Quando ho appreso che nei giorni scorsi è morto Pier Giuseppe Flamigni, storico esponente della musica romagnola, clarinettista insuperabile e compositore-autore, nonché componente, fra le altre, dell’orchestra Castellina-Pasi, mi è subito venuto in mente un capitolo del libro “Romagna mia!” di Cristiano Cavina.
Per ricordare Flamigni e nel contempo consigliare il volume di Cavina, una serie di brevi saggi ironici dove racconta la nostra terra e i suoi personaggi, che in tempi di coronavirus e dovendo stare in casa è anche una piacevole e interessante lettura, ne estrapolo alcune brevi parti. In particolare dal capitolo “La sua musica: Taca Zaclèn” dove lo scrittore racconta della sua iniziale avversione nei confronti del “liscio” e della rivalutazione che ne è conseguita proprio grazie a un brano inciso dall’orchestra dove ha suonato Flamigni.
Scrive Cavina: “Da ragazzo odiavo il liscio. Se devo essere sincero, mi vergognavo quando lo vedevo ballare nelle sagre o durante le feste: non mi piaceva un granché da adolescente sentirmi praticamente un contadino, e quel ballo mi sembrava avesse qualcosa di plebeo addosso. Quando poi si univano ai balli gli ‘s-ciucaren’, gli s-cioccarini, con i loro gilè smanicati e le fruste di corda che battevano il tempo spaccando l’aria, ecco, mi sarei nascosto dall’imbarazzo. Mi sembravano terribilmente ridicoli. Ma non potevo nascondere il fatto che era impossibile tenere fermi i piedi. Nessun essere umano riesce a restare impassibile, prosegue Cavina, quando l’orchestra attacca ‘Tutto pepe’ dell’immortale maestro Castellina. È uno di quei brani che ci scorre direttamente nel sangue, e che anche chi non sa ballare si butta in pista, anche solo per fare il matto“.
Poi Cavina racconta la genesi della musica popolare romagnola che ha avuto come caposcuola Carlo Brighi, detto Zaclèn (1853-1915), che ha scritto oltre milleduecento brani, tra polke, mazurke e valzer. Da ricordare che il Fondo Piancastelli della Biblioteca Comunale di Forlì custodisce 831 partiture manoscritte di Brighi. Dall’elenco delle composizioni risultano 465 valzer, 194 polke, 141 mazurke, 19 manfrine, 10 galop, un saltarello e una quadriglia. Da questo fondo ha attinto molti spartiti il violinista Teddi Iftode che, insieme ai suoi figli, il violinista Radu e il pianista Vlad, ripropone con maestria in giro per la Romagna nelle diverse serate che chi scrive spesso ha il piacere di coordinare.
Ed infine Cavina confessa di aver “fatto pace con il liscio; a ballarlo come si deve mai, ma ad ammirarlo sì“. Poi persegue: “Resto sempre incantato davanti a quel turbinare di coppie sulla pista, dai saltelli e dai calci volanti degli uomini, dalle sottane che si alzano e dalle guance rosse delle spose che bruciano come tizzoni ardenti: penso con gusto a quanto mi sarebbe piaciuto che ballerini simili fossero finiti nelle regge asburgiche, a sparigliare i valzer perfetti e impostati dell’aristocrazia, come un bambino vivace che mette in subbuglio lo studio del padre“.
Lo scrittore di Casola Valsenio conclude sostenendo che non solo ha fatto pace con il “liscio”, ma è andato oltre una volta conosciute le sue “origini bastarde ed epiche” che “mi riempiono d’orgoglio”. “Quando poi ho scoperto, aggiunge Cavina, che la famosa sigla di uno dei miei cartoni animati preferiti, ‘Lupin’, era della grandissima orchestra Castellina-Pasi – la stessa del travolgente ‘Tutto pepe’ – me lo sarei scritto sulla carta d’identità che vengo dalla patria del liscio”. Una patria che Pier Giuseppe Flamigni, nato a San Savino di Predappio nel 1937, ha contribuito a rendere più accogliente con oltre 1200 brani incisi, due Dischi d’oro conseguiti e la collaborazione con grandi personaggi della musica leggera come Giorgio Gaber, Mina e Gianni Morandi.
Definito l’ultimo grande virtuoso del clarinetto il suo strumento è stato il principe del folklore musicale romagnolo, da fine ‘800 con Zaclèn, reso poi popolare da Secondo Casadei e infine esaltato in tutte le sue potenzialità virtuosistiche proprio da Pier Flamigni.
Flamigni ha avuto anche un’altra passione: quella di scrivere poesie e zirudele in dialetto romagnolo e note sono alcune delle sue pubblicazioni: “Com’ un Re”, storia di Padre Pio, “Ac’ bel urlè int e’ domèla”, favole in dialetto romagnolo, “E’ sèl int la gozla”, le stagioni, i segni zodiacali, i pianeti e aforismi, “La Murèla”, 120 sonetti di Trilussa, tradotti in romagnolo, “L’ont par tòt i mèl”, sempre in dialetto romagnolo, con sonetti ispirati alla vita di Don Pippo, il “Parroco di Forlì”, “So e zo par e stivel”, “Una muliga ad bon sens”, “La radisa de dialet int è sangv” e “E’ rispir dla rumagna”, favole e poesie.
Gabriele Zelli