Giuseppe Fiumi, noto come Pippo, soldato italiano, arruolato nella sesta compagnia Sanità, fu catturato assieme ad altri commilitoni. Era il fine settembre del 1943 e la cattura avvenne da parte di coloro che fino a pochi giorni prima erano considerati amici e ci consideravano alleati: i tedeschi. La disposizione era: o passare alla R.S.I. (la Repubblichina) o finire in prigione in un lager nel nord d’Europa.
Come tanti altri, lui scelse la prigionia e fu costretto a lavorare nei campi di concentramento dove regnavano il freddo e la fame. La fatica era tanta e l’ambiente gelato, ostile e la scarsità di cibo sembravano togliere ogni speranza. Alcuni mesi dopo, una lettera di mio padre a mia madre, datata 30 luglio 1944, suggerisce cosa poteva significare per lui la liberazione che aspettava con ansia, trepidazione, batticuore e timore. “La speranza che finisca tutto al più presto appare vicina, già a tutti noi sembra di vivere nella vita futura… se avremo la fortuna di riunirci insieme, dimenticheremo tutto il passato e ci regaleremo un avvenire sereno e tranquillo.
Quante volte ho ascoltato il suo significato di liberazione: trascorrere l’esistenza in un mondo fatto a misura d’uomo, più generoso, più felice”. Ma i sogni di mio babbo si sono avverati? O qualcosa non ha funzionato? Le guerre sono continuate, non così estese come la seconda guerra mondiale, ma focolai crudeli in zone delimitate, circoscritte. Perché? La risposta è difficile multipla ed anche semplicistica forse. Le armi esistono ancora, sempre più moderne, più micidiali, sempre più devastanti e sempre più alla portata di molti.
La TV, i giornali, gli smartphone stessi ci rimandano immagini terrificanti, angoscianti che lasciano un sapore di ingiustizia mista a crudeltà. Ma vengono da lontano, a volte molto lontano da noi ed allora possiamo quasi dimenticarle, vivendo solo racchiusi in noi stessi, essendo eternamente bruchi e mai farfalle. Ma allora il babbo aveva torto! No, sognava, gli erano spuntate le ali e viveva un po’ al di sopra della realtà, convinto fino all’ultimo che tutto potesse cambiare e che la malinconia che lo avvolgeva quando assisteva al ripetersi degli stessi stupidi ed inconcludenti errori di prima della guerra fosse dovuta all’età che passa ed alla malattia. In realtà era convinto che chi aveva vissuto la guerra non potesse sopportare neanche l’idea che per sé e per i giovani e per i non ancora nati tutto ricominciasse come se il dolore, la sofferenza. la lontananza, la fame, le atrocità non avessero neanche mai sfiorato l’umanità.