La Domenica delle Palme nelle tradizioni popolari

Radames Garoia e Nivalda Raffoni

Che Pasqua sarà quest’anno? Siamo costretti a vivere in casa perché il virus Covid 19 sta ancora alimentando una pandemia che colpisce in tutta il mondo e non si intravede in tempi brevi un ritorno alla normalità. Tutti i riti religiosi di questo periodo subiranno le restrizioni imposte al fine di rallentare e sconfiggere il propagarsi del contagio. Anche le tradizioni popolari legate a alle festività di Pasqua che ancora resistono, per il resto sono in gran parte purtroppo dimenticate, subiranno dei cambiamenti. Ad esempio a Tredozio è stato annullato il Palio dell’Uovo che si svolgeva da 55 anni consecutivamente.

Però potrebbe essere anche l’occasione per riscoprire un patrimonio culturale del nostro passato. Lo facciamo con Radames Garoia e Nivalda Raffoni (nella foto), cultori del folklore romagnolo, che ci ricordano: “Fin dall’epoca medioevale, la domenica precedente la Pasqua è detta Domenica delle Palme. In questo giorno la Chiesa ricorda l’ingresso di Gesù a Gerusalemme pochi giorni prima che fosse crocefisso, osannato dalla folla che agitava rami di palma e ulivo. Ed è per questo che nella Festa delle Palme si benedicono i rami di ulivo. Il ramo di palma è più diffuso nelle zone rivierasche, a clima mite, dove si possono ammirare alberi di palma di diverse varietà e grandezza”.

Tradizionalmente, un evento liturgico importante e, specialmente nelle campagne romagnole, si assisteva ad una massiccia partecipazione alla Messa domenicale. Per l’occasione si indossava e’ vstì bon (il vestito migliore) e la mamme portavano per la prima volta i neonati in Chiesa per la benedizione, affinchè fosse evitata ai piccoli l’insidia dell’acqua e del fuoco. Si aspettava la fine della funzione per essere partecipi alla distribuzione del ramo, o anche più di uno, di ulivo benedetto, come simbolo di pace ed in memoria del citato episodio biblico (nei giorni scorsi è stata pubblicata la notizia che da qualche parte il tradizionale rametto potrà essere in distribuzione al superamento dove si va a fare la spesa! ndr)”.

Per tradizione – sono sempre Radames Garoia e Nivalda Raffoni a ricordarcelo – si dovevano recitare tanti Paternoster (un tempo le preghiere si dicevano in latino) per quante erano le foglie presenti nel ramoscello di ulivo e c’era sempre qualcuno… poco incline alla preghiera, che cercava sempre un rametto con poche foglie! Ramo benedetto da conservare attaccato all’immagine sacra che per tradizione cristiana è affissa sopra la testata del letto e che doveva attirare positività per tutto l’anno: salute e prosperità. L’ulivo era utilizzato anche per profumare la stanza dove si ponevano i “bighët” (i bachi da seta), essendo la bachicoltura molto praticata in Romagna fino alla prima metà del secolo scorso, oppure si faceva odore il ramo d’ulivo ai bambini “ch’j aveva i virum” (che avevano i vermi, gli ossiuri, malattia assai diffusa un tempo)”.

Ma le principali speranze che i contadini romagnoli riponevano nell’ulivo benedetto, specificano Radames Garoia e Nivalda Raffoni, era la protezione par un “bon arcôlt” (per un buon raccolto): si poneva sui campi il giorno di Santa Croce (3 maggio), quando nelle loro testate, “int e’ cavdêl” (nella cavedagna) si piantavano delle croci con rametti di ulivo e canne intersecati tra di loro. Una croce più piccola con rametti di ulivo intrecciati, era posta in cima a “e bêrch” (il barco, la bica del grano, edificata nell’aia a fine giugno, in attesa della trebbiatrice). Oppure veniva bruciato sull’aia, o introdotto tra gli stipiti delle finestre quando minacciava di scatenarsi un temporale “cun sajeti e timpësta” (con fulmini e grandine). La sacralità dell’ulivo benedetto, al pari del carbone prodotto dalla combustione “de zoc ad Nadêl” (del ciocco natalizio, bruciato nel camino a Natale) e della candela benedetta per la Candelora (2 febbraio), aveva grande valore nella fede e nella credenza popolare“.

Per concludere i due esperti fanno un accenno alla meteorologia popolare del periodo. “Al tempo dei nostri nonni e bisnonni, ricordano, sempre così attenti agli eventi atmosferici, …in attesa che arrivassero le moderne previsioni meteo, nell’approssimarsi della Domenica delle Palme si pronunciava spesso il proverbio “S’un s’bagna la pejma u s’bagna agl’ôv” (se non si bagna la palma, si bagnano le uova, cioè: se non piove la Domenica delle Palme, piove il giorno di Pasqua), o, in alternativa “Se piôv int la pejma, un piôv int agl’ôv” (se piove sulla palma, non piove sulle uova, cioè: se piove la Domenica delle Palme, non piove per Pasqua). La tradizione voleva infatti che in una delle due domeniche piovesse“.
Buona Domenica delle Palme, nonostante tutto.

Gabriele Zelli

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