II modo più efficace per effettuare gli sminamenti, ma più lento e più pericoloso per gli operatori, era quello di sondare accuratamente il terreno con un asta metallica appuntita, comunemente chiamato fioretto.
“Lo sminatore conficcava con molta attenzione il ferro nel terreno e se non si piantava, scopriva lentamente il terreno per vedere se era per la presenza di un sasso o di una radice o per una mina – raccontano Enzo Valli e Casadio -. A quel punto iniziava la parte più delicata della rimozione, si toglieva lentamente la terra con le mani poi si rendeva innocua la mina. Alcuni tipi di mine anticarro erano dotate di un congegno antirimozione, se si sollevava la mina dal terreno scattava un dispositivo che la faceva esplodere, quindi occorreva avere una buona preparazione su come operare sui vari tipi di ordigni sui quali si lavorava“.
Nonostante l’impegno degli sminatori, molti ordigni bellici rimanevano ancora disseminati nel nostro territorio, costituendo una grossa insidia soprattutto per i bambini, che spesso, non comprendendone la pericolosità, li prendevano in mano e ci giocavano. Fra gli adolescenti si registrarono morti, oppure delle mutilazioni per l’esplosione accidentale di ordigni. Per ridurre il numero degli incidenti si diede inizio ad una vasta campagna di informazione, principalmente nelle scuole elementari delle frazioni rurali, per fare conoscere ai bambini i pericoli degli ordigni che si potevano trovare. Furono affissi dei manifesti, nei quali si vedevano dei bambini vittime di esplosioni per avere incautamente maneggiato degli ordigni bellici, e dove erano illustrati i tipi più comuni di bombe e granate in modo che i bambini imparassero a riconoscerli, invitandoli ad avvertire i Carabinieri in caso di rinvenimento. Alle scuole furono anche distribuite delle scatole di legno che contenevano un campionario di ordigni, ovviamente privati dell’esplosivo, in modo che gli insegnanti potessero mostrarli ai ragazzi, facendoglieli anche toccare. Ovviamente in questo caso l’impatto era maggiore rispetto al vederli riprodotti su un manifesto appeso ai muri della scuola e quindi si pensava che vedendoli dal vero riuscissero ad identificarli meglio e ad evitare gli incidenti.
A metà del 1945 le Amministrazioni comunali imposero l’obbligo ai proprietari dei fondi e ai coloni, qualora avessero avuto il sospetto della presenza di mine nei loro terreni, di darne comunicazione, per la successive segnalazione alla scuola BCM di Forlì. Venne anche imposto il divieto di accendere fuochi o di bruciare sterpaglie per paura di esplosioni, dato che c’erano ancora dei depositi di ordigni inesplosi. Purtroppo non passava settimana senza che si registrassero incidenti. Ancora oggi l’Ispettorato compartimentale dell’agricoltura per l’Emilia calcola che tra Bologna e la Romagna siano tuttora disseminate una grande quantità di mine inesplose.
In questa guerra contro la morte e l’insidia…
Risale al 27 giugno 1948 la collocazione della lapide (nella foto) che ricorda i 24 forlivesi deceduti nel corso delle operazioni di sminamento avviate subito dopo la Liberazione, attività di cui si è già parlato in due precedenti testi, e i 30 rimasti feriti, alcuni anche mutilati. Nell’occasione tramite un manifesto, firmato dal Comando Bonifica Campi Minati, Sottosezione di Forlì, e dal Sindacato Nazionale Rastrellatori Mine, Sezione Provinciale di Forlì, che allora comprendeva anche Rimini, furono invitati i cittadini a partecipare alla cerimonia organizzata in occasione dello scoprimento.
Queste le parole scritte sul documento affisso allora in città e che opportunamente Salvatore Gioiello e Lieto Zambelli hanno pubblicato nel libro “Usfadè (Si farà giorno): “Per ricordare alla cittadinanza l’eroismo di quanti fra pericoli continui e gravi disagi immolarono la vita per la redenzione della terra resa infeconda ed insidiosa dagli eserciti che si contendevano le nostre case, il Comune di Forlì scopre una lapide nell’atrio della sede Municipale. I compagni superstiti del duro lavoro ormai al termine dei sacrifici, invitano la cittadinanza tutta ad intervenire alla cerimonia per rendere omaggio a tanti oscuri eroi caduti sui campi di lavoro per dare sicurezza ai propri cittadini. In questa guerra contro la morte e l’insidia, per la salvezza e non per la distruzione della vita umana, sono stati restituiti alla ricostruzione della Provincia: 2.800.000 metri quadrati di terreno seminativo“. Inoltre erano stati bonificati 5 ospedali, 18 stabilimenti industriali, 1 acquedotto, 138 fra ponti e opere pubbliche, 19 chilometri di linee elettriche, 70 chilometri di strade nazionali, provinciali e comunali, 21 chilometri di argini di fiume. Erano altresì stati effettuati 60 pronti interventi e, nel corso di poco più di tre anni e mezzo, furono 55.714 le mine rastrellate.
