La scadenza della festa del 2 giugno, giornata celebrativa nazionale istituita per ricordare ogni anno la nascita della Repubblica Italiana, è ormai prossima. La scelta della data fu motivata dal fatto che il 2 giugno 1946 si tenne il referendum istituzionale e perché in quella giornata, nel 1882, morì Giuseppe Garibaldi. Dopo il 25 aprile un’altra data simbolo subirà le disposizioni dettate dalla lotta contro il virus Covid 19 e le manifestazioni che si svolgeranno dovranno tenere conto di queste che vietano gli assembramenti. Questo non vuol dire che non dobbiamo onorare nella maniera migliore la ricorrenza.
L’articolo uno della nostra Costituzione, una delle più avanzate d’Europa, fissa in modo solenne che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro.
Con questo testo e con quelli che seguiranno, fino all’appuntamento del 2 giugno 2020, dopo aver reso omaggio agli sminatori forlivesi deceduti che hanno bonificato i nostri campi, cercherò di raccontare, attraverso storie forlivesi, i sacrifici fatti dai nostri nonni e dai nostri padri per costruire l’attuale nazione dopo venti anni di dittatura e dopo gli immani disastri provocati dalla Seconda guerra mondiale. Il nostro è uno Stato non certo privo di difetti, anzi, ma da oltre 75 anni ci fa vivere in pace e in libertà; una libertà che quotidianamente dobbiamo utilizzare per rendere migliore le nostre comunità.
I luoghi che raccontano le distruzioni e i lutti del passaggio del fronte nel forlivese
La campagna militare per liberare l’Italia dall’occupazione tedesca, sostenuta dai fascisti, costò dure perdite fra il 1943 e il 1945: gli Alleati ebbero circa 313.000 soldati morti, feriti o prigionieri e persero circa 8.000 aerei, mentre i partigiani ebbero 35 000 morti. La popolazione italiana subì grandi danni durante la campagna e la penisola fu devastata dal passaggio del fronte e dalle incursioni aeree; circa 64.000 civili morirono a causa dei bombardamenti, circa 10.000 persone furono uccise dai tedeschi nelle rappresaglie e nelle operazioni di repressione. Si può ben dire che la nascita della Repubblica Italiana avvenne dalle macerie e dalla miseria che la guerra aveva creato o accentuato.
Quali possono essere nella nostra città alcuni dei luoghi che maggiormente raccontano i lutti e le rovine del Secondo conflitto mondiale? Sicuramente i due Cimiteri di guerra di via Ravegnana e di Vecchiazzano, dove sono sepolti o ricordati tanti giovani soldati dell’Esercito inglese, e il Sacrario dei caduti per la Libertà di piazza Saffi, in onore dei partigiani morti, anche loro per la stragrande maggioranza erano dei giovani. Poi la lapide di via Ripa, dove sono ricordati altri giovani, in questo caso fucilati dai nazifascisti perché ritenuti renitenti alla leva o disertori, luogo da prendere come simbolo degli eccidi effettuati dai soldati tedeschi nei mesi successivi e l’elenco è lunghissimo, e quelle di Santa Maria del Fiore e di piazzetta Don Garbin, che riportano rispettivamente i nomi dei civili morti del bombardamento alleato del 19 maggio e del bombardamento tedesco del 10 dicembre 1944. In questo itinerario non possono mancare le grotte rifugio di Castiglione, dove decine di persone trovarono rifugio durante e dopo il passaggio del fronte, e il Monumento di Biserno (Santa Sofia), in omaggio ai combattenti dell’Ottava Brigata Garibaldi, che è si da tutt’altra parte ma la storia che rappresenta si amalgama con tutto il territorio perché ad ingrossare le fila della Brigata Garibaldi salirono tantissimi giovani dalla pianura.
Di seguito, per iniziare, fornisco alcune informazioni sui luoghi dove sono ricordati i giovani militari alleati morti per sconfiggere l’esercito tedesco, che occupava l’Italia, e gli altrettanto giovani partigiani che hanno combattuto al loro fianco.
