“Un’ora, segnata dal destino, batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili“, così Benito Mussolini annunciò il 10 giugno 1940, dal balcone di Palazzo Venezia a Roma, che la dichiarazione di guerra era stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia. Impressionato per le folgoranti vittorie iniziali della Germania di Hitler, il desiderio di facili vittorie sul campo di battaglia e la brama di essere l’ago della bilancia nello scacchiere della diplomazia europea, nonostante la grave e nota a tutti impreparazione militare italiana, fece fare sfoggio di muscoli al Duce. Una prosopopea che costò all’Italia intera lutti e distruzioni inimmaginabili.
Dopo l’8 settembre la situazione cominciò a toccare prima le grandi città e via via, con l’avvicinarsi del fronte, anche le più piccole località. Per capire meglio lo spirito che animò gli italiani a ricostruire quanto era stato distrutto e a darsi una forma politica repubblicana occorre capire le sofferenze patite durante vent’anni di dittatura e quelle portate dalla guerra. Per farlo si è preso ad esempio quanto avvenne fra il 1943 e il 1944 a Rovere, ora, in questo itinerario storico in previsione del 2 giugno, si ricorda quanto avvenne nella vicina frazione di San Varano. Anche in questo caso per ricostruire i principali avvenimenti mi sono avvalso della consultazione delle pubblicazioni già citate ed inoltre del volume “San Varano” di Giuseppina Fabbri, fresco di pubblicazione da parte di Almanacco Editore, che riporta una mia prefazione e qualche modesto contributo.
In bicicletta da Codigoro
Lunedì 20 settembre 1943 a San Varano giunsero in bicicletta due giovani di Codigoro, Archiade Farinella e suo cugino Gino, che si allontanarono dal loro paese perché erano due militari rientrati a casa dopo l’armistizio e temevano i fascisti presenti in paese per presidiare la zona verso il Po. A San Varano trovarono ospitalità a casa della zio di Gino, fratello di sua madre. I due rimasero per un po’, poi ad ottobre raggiunsero in bicicletta Rocca San Casciano accompagnati da un cugino. Successivamente si spostarono a Modigliana e durante l’inverno si nascosero in vari luoghi dell’Appennino. Possiamo solo immaginare le difficoltà affrontate dai due.
Arturo Capanni: nominato commissario federale del Partito Fascista forlivese
La notizia che Arturo Capanni, maggiore dei Bersaglieri, di San Varano, fu nominato commissario federale del Partito Fascista Repubblicano di Forlì venne diffusa lunedì 31 gennaio 1944.
Il successivo giovedì 10 febbraio, verso le 13.30, mentre spira un forte vento, Arturo Capanni sta rientrando a casa in bicicletta. Abitazione posta duecento metri dopo l’ultima casa della frazione. Un centinaio di metri prima di arrivare, dopo aver salutato con la mano il contadino Maltoni che sta potando un filare di viti a margine della strada, Capanni incrociò un autotreno. Si udirono dei colpi di rivoltella. Maltoni guardò, non vide niente. Immediatamente dopo sopraggiunse una macchina militare tedesca dalla quale scesero gli occupanti avendo scorto il corpo del federale a terra colpito al capo.
Gli inquirenti accertarono che i colpi furono quattro sparati da due pistole diverse (una Glisenti calibro 9 prolungata e una Beretta del medesimo calibro corta). Probabilmente gli esecutori, in bicicletta, si accodarono al rimorchio dell’autotreno e spararono a Capanni, che stavano attendendo conoscendo le sue abitudini.
Antonio Mambelli nel suo “Diario degli avvenimenti in Forlì e in Romagna dal 1939 al 1945” scrive a proposito di Capanni: “L’ucciso era più volte decorato al valore e apparteneva a una famiglia nota per sentimenti repubblicani, in dimestichezza con Aurelio Saffi. Il fratello del federale ragionier Alfredo Capanni, era morto nel 1924 a seguito di bastonature avute dai fascisti e perciò aveva suscitato meraviglia che l’ucciso si trovasse ora al maggior posto nella sponda opposta”.
In un primo momento girarono voci che attribuivano a Silvio Corbari l’uccisione, invece era stata decisa e portata a termine dai GAP forlivesi. Mentre la temuta rappresaglia non si verificò per un intervento della vedova di Capanni che sostenne l’inutilità di versare altro sangue.
Lo spostamento degli uffici del Consorzio Agrario
Dopo che venerdì 28 luglio furono registrati mitragliamenti a Vecchiazzano, San Varano, Rovere e nei dintorni di Castrocaro, il 31 agosto furono spostati a San Varano gli uffici del Consorzio Agrario che occuparono villa Tesorieri.
In quelle stesse ore dopo 17 giorni di detenzione nelle carceri che le SS approntarono nei seminterrati del befotrofio di viale Salinatore furono rilasciati l’avvocato Oreste Casaglia, suo fratello Mario, don Gaetano Lugaresi, parroco di San Martino in Villafranca e don Anacleto Milandri, arciprete di San Pietro in Trento. Ad accoglierli trovarono mons. Giuseppe Rolla, vescovo di Forlì, che si prodigò insieme ad altri per salvarli da una morte certa come effettivamente successe agli altri detenuti uccisi in momenti diversi nel mese di settembre in via Seganti, nei pressi dell’aeroporto Luigi Ridolfi.
Novembre 1944: gli alleati si avvicinano
Nell’ambito del V Corpo britannico la 10° Divisione indiana è stata sostituita dalla 56° Divisione che in primo momento si è limitata a ricostruire i ponti sul fiume Ronco ed a traghettare rifornimenti. Poi i comandi decidono che il V Corpo attacchi con due divisioni tra i fiumi Ronco e Rabbi e che la 4° Divisione attacchi su Forlì, sia attraverso la via Emilia sia in pianura verso nord, e che, quasi parallelamente, la 46° avanzi da Grisignano verso San Varano con l’intenzione di premere il nemico verso il Montone e oltre.
Giovedì 9 novembre, giorno della liberazione di Forlì, la 46° Divisione britannica attraversò il Rabbi e poi iniziò il guado del Montone a San Varano. La formazione militare incontrò forte opposizione da parte della fanteria tedesca e dai colpi dei carri armati “Tigre” nel sobborgo nord – ovest di Forlì, detto Fornace, concentrato in una stretta striscia tra il fiume Montone ed il canale di Ravaldino, a nord di esso (si tratta della zona dell’attuale Parco Urbano “Franco Agosto”).
A sera, alla 278° Divisione germanica arriverà l’ordine di Adolf Hitler, infuriato per aver perduto “la città del Duce”, di resistere ad oltranza e il tutto durò altri cinque giorni.
Le piogge di quei giorni ingrossarono il fiume Montone al di là del quale, sopra San Varano, il 10 novembre riuscì a giungere un plotone della 46° Divisione che così rimasce tagliato fuori perché per due giorni la divisione britannica restò praticamente inutilizzata a sud della via Emilia a Forlì, mentre la 4° Divisione combatté aspramente a nord – ovest di Forlì, a Fornace, dove i tedeschi resistettero asserragliati specialmente in una casa colonica, coinvolgendo pesantemente anche la località di San Varano.
Gabriele Zelli