celebrazioni per il settimo anniversario dell’assassinio della volontaria forlivese: «Persone così lasciano tracce che meritano di essere tramandate alle generazioni future. La missionaria rappresenta un “unicum” umano e culturale in una società in cui il problema degli ultimi resta troppo spesso fuori dalla comunicazione pubblica, seppellito dalle urgenze quotidiane. Il ricordo della Tonelli è per noi, per la città, motivo di orgoglio, speranza e progettualità». A Forlì, tra via Guglielmo Oberdan e via Nazario Sauro, su una gran parte dell’area un tempo occupata dai reparti di fabbricazione delle stufe della ditta Becchi, oggi si trova un’area verde intitolata alla memoria di Annalena Tonelli, Medaglia d’oro al merito civile alla memoria del Presidente della Repubblica con la seguente motivazione:
«Per l’instancabile, silenzioso e appassionato impegno a favore dei profughi e dei rifugiati somali, vittime dell’analfabetismo, delle malattie infettive, della malnutrizione e della mutilazione femminile, fino alla barbara mortale aggressione, subita il 5 ottobre 2003, nei pressi dell’Ospedale di Borama, da lei stessa fondato. Fulgido esempio di coerenza, di senso di abnegazione e di rigore morale fondato sui valori più alti della convivenza civile e degli ideali di giustizia e solidarietà sociale» (3 novembre 2003).
(tratto dal libro “Personaggi di Forlì. Uomini e donne tra Otto e Novecento”, volume 2, di Marco Viroli e Gabriele Zelli)
La Rubrica Fatti e Misfatti di Forlì e della Romagna è a cura di Marco Viroli e Gabriele Zelli