Si è tenuta questa mattina una visita ispettiva al carcere di Forlì della portavoce alla Camera dei Deputati Giulia Sarti e del portavoce in Consiglio Regionale Andrea Bertani, attesi all’uscita dai portavoce Comunali di Forlì Benini e Vergini.
“Abbiamo chiesto ai nostri portavoce in Parlamento una visita ispettiva, come prerogativa dei parlamentari, poiché ci sono stati segnalati numerosi problemi che purtroppo affliggono il nostro carcere, in aggiunta alle già note vicende che hanno coinvolto la struttura negli ultimi mesi: un agente di polizia penitenziaria – in servizio presso il carcere – arrestato per detenzione di cocaina ai fini di spaccio, e la denuncia per truffa ai danni dello Stato per timbrature fasulle a due medici “furbetti del cartellino” in servizio presso l’infermeria”, raccontano Benini e Vergini.
“Oltre a tutto questo erano emerse altre segnalazioni, sia strutturali che organizzative: mancanza di acqua calda, cibo scadente e non idoneo ai fabbisogni dei carcerati (non è previsto cibo diversificato per chi soffre di intolleranze o di patologie più o meno gravi), situazioni di disagio per i visitatori, soprattutto nei periodi invernali, nonché l’ormai annoso problema dei “sovraffollamenti” sintetizzano Benini e Vergini.
“D’inverno la sala d’attesa è lasciata senza riscaldamento e talmente fredda che si fatica ad aspettare il turno per entrare a visitare il detenuto, oltretutto, dopo le perquisizioni, ci si deve togliere l’abbigliamento pesante e quindi il freddo è ancora più pungente. I servizi igienici sono fatiscenti, non c’è una palestra, i detenuti non sanno come passare il tempo, c’è umidità nella struttura, poca acqua calda e non sufficiente per tutti. Oltre a tutto questo, con la motivazione del poco personale a disposizione, verrebbero anche costantemente rinviate le richieste di permesso e gli altri benefici penitenziari, con istanze in attesa anche oltre un anno perché non vengono fissate le camere di consiglio che dovrebbero decidere se i detenuti possano lavorare fuori dal carcere e quindi incominciare un percorso riabilitativo“, spiegano Benini e Vergini, riportando alcuni spezzoni delle segnalazioni ricevute.
“Dalla visita ispettiva è emerso che la struttura ha effettivamente problemi di manutenzione e infiltrazioni. Alcuni dei lavori di ristrutturazione erano sospesi per via del promesso e mancato trasferimento al nuovo carcere o per mancanza di fondi. Ad esempio la palestra, tuttora inagibile, sarà presto rimessa in funzione dopo i lavori effettuati dagli stessi detenuti. Sono disponibili vari laboratori di lavoro interni con spazi adeguati ma purtroppo riservati a pochi soggetti. Non abbiamo rilevato problemi di sovraffollamento, tuttavia qui c’è l’unica sezione femminile della Romagna, attualmente 21 detenute su un totale di 122, ed ogni nuovo ingresso può creare difficoltà di spazi adeguati. A dicembre è cambiato il magistrato di sorveglianza e si spera che le istanze dei detenuti vengano evase con maggiore celerità. Presenteremo interrogazioni in Parlamento e in Regione per evidenziare quanto emerso e sollecitare questo inaccettabile ritardo sui lavori del nuovo carcere” dichiarano Sarti e Bertani.
“La situazione è paradossale e la Politica, quella con la P maiuscola, dovrebbe prendere decisioni importanti: la Rocca di Ravaldino, conosciuta come la “Rocca di Caterina Sforza”, la “leonessa di Romagna”, potrebbe diventare un punto attrattivo storico/culturale della città, ma necessita di ristrutturazioni, di cure e di rivitalizzazione. Purtroppo, come sappiamo, ciò potrà avvenire solo a seguito della costruzione del nuovo carcere, il cui cantiere invece è ormai fermo da tempo nonostante le rassicurazioni di vari parlamentari locali del Pd. Per questo, chiediamo attraverso i nostri Portavoce in Parlamento, di sollecitare il Ministero ad attivarsi per velocizzare al massimo la realizzazione del nuovo carcere, e per avere date certe, il trasferimento dei detenuti nella nuova struttura sarebbe anche una soluzione a gran parte dei problemi riscontrati e darebbe loro maggiori possibilità di riabilitazione sociale”, concludono Benini e Vergini.