L’avanguardia dell’esercito francese, guidata dal generale Charles Pierre François Augereau, fece il suo primo ingresso a Forlì il 24 giugno 1796, attraverso Porta Schiavonia. La città venne saccheggiata e depredata, spezzando uno status quo che perdurava da circa tre secoli, ovvero da quando aveva avuto inizio il dominio diretto della Chiesa. Il comando francese si insediò all’Albergo della Posta, sito nell’attuale corso della Repubblica, mentre un reggimento di sessanta dragoni si accampò alla barriera di Schiavonia.
L’arrivo delle truppe francesi rappresentò uno sgradito ritorno a tristi tempi passati, quando le forze straniere di passaggio facevano razzia ovunque per approvvigionarsi di viveri e di tutto ciò che era necessario per il mantenimento delle truppe, compiendo angherie e soprusi sulle popolazioni inermi. Pochi tra i cittadini forlivesi, quasi esclusivamente nobili e professionisti, compresero che l’arrivo dei francesi rappresentava una vera e propria svolta storica.
Vero è che gli eredi della Rivoluzione francese si presentarono a Forlì in maniera dispotica e violenta, imponendo pesanti provvedimenti alla popolazione, tra cui una pesante contribuzione, la spoliazione del Monte di Pietà e la requisizione di tutte le armi con obbligo di deposito immediato nel Palazzo Comunale.
All’indomani dell’entrata delle truppe transalpine a Forlì, una folla di popolani, incitata da capi improvvisati, assalì il Palazzo del Comune per riappropriarsi delle armi consegnate solo ventiquattro ore prima per ordine del generale Augereau. Il tumulto determinò il ritiro a Faenza dei francesi. In quel frangente fu determinante l’opera di mediazione del gonfaloniere, conte Gnocchi, che riuscì a placare gli animi e a dissuadere i francesi dal compiere pesanti rappresaglie.
Il 6 luglio 1796 vi fu un nuovo tentativo di ribellione quando la folla cercò di assalire il convoglio dei carri che stavano lasciando temporaneamente Forlì carichi di opere d’arte, armi e beni saccheggiati.
Pochi mesi dopo i francesi rientrarono trionfalmente a Forlì. Era il 4 febbraio 1797 quando Napoleone Bonaparte, non ancora ventottenne, accompagnato dai componenti della Giunta di difesa generale della Repubblica Cispadana, fece il suo ingresso in città al comando dell’esercito con il quale era riuscito a battere sul fiume Senio (2 febbraio) le truppe messe in campo dallo Stato Pontificio.
La scelta della data non fu certo casuale poiché il 4 febbraio, allora come ancora oggi, si celebrava la patrona della città, la Madonna del Fuoco, e la città era parata a festa. Bonaparte prese alloggio nel centralissimo Palazzo Gaddi, dove incontrò i membri della municipalità provvisoria, nominata in tutta fretta nelle persone di Vincenzo Cicognani, Nicola Fachinei, Giovan Battista Gaddi, Giuseppe Mangelli, Antonio Matteucci, Luigi Mirri, Giuseppe Palmeggiani, Antonio Romagnoli, Fabrizio Veggiani. Tra questi venne scelto Antonio Matteucci per ricoprire la carica di presidente. Insieme agli altri notabili cittadini, venne convocato a Palazzo Gaddi il vescovo Melchiorre Prati.
In quelle ore fu promulgato un editto, pubblicato due giorni dopo a Ravenna dalla Giunta di Difesa Generale della Repubblica Cispadana, in cui si dichiarava che il nuovo governo della Romagna, posto alle dipendenze della Cispadana, avrebbe preso «tutte le misure necessarie per reprimere i falsi preti, che si allontanassero dai principi della vera religione, e che volessero frammischiarsi negli affari temporali». Bonaparte riteneva che, zittendo il clero, si potesse meglio controllare il popolino.
Il futuro imperatore dei francesi (all’epoca comandante dell’Armata d’Italia) si trattenne a Forlì poco più di un giorno. Già la sera del 5 febbraio lasciò la città col suo esercito per riprendere la marcia verso le Marche e il cuore dello Stato Pontificio.
Non molto altro si sa di ciò che fece il leggendario corso nelle ore di permanenza forlivese. Dopo aver incontrato i maggiorenti della città, forse ne approfittò per riposarsi un poco dalle fatiche della guerra… di sicuro Forlì e i suoi abitanti gli fecero un’ottima impressione e gli lasciarono un buon ricordo.
Il 19 febbraio 1797, nella cittadina marchigiana di Tolentino, fu firmato il trattato di pace tra la Francia rivoluzionaria e lo Stato Pontificio con cui si completavano le clausole del precedente accordo siglato a Bologna e veniva siglata la cessione alla Francia di tutti i territori dello Stato Pontificio a nord di Ancona. In pratica, il Bonaparte aveva imposto a papa Pio VI il riconoscimento ufficiale alla rinuncia delle Legazioni di Forlì, Ravenna, Bologna e Ferrara. Per gestire questi territori fu creata l’Amministrazione Centrale d’Emilia e quando si trattò di decidere dove fissarne la sede, Napoleone in persona stabilì che da Ravenna fosse trasferita proprio a Forlì, dove, appena quindici giorni prima, aveva vissuto quelle poche ore di pace e tranquillità.
A conclusione di un mese ricco di accadimenti, il 27 febbraio 1797, fu ufficialmente proclamata l’unione di Forlì alla Repubblica Cispadana, insieme a Bologna, Modena, Reggio e Ferrara.
La Rubrica Fatti e Misfatti di Forlì e della Romagna è a cura di Marco Viroli e Gabriele Zelli