La storia della distruzione di un “Santuarietto” e della chiesa della Boara di Malmissole si presta come paradigma per denunciare le violenze e le insensatezze delle guerre e in particolare del Secondo conflitto mondiale. Un racconto che ben si inquadra nella riflessione di cosa vuol dire per l’Italia festeggiare la Liberazione il prossimo 25 aprile.
Don Giacomo Zaccaria (Meldola 1904-Forlì 1991) ha ricoperto il ruolo di parroco della Boara di Malmissole fino al 15 dicembre 1946, quando fu sostituito da don Gino Ricci (Ravenna 1909-1988), ed è stato testimone dei terribili giorni del passaggio del fronte durante il Secondo conflitto mondiale in cui gran parte degli edifici parrocchiali della zona furono totalmente distrutti o gravemente danneggiati. Di quelle vicende don Zaccaria ha lasciato memoria scritta, così come del periodo successivo quando si iniziarono ad elaborare progetti per la ricostruzione. Nel fare il quadro di quanto avvenne ha scritto: “I tedeschi nella ritirata dal fronte il 2 novembre 1944, fecero saltare con mine il campanile della chiesa parrocchiale per cui andarono distrutti al completo i muri, la facciata, la copertura e il soffitto. Distrutti pure l’altare maggiore, un altare laterale, l’organo, delle statue e il battistero. Gravemente danneggiati i banchi e le suppellettili, gli infissi e le grondaie e ridotte in frantumi le campane. Anche la canonica ha subito gravissimi danni nelle stanze attigue alla chiesa, con la distruzione di parte del tetto e il crollo dei soffitti, oltre a lesioni rilevanti a muri e pareti interne”. Sempre don Zaccaria ricorda inoltre che: “Il Santuario di Boara, in territorio della parrocchia, è stato raso al suolo ad opera di mine poste dai tedeschi. Era stato costruito da pochi anni in armonico e bellissimo disegno. Anche le macerie furono immediatamente asportate dalle truppe alleate per riparare le strade, sicché più nulla è rimasto”.
Nel modo in cui don Zaccaria redige questo elenco dei danni appare chiaro che alla rabbia per i disastri provocati dai soldati tedeschi è subentrata una fase in cui si pensa alla ricostruzione che sintetizza in questo modo: “La ditta Artemide Benetti di Roma, in collaborazione con l’architetto Benigni, ha elaborato il progetto di ricostruzione della chiesa parrocchiale già approvato dalla Pontificia Commissione per l’Arte Sacra e dal Ministero dei Lavori Pubblici. Alla canonica furono fatte riparazioni sufficienti per una precaria dimora. Presentemente le funzioni religiose si svolgono in un locale della Cassa Rurale”.
La Chiesa della Boara di Malmissole è stata integralmente riedificata e la relativa cerimonia di consacrazione del luogo sacro avvenne il 18 marzo 1951 alla presenza del vescovo di Forlì Mons. Paolo Babini.
Il tono del racconto di don Zaccaria delle giornate dell’autunno 1944 era stato ben più accorato e doloroso a partire dal momento in cui riferisce che purtroppo le abbondanti piogge che caratterizzarono il mese di ottobre stavano ritardando l’avanzata dell’Esercito Alleato tanto che, scrive: “Gli Inglesi presto sarebbero stati fra noi se non avesse piovuto. Piove fino alla fine di Ottobre ed ai primi di novembre. I fiumi ingrossano. I ponti sono saltati in aria. I Tedeschi resistono. Hanno tutto il tempo per poter collocare mine”.
La distruzione della Chiesa di Malmissole e del Santuario della Boara
Poi il parroco racconta con toni angosciati i danni enormi prodotti dai guastatori dell’esercito tedesco: “2 novembre 1944. Giorno dei morti, ma brutto per noi vivi. Tre tedeschi si presentano dopo mezzogiorno. Si mangia, si offre anche a loro il cibo e il vino per farli ragionevoli. Hanno l’ordine di gettar giù il campanile, perché “qui cadere molte granate, causa campanile” (Dopo ne caddero di più). Ci mostrarono una “piccola mina, sei chili, piccola cosa”, nera, tonda. Noi li pregammo di desistere; non ci fu verso. Andammo a chiamare uomini per salvare le campane. Ma gli uomini tiravano indietro per timore di essere razziati dai tedeschi.
Avemmo il tempo di mezz’ora e in così breve periodo ben poco si poté fare. Ci mandarono nella casa vicina e poi vennero anche loro. Da questa contemplammo l’esplosione delle mine, la distruzione del campanile e della chiesa (e di tante nostre fatiche). Due mine erano state poste. Una lunga a pian terreno, l’altra al secondo piano (quella tonda e nera). Ritornammo pieni di tristezza alla nostra canonica. Era così nascosta da un nugolo di polvere, che la credevamo distrutta del tutto. Per bontà di Dio, ciò non fu. Ai tedeschi che erano tornati con noi per osservare l’effetto e che ridevano, dissi: “Siete contenti, ora?”. Risero di più.
