Misterioso il fatto che vi siano pochi studi e pochi approfondimenti, rare e sporadiche le pubblicazioni, su quale fosse la consistenza industriale nella città di Forlì fra fine ‘800 fino alla prima guerra mondiale e, anche, durante il Ventennio ma che vide la presenza d’importanti attività quali la Bonavita, la Mangelli, la Bartoletti, i Cantieri Benini, la Forlanini, la Becchi, l’Eridania, per citare le maggiori, che tanti forlivesi e non ricorderanno sicuramente. Di questa forte presenza rimangono i ricordi, molte immagini fotografiche e documenti ma quasi tutti gli opifici allora esistenti sono stati col tempo dismessi e, man mano, demoliti per essere sostituiti con altro.
Di quanto costruito rimangono, oggi, un paio di palazzine ristrutturate e riutilizzate, l’imbarazzante edificio dell’ex zuccherificio Eridania, oramai ridotto a uno scheletro, e l’imponente edificio che ospitava il setificio della Filanda Maiani (che alcuni scrivono, erroneamente, Majani). Proprio quest’ultima è un esempio di come sia stato possibile, senza demolirlo, utilizzarlo visto che al suo interno si sono insediate diverse attività e, dettaglio non secondario, ha anche mantenuto la sua ciminiera (giacché in pratica tutte le altre presenti nello skyline forlivese sono state abbattute o brutalmente capitozzate). A ciò si aggiunge che, anche solo esternamente, si può ancora cogliere l’interessante architettura che compositivamente è caratterizzata da particolari proporzioni essendo un edificio molto lungo e stretto, ma anche alto, con ampie finestrature ad arco che ne scandiscono ritmicamente le facciate. Il mattone che costituisce la struttura muraria, mantenuto faccia a vista, lo caratterizza in modo particolare anche perché ottimamente conservato.
Sono anche presenti dettagli quali gli spigoli arrotondati dell’edificio o il timpano stilizzato del lato più corto il che allinea l’intero complesso ai caratteri degli edifici industriali mitteleuropei. Le cronache riportano che la Filanda “nuova” fu fondata da Giulio Panzeri nel 1898 per poi finire ai signori Bonacossa di Vigevano e che, ai primi del ‘900, occupava circa duecento operai. Fu nel 1918 che l’industriale forlivese Napoleone Maiani la rilevò rinnovando tutti gli impianti aggiungendo macchinari oltre a creare nuovi reparti. A metà degli anni ’20 del novecento lo stabilimento occupava una superficie di 9.000 mq. di cui 3.000 mq. coperti dai fabbricati e nei saloni della filatura, posta su due piani, vi erano 240 bacinelle destinate alla lavorazione dei bozzoli occupando circa seicento operai tutto l’anno; al tempo era uno di più grandi stabilimenti d’Italia.
Ancora interessante leggere che nei saloni della filatura importanti ventilatori in estate e aerotermi d’inverno, contribuivano a mantenere l’ambiente salubre e arieggiato per abbattere il vapore prodotto dall’acqua in ebollizione delle numerose bacinelle.
Ma la Filanda Maiani ha il primato di aver creato il primo asilo nido forlivese, destinato ai figli delle operaie che per la quasi totalità erano donne. Fu su iniziativa del Fascio Femminile che il 1° marzo 1923 si avviò il “nido” all’interno del setificio che permetteva alle operaie, per due volte al giorno, durante l’orario di lavoro, di allattare i propri figli. Si legge, sempre nelle cronache, che la stanza che funzionava da “nido” era ampia e con “…larghe finestre da cui entrano abbondantemente luce e sole, mentre d’inverno, per la generosità del proprietario Sig. Cav. Napoleone Maiani, viene convenientemente riscaldato dal termosifone. Esso contiene una ventina di culle circa, allineate alle pareti, ricoperte di lenzuolini sempre lindi e puliti: ivi i piccini riposano e dormono nell’attesa dei pasti quotidiani. Tre donne, fra cui una sorvegliante, hanno cura amorosa dei piccini, mentre quattro signore del Fascio Femminile, fungono da Ispettrici del Nido, e due medici sono pronti a curarli al più piccolo disturbo fisico…
Il “nido” è costato finora annualmente L. 6500; è finanziato dal Cav. Maiani Napoleone, proprietario della Filanda, per L. 200 mensili, dal Comune per L. 500 annue e dalla Congregazione di Carità per L. 500. Il resto è versato in quote mensili dal Fascio Femminile stesso…(*)”.
Le notizie riportate sono tratte da un pubblicazione del 1926 e stupisce scoprire, leggendo da più parti, che la filanda fallì solo tre anni dopo, nel 1929, a causa della crisi internazionale e della concorrenza. Al di là che vorrei approfondire le ragioni della cessata attività, credo che l’esperienza dell’imprenditore Napoleone Maiani, che nel 1925 ebbe il riconoscimento di Cavaliere del Lavoro, meriti di essere ricordata sia per essere stata una realtà del mercato serico a livello nazionale ma, soprattutto, per le attenzioni avute nei confronti della qualità degli ambienti di lavoro e per la creazione dell’asilo nido.
L’edificio, fortunatamente, è segnalato come appartenente al patrimonio culturale dell’Emilia Romagna dall’Istituto per i beni artistici, culturali e naturali sperando che ciò ne permetta la sua salvaguardia.
(*) tratto da: Monografia Industriale, Forlì, 1926