I Cimiteri di guerra
I Cimiteri di guerra presenti a Forlì sono due e ospitano le tombe di circa 2000 soldati dell’Impero Britannico: quello degli Indiani (nella foto), iniziato nel dicembre 1944, sorge in via Ravegnana proprio di fronte al Monumentale cittadino e accoglie le tombe di 496 caduti (15 ancora ignoti), di cui 493 soldati dell’esercito indiano della IV, VIII e X Indian Division e tre dell’esercito britannico. All’interno del cimitero di guerra indiano si trova il monumento commemorativo della cremazione degli ufficiali indù e sikh e dei soldati dell’esercito indiano che persero la vita tra il 16 aprile e l’ottobre 1944, nel corso degli attacchi lungo la linea gotica, fino allo sfondamento definitivo avvenuto tra l’agosto 1944 e l’aprile 1945. In totale il monumento onora la memoria di 769 caduti.
Nel Cimitero degli Inglesi dell’VIII Army del Commonwealth, situato in località Vecchiazzano, sono sepolti 738 caduti, di cui 4 sono ancora ignoti. Si tratta di soldati inglesi, canadesi, neozelandesi, sudafricani, indiani, del Pioneer Corps dell’Africa del Sud e delle Seychelles che caddero nei combattimenti dell’ottobre-dicembre 1944, nella zona fra Rimini e Ravenna.
Il Sacrario dei caduti per la Libertà di piazza Saffi
La necessità di ricordare I martiri della Resistenza e di celebrare l’importanza del loro sacrificio con un momento centrale nella dimensione forlivese emerse fin dal dopoguerra.
L’idea venne condivisa da tutti i partiti antifascisti e democratici. Il luogo fu individuato in una porzione limitrofa al chiostro di San Mercuriale. In modo approssimativo furono allestite semplici bacheche dove vennero disposte in modo spontaneo le fotografie dei partigiani caduti, quasi a cercare unicamente una via di contenuto senza dedicare attenzione all’effetto scenico. La miseria degli anni ’50 concedeva sicuramente poche risorse per liturgie celebrative.
Nel decennio seguente, dopo il “boom economico” e con il sindaco del partito repubblicano Icilio Missiroli alla guida di una giunta sostenuta anche da democristiani, socialisti e socialdemocratici, un intervento dal fronte di opposizione portato dal maestro Adler Raffaelli, esponente del Pci, sollecitò la necessità di una revisione celebrativa per dar il dovuto decoro e maggior autorevolezza a quello spazio simbolico.
La proposta venne appoggiata e il Comune approvò la realizzazione di un sacrario vero e proprio. I lavori furono però bloccati dalle vicende politiche locali che, dal 1966, assegnarono le redini della municipalità a commissari prefettizi dal momento che l’esito elettorale determinò a più riprese una situazione di stallo con l’impossibilità di trovare una maggioranza. Durante il periodo di commissariamento non venne dato esito alla decisione. Nel 1970 le elezioni determinarono la vittoria di una coalizione composta da Pci e Psi e il nuovo sindaco Angelo Satanassi rilanciò il progetto nell’ambito di un quadro territoriale e insieme alla Provincia presieduta da Silvano Galeotti. In circa un anno si giunse all’inaugurazione del “Sacrario dei caduti per la libertà” che è come appare ancora oggi. L’opera fu presentata nell’ambito delle celebrazioni per la Liberazione di Forlì del novembre 1971. Da allora il Sacrario è un elemento centrale nella simbologia democratica della città. Accanto al grande quadro con i nomi e in molti casi anche le fotografie dei partigiani, sono state posizionate nel corso degli anni due targhe commemorative: una in memoria di tutti gli italiani caduti all’estero per la Libertà del Paese, l’altra per ricordare il massimo sacrificio di tutte le donne e gli uomini stranieri caduti per la Libertà dell’Italia. Tutti gli anni, in occasione del 25 aprile Festa della Liberazione nazionale, e del 9 novembre anniversario della Liberazione di Forlì, vengono resi onori ai caduti con una cerimonia solenne.
Con i prossimi testi darò conto, come citato in premessa, di alcuni altri luoghi simbolo del nostro territorio caratterizzati da una forte memoria storica.
Gabriele Zelli