Guardingo, per timore che i piedi e la testa non fossero al sicuro, salii i gradini della scala staccata dalla parete. Dal pianerottolo mi affacciai alla finestra e non vidi più il campanile e la chiesa di Boara. Compresi che anche questa era stata fatta saltare da mine. Corsi verso Boara, trovai tutto a terra, dalle macerie cavai l’immagine della Vergine, la baciai e la portai a casa.
Si erano aperte le pareti della chiesina ed il tetto era quasi ancora unito. Il campanile era caduto da una parte, quasi tutto d’un pezzo. Le campane erano rimaste intatte, al contrario di quelle della parrocchia, frantumate in mille pezzi. Molto si poteva ancora salvare. Non avendo io mezzi di trasporto invitai qualche contadino a portare oggetti e pietre alla casa parrocchiale. Ma nessuno si mosse. Cadevano ancora le granate. Ciò che non fecero i tedeschi fecero, poi, gli inglesi. Portarono via tutto (molto anche dalla chiesa parrocchiale) il materiale per bruciarlo e per gettarlo lungo le strade ove i carri armati avevano fatto solchi enormi, impossibili a colmarli.
Però anche i parrocchiani si impadronirono di pietre, tegole, legno. Una vergogna! Gli Inglesi si fecero vedere il giorno dieci novembre. Definitivamente il dodici vi rimasero, stracarichi e straricchi di camionette, carri armati, automobili, cannoni. Quando si seppe che gli aerei inglesi non avrebbero bombardato più, perché vicini alla liberazione, le strade e le vie si riempiono di panni bianchi. Volevano forse far comprendere agli aeroplani che eravamo finalmente liberi dalle bombe?… Ma lo sapevano già. Le granate tedesche continuarono a cadere invece ancora per un mese” (venivano lanciate dalla sponda opposta del fiume Montone, lato Faenza dove contingenti dell’esercito tedesco si fermarono a lungo e tutta la zona attigua alla via Lughese ne risentì moltissimo in termini di ulteriori distruzioni e di morti, soprattutto civili ndr).
Un’edicola votiva al posto del santuario
Il Santuario della Madonna della Boara, non essendo una chiesa parrocchiale, non è stato ricostruito, al suo posto è stata realizzata un’edicola votiva, tutt’ora ben tenuta e curata. Si è voluto comunque e giustamente lasciare memoria di un “culto intenso poiché la festa, che cadeva l’ultima domenica di aprile, era sempre svolta con grande solennità”.
La celletta è collocata a margine della scarpata del sovrappasso dell’autostrada e non è visibile da chi transita su via Trentola proprio a causa delle modifiche alla viabilità apportate per la realizzazione della grande arteria stradale.
Perché tante rovine e tanto scempio di edifici religiosi?
Si dice che i campanili siano stati abbattuti perché potevano servire da osservatorio agli alleati. È una tesi da rimettere in discussione perché non tiene conto che in altre zone questo non è avvenuto (ad esempio nelle vicine Marche non è avvenuto quasi da nessuna parte ad esclusione di Fano), o è capitato in misura inferiore. Dal punto di vista militare poteva essere valida nella prima guerra mondiale, non già nel 1944 nella fase di avanzata degli alleati abbondantemente dotati di aerei ricognitori che tenevano sotto controllo, notte e giorno, i vari settori del fronte.
Se i tedeschi avessero voluto distruggere possibili centri di osservazione avrebbero gettato a terra molti altri campanili delle chiese del centro storico, che invece non furono toccati e si “limitarono” a distruggere quello del Duomo e la Torre Civica. Solo quello di San Mercuriale fu minato ma gli ordigni non furono fatti brillare in seguito all’intervento di molte persone e in particolare di don Giuseppe (Pippo) Prati.
Inoltre i campanili e gli altri edifici abbattuti delle zone di campagna spesso non si trovavano su carreggiate strategicamente importanti e nemmeno in punti di svincolo della città.
È possibile che anche altri fattori siano alla base della decisione tedesca di distruggere campanili, con relativo scempio delle chiese, come potrebbe essere un atto di barbarie completamente gratuito. Un modo con cui i tedeschi dimostrarono rancore, rabbia e disprezzo verso la Chiesa che a Forlì vedeva molti parroci sostenere direttamente la Resistenza e molte canoniche essere punto di riferimento per gli antifascisti passibili di cattura da parte dei nazifascisti se individuati.
Disprezzo che si estese alla città, la declamata “Città del Duce”, che in quelle settimane stava dando risorse importanti alla lotta contro un esercito invasore.
