Milano non ha certo bisogno di essere presentata né tantomeno occorre sottolineare la sua centralità per quanto attiene il mondo della finanza, dell’industria, della moda, del design e della cultura in generale. La centralissima piazza del Duomo, poi, con il suo collegamento attraverso la famosa galleria Vittorio Emanuele II alla Piazza della Scala, è il baricentro della mondanità milanese e i frugali scatti dei passanti o visitatori occupano intere pagine sui social, nei notiziari e nei rotocalchi.
Forse, non tutti sanno che questo crocevia di percorsi coperti con una superficie vetrata, ovvero la Galleria Vittorio Emanuele II, fu progettata e diretta nell’esecuzione da un istrionico architetto romagnolo, per la precisione un imolese nato a Fontana Elice (ora Fontanelice), tal Giuseppe Mengoni. Poco nota la sua particolare vicenda professionale e, anche, la sua tragica dipartita dovuta alla caduta dalla sommità della galleria mentre stava compiendo un sopralluogo poco prima della sua inaugurazione, il 30 dicembre 1877.
Ripercorriamo, brevemente, le vicende di quest’architetto romagnolo che nacque, come detto, a Fontanelice, Imola, il 23 novembre 1829, poi trasferitosi a Bologna, nel 1847, per proseguire gli studi all’Accademia ma anche in fisica e matematica. Laureatosi nel 1851, viaggiò in Germania, Francia e Inghilterra soggiornando anche a Roma per poi iniziare le sue prime esperienze in campo architettonico e ingegneristico.
Il 1860 fu per l’Italia la data della svolta verso l’Unità d’Italia e allo stesso anno risale un concorso di idee indetto dal Municipio milanese, per riformare piazza del Duomo e connetterla con piazza della Scala, al fine di raccogliere proposte credibili e fattive. Dagli oltre settanta progetti una commissione appositamente istituita rielaborò ed estrapolò alcuni concetti informatori che costituirono le linee guida da iscrivere nel programma di un successivo concorso bandito nel 1861 aperto ai soli “cultori dell’arte”. L’ipotesi concorsuale prevedeva la completa demolizione di un intero quartiere a fianco del Duomo compreso il “coperto dei Figini” e l’isolato del Rebecchino per aprire una piazza rettangolare e collegare piazza della Scala. I quattro progetti finalisti praticabili furono: “Dante” del romagnolo Giuseppe Mengoni, “Ammirazione” del milanese Davide Pirovano”, “Alla nazione Italiana” del veneziano Paolo Urbani e “Temo e spero” del comasco Gaetano Martignoni.
Non fu, però, proclamato nessun vincitore e nel febbraio del 1863 fu definita un’ulteriore fase concorsuale ristretta a soli tre professionisti e vinse il romagnolo architetto Mengoni, che al tempo aveva trentaquattro anni, perché miglior interprete dei desiderata del concorso. Così, la Galleria che inizialmente prevedeva un solo braccio fu ampliata e rielaborata fino a giungere, nel settembre del 1864, alla sua soluzione finale con due assi principali ortogonali fra loro e uno spazio ottagonale nell’intersezione fra i due. La soluzione della copertura in ferro e vetro non era inedita a Milano ma l’ispirazione va ricercata a Parigi nella Galerie d’Orléans al Palais Royal o a Londra.
Avviata la procedura d’esproprio delle aree interessate e iniziata la demolizione degli edifici esistenti, il 7 marzo 1865 la cerimonia di posa della prima pietra e da quell’anno, fino al 1867, il cantiere vide la presenza di circa mille uomini in rappresentanza delle diverse specialità tra manovali, falegnami, fabbri, vetrai, scalpellini, stuccatori e decoratori oltre altri. Varie vicissitudini dovute a cambi nell’amministrazione, a problemi di tipo economico-finanziario, alla burocrazia e a questione legali, protrassero i lavori di oltre dieci anni fino al suo compimento nel dicembre del 1877. Fu, come accennato, a causa di un sopralluogo del Mengoni in cantiere che il 30 dicembre di quell’anno, che per controllare gli ultimi dettagli si arrampicò in copertura e, scivolando, cadde rovinosamente al suolo.
Non ancora cinquantenne, nel pieno della sua attività professionale, il romagnolo architetto Giuseppe Mengoni oltre alla straordinaria e ancora attuale galleria Vittorio Emanuele II, lascia opere quali il Palazzo Cassa di Risparmio a Bologna e il Mercato Centrale di San Lorenzo a Firenze, per citare i casi più noti.
Giancarlo Gatta