L’attività di sminamento iniziò subito dopo la Liberazione prima, come accennato, ad opera degli appositi reparti militari sulle strade principali e successivamente da personale civile. Per sollecitare l’arruolamento furono affissi avvisi nei luoghi più frequentati. Come quello che mi ha segnalato di recente il collezionista e cultore di storia locale Mattia Arfelli a firma del sindaco Franco (Cesena 1896 – Forlì 1985). Il manifesto porta la data del 22 gennaio 1945 ed ha questo testo: “Dovendosi provvedere alla costituzione di squadre per la ricerca di mine inesplose, si invitano i giovani che intendono presentarsi a tale servizio a darsi immediatamente in nota presso l’Ufficio Patrimoniale del Comune (Geom. Valbonesi). Le prestazioni saranno adeguatamente retribuite“.
Successivamente, l’8 luglio 1945, sarà l’Ufficio Provinciale del Lavoro a pubblicare un manifesto “per l’istituzione di squadre di artificieri patentati, dietro incarico della Direzione d’Artiglieria di Bologna, per il completo rastrellamento degli esplosivi nel territorio della provincia di Forlì; i prescelti riceveranno 500 lire al giorno”, che denota un approccio più “organizzato” per affrontare il problema, perché erano già state tante le tragedie che avevano causato vittime fra tutti gli strati della popolazione.
Antonio Mambelli nel suo “Diari degli avvenimenti in Forlì e in Romagna dal 1939 al 1945” (pubblicato nel 2003 da Laicata a cura da Dino Mengozzi) riporta una drammatica sequenza di fatti luttuosi che qui si riportano a beneficio di chi legge, perché entrambi i volumi sopracitati non sono più in commercio (sono comunque sicuramente consultabili presso la Biblioteca Aurelio Saffi quando è aperta al pubblico):
10 gennaio 1945 – Sono segnalate disgrazie in campagna, dovute all’imprudenza dei ragazzi che raccolgono, per curiosità, e maneggiano ordigni di guerra inesplosi.
15 gennaio – Una mina tedesca scoppiata nei pressi del ponte di Schiavonia, cagiona la morte di un carabiniere in servizio e di un cittadino; restano feriti un secondo carabiniere e un civile.
5 febbraio – Muore a Branzolino, per lo scoppio di una mina, il tredicenne Nino Conficoni.
18 febbraio – Per lo scoppio di una mina muore a Roncadello il colono coadiuvante Mario Bertozzi di 29 anni, da Mercato Saraceno. Muore in Villa Ronco per scoppio di mine il colono Giuseppe Cappelli.
20 febbraio – Per l’esplosione di una mina abbandonata dai tedeschi come insidia, muoiono in
Villafranca tre coloni della famiglia Cortesi: Aldo di Silvestro, di 13 anni, Silvestro di anni 41, Alvaro, suo fratello, di 34 anni. Muore anche Egidio Bosi, di 16 anni.
26 marzo – Morte in Villa Ronco di un contadino, per scoppio di mina.
16 maggio – Morte di un ragazzo in parrocchia di Malmissole per aver colpito una mina con un sasso: la sciagura è avvenuta nel campo della famiglia Massa, detta dei “Gaten”, mentre i coloni falciavano l’erba. È rimasto pure ferito gravemente il capo di casa, al quale hanno dovuto amputare una gamba.
11 giugno – Nel maneggiare un ordigno di guerra deposto dai tedeschi in un recipiente di cemento di fronte al costruendo Palazzo di Giustizia in piazza 20 settembre, è morto il bimbo Giorgio Bedei di 8 anni. I suoi compagni erano riusciti ad allontanarsi prima dell’esplosione.
4 luglio – All’ospedale, muore per lo scoppio di un ordigno di guerra lo scolaro Alessio Renna di 11 anni.
