Di eudemonismo, quella filosofia che considera come naturale degli uomini la felicità e conferisce alla esistenza umana il dovere di raggiungerla, è gioiosamente intrisa l’anima artistica di Diana Paun. Di insegnamento socratico; di ideali aristotelici che guardano alla felicità quale perfezione individuale; e, anche, della dottrina di Epicuro, e, volendo, di morale cristiana, quando questa fa della beatitudine il premio per la virtù. Con la ricerca della natura e dell’autenticità, nel recupero dei valori etici, della libertà di pensiero e di espressione, il Rinascimento e l’Illuminismo, provarono a fare della voglia umana di felicità, il basamento della norma morale. È Kant che sminuisce l’eudemonismo come azione morale quando questa non debba ricorrere al dovere.
È Diana Paun che spoglia la felicità della individualità e la veste con tutti e tutto: non esiste una felicità personale, ma esiste quella di tutti, collettiva, che irradia facendo di tutti uno. Una unica vita – vissuta insieme da mondo animale, umano, vegetale, minerale – che è felice quando sono amati tutti, nel rispetto della natura. Questa mostra ospitata dalla Galleria d’Arte Moderna “Jacopo Cavedoni” a Sassuolo, nel modenese della regione italiana dell’Emilia-Romagna, brilla di energia di storia balcanica; si tratta di una efficacia insignita dagli strumenti di Diana Paun nello stendere e volere colori rumeni a beneficio della investigazione ideologica personale, e si notano sovrapposizioni e influenze romaniche, bizantini, slavi, cristiani, e si respira pure il tepore della tipica casa di campagna russa, antico patrimonio dei Daci, in memoria delle tradizioni e di affetti antichi perduti.
Sotto accusa sono principalmente l’ignoranza e la bestialità umana. Paun eccelle nella rappresentazione della figura antropica e animale, e si caratterizza per essere una eroina animalista della contemporaneità. In tutte le sue raffigurazioni, con opere di fortissimo impatto, trovano volto protagonisti che hanno un che di bestiale e di urlante, di profondamente tragico. Nelle sue tele il volto umano (ottimamente costruito), ed anche quello animale, perdono la loro forma naturale per diventare orrore e lanciare un appello alla non violenza, una richiesta di aiuto resa ancora più potente dall’uso del colore che, sovrapposto da una pennellata dopo l’altra, aumenta lo spessore dell’immagine fino a deformare la fisionomia. Figure tese, squadrate e allucinate, e non è la fantasia che suscita l’orrore bensì la realtà denunciata dall’Artista sapientemente. Una pittura erudita e precisa che istruisce il soggetto e il fruitore con il vigore delle immagini. Vernice sabato 2 dicembre alle ore 16,00 fino al 13 dicembre.