È importante evidenziare che nelle alte sfere dell’esercito tedesco, così come nella gerarchia inferiore, vi erano numerosi “antipapisti” (non dimentichiamo che in Germania il nazismo non era stato contrastato da molti luterani, ma prevalentemente dai cattolici). Altrimenti come si spiegherebbe la distruzione del Santuario della Boara che il parroco don Arfelli aveva voluto ricostruire ex novo nel 1938? Nonostante la facciata in stile romanico anche la nuova costruzione continuò ad essere denominata “il santuarietto” per le modeste dimensioni, era lunga 9 metri, larga 4,80 e alta 5. Molte delle case o delle ville padronali presenti nelle nostre campagne avevano dimensioni ben maggiori e luoghi ben più alti del campanile della Boara (vedasi le torri colombaie) eppure non furono abbattute.
Da questo punto di vista va riconsiderata la cronaca degli ultimi giorni del passaggio del fronte a Forlì che troviamo in “Memorie storiche della chiesa dei Romiti” di don Emilio Gezzi della parrocchia dei Romiti.
Seguiamo il suo racconto:
9 novembre – “Gli alleati prendono possesso di Forlì. Nella notte del giorno 9 novembre una ventina di soldati tedeschi entrano nella Canonica dei Romiti sfondando la porta d’ingresso. Alle ore 4.30 è fatto saltare il ponte di Schiavonia. Per tutta la notte i tedeschi minacciano di cacciare di casa l’Arciprete. Alla mattina seguente, col pretesto che l’Arciprete difendeva i partigiani, nello spazio di dieci minuti (erano le ore 10.00), viene cacciato dalla Canonica e obbligato a lasciare la chiesa aperta. Trovandosi in mezzo alla strada e non sapendo dove rifugiarsi (in città era impedito il transito per la caduta del ponte e per l’occupazione dei partigiani e degli Alleati) si avvia per la strada di Villagrappa fermandosi nella casa colonica, attigua alla chiesina delle Passere, di proprietà di mons. Rambelli.
11 novembre – Gli alleati, avendo saputo che i tedeschi occupavano la Canonica dei Romiti, hanno lanciato alcune bombe che sono cadute a pochi metri dalla Canonica rovinando il muro esterno dalla parte del campo.
13 novembre – Dopo la partenza dei tedeschi, l’Arciprete rientra in Canonica e trova un mucchio di rovine. Mobili spezzati e sovrapposti come in una barricata; i viveri e gli indumenti saccheggiati ed asportati; la chiesa profanata; qui i tedeschi avevano compiuto le azioni più ributtanti ed incivili. Degni emuli degli Unni!… Il loro passaggio sarà eternamente ricordato con raccapriccio e con sdegno. Si è poi saputo che, vestiti sacrilegamente con indumenti sacri, si recavano per la strada e nelle case vicine in uno stato di completa ubriachezza. Parte degli indumenti sacri furono poi ritrovati sulle rive del fiume, nelle trincee e in parte dispersi. La chiesa era stata trasformata in una cucina e peggio ancora… in un gabinetto di decenza, usando le tovaglie dell’altare. La chiesa era rifornita di molta cera: non fu trovata neppure una candela. Nella sala, tra i rottami, furono rinvenute tre bombe inesplose ed in un armadio un ordigno pure inesploso. Tutti gli oggetti, carte, libri, erano stati appositamente dispersi nelle diverse camere della Canonica. La radio fu ritrovata sulla mensa dell’altare maggiore. Queste, le prodezze… compiute dal secolare nemico della nostra Italia, con la compiacente adesione dei fascisti aderenti alla cosiddetta repubblica di Salò”.
Non occorre aggiungere nessun commento.
La ricostruzione delle chiese
La totalità dei parroci forlivesi che avevano avuto le proprie chiese danneggiate, o distrutte, ha continuato l’attività sobbarcandosi enormi sacrifici, al pari della popolazione civile che era stata la più danneggiata dal conflitto, e chi prima e chi dopo ha potuto officiare in locali accoglienti. Ogni volta che un luogo di culto veniva restituito alla comunità perché ristrutturato, o perché ricostruito ex novo, la conseguente festa assumeva un carattere che andava ben oltre l’aspetto religioso. Voleva dire che nel libro della vita un’altra pagina era stata girata e il capitolo della guerra era sempre più lontano.
Anche tutta questa storia ci deve far riflettere in un momento di piena emergenza dettata dalla diffusione del Covid19 perché a quel momento parteciparono in modo attivo, nel nostro territorio, in Italia e nel mondo, indipendentemente dal credo religioso e politico, coloro che ebbero salva la vita e non i 55 milioni di morti che registrò la sola Europa, composta ieri come oggi da paesi “civili”.
Chi passa da Malmissole vada a vedere la celletta realizzata al posto del “santuarietto” e se ha con sé un fiore lo depositi. Un segno di omaggio alla vita. Poi approfitti per raggiungere la vicina chiesa parrocchiale per ammirare l”immagine della Beata Vergine della Boara, salvata da don Zaccaria e magari chieda informazioni sulla “Casa della Speranza per carcerati a fine pena”, esperienza avviata nel 2018 nonostante tanti pregiudizi e tanta ostilità.
Gabriele Zelli