17 luglio – Muore in San Pancrazio lo “sminatore” Marcello Dal Monte di 25 anni.
2 agosto – Muore in un campo di bonifica lo sminatore Sergio Casadei di Forlì.
18 agosto – Nel rimuovere una catasta di legna in cui era deposta una mina tedesca che è scoppiata, è rimasto ucciso il bracciante Vincenzo Anastasi.
Nel giornale repubblicano milanese “Il Popolo Sovrano” del 30 agosto 1945, Arturo Caprini delinea un quadro tragico delle condizioni della Bassa Romagna, a cagione delle mine, e rileva che la bonifica del territorio dagli ordini procede a rilento. Così, intere zone ricche di frutteti sono convertite in campi di morte. Alcuni civili agiscono per conto loro, in vista dell’alto guadagno o per spirito umanitario, compiendo veri miracoli di abnegazione: un ragazzo da solo ha liberato circa 2.000 ettari di terreno. Lo stesso Adriatico è infestato da mine, ma i rastrellamenti si sono compiuti solo in direzione di Venezia: su quello specchio d’acqua i motovelieri navigano in convoglio preceduti da uno spazzamine.
25 settembre – Alcuni operai che lavoravano alla Fornace Malta sono rimasti vittime di una mina urtata da un piccone. Sono morti Luciano Servadei, di anni 17 e Mario Savorelli di 38; feriti, Giulio Tassinari, Francesco Garavini, Ellero Molinari. Mario Savorelli di Villa Rotta: lascia cinque figli e la moglie.
7 ottobre – Per lo scoppio di un ordigno di guerra, muore lo scolaretto Orlando Arfelli di 11 anni: nel giocare, aveva casualmente urtato una mina.
Dopo la guerra, la rinascita
Fra tante notizie luttuose e pur di fronte ad una situazione drammatica i segni per la ripresa delle attività e della vita collettiva iniziavano a farsi strada. L’impegno delle ricostituite forze politiche e sociali dopo venti anni di dittatura era palese perché si faceva sentire il supporto dei cittadini desiderosi di decidere del proprio destino. Una delle iniziative che maggiormente diede il senso della voglia di girare pagina fu la decisione della Sezione di Forlì del Partito Democratico Cristiano, che allora aveva sede in piazza Ordelaffi, di voler inviare gratuitamente un gruppo di bambini al mare presso una colonia marina di Rimini. Per promuovere tale soggiorno fu fatto affiggere un manifesto datato 25 luglio 1945, secondo anniversario della caduta del fascismo e dell’arresto di Benito Mussolini (data scelta appositamente? ndr).
Scrivono a tale proposito Gioiello e Zambelli nel libro “Usfadè”: “La colonia nasce dalla collaborazione con la Casa Salesiana di Forlì, il cui direttore, don Pietro Garbin, si è accordato in proposito con i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice di Rimini, per dare vita, nel loro istituto, ad un soggiorno di 50 bambini dal 1° al 15 agosto. Per lo stesso periodo viene programmata anche una colonia per 150 bambini che saranno ospitati presso l’Istituto “Santarelli” in via dei Mille (da non confondere con l’omonimo istituto di via Caterina Sforza ora soppresso ndr). La refezione è assicurata dalla stessa Democrazia Cristiana”.
Da segnalare che in seguito verranno organizzate altre Colonie marine, montane e campi estivi promossi dalla Camera Confederale del Lavoro, dai partiti Comunista, Socialista, Repubblicano, Socialdemocratico e dall’Unione Donne Italiane.
Non è opportuno fare analogie con l’oggi caratterizzato da una situazione di grave emergenza determinata dal diffondersi del virus Covid 19 con tutte le ripercussioni del caso. Sicuramente quando i nostri bambini potranno andare al mare in sicurezza e noi con loro, essendo per i romagnoli una meta obbligata, si potrà dire che effettivamente la pandemia in atto sarà stata debellata con il contributo di tutti. Una cosa è certa. Dopo il Secondo conflitto mondiale fu determinante la volontà dei cittadini per costruire un’Italia diversa e le forze politiche svolsero la loro funzione secondo questa spinta che proveniva da tutta la società. Oggi saremo in grado di fare altrettanto? L’appello, non dell’ultima ora, di Papa Francesco di lasciare da parte l’egoismo e di non dimenticare gli ultimi ci deve far riflettere per individuare la strada da percorrere.
Gabriele Zelli