Quel 19 maggio 1944 mai i forlivesi si sarebbero aspettati un simile inferno proveniente dal cielo. Anche se il “Cittadone”, come tutta l’Italia, era fortemente prostrato da quattro anni di conflitto mondiale, la vita continuava fra incertezze, fame e mercato nero. In molti covava già l’illusoria speranza che la guerra finisse presto, sul presupposto che gli anglo-americani erano ormai alle porte di Roma, dopo lo sbarco ad Anzio nel gennaio di quell’anno e un’avanzata lenta ma incessante. Quel venerdì mattina di settant’anni fa, la via Ravegnana era percorsa da frotte di contadini e massaie diretti al mercato. E fu proprio su quella direttrice che si scatenò il finimondo.
Antonio Mambelli nei suoi “Diari degli Avvenimenti in Forlì e in Romagna dal 1939 al 1945” scrive di un primo allarme dalle 8,10 alle 8,35, seguito da un’altra sirena delle fabbriche dalle 9,45 alle 12,00. Vennero mandati a casa gli studenti, ma la gente continuò nelle proprie occupazioni. Dopo pochi minuti dalla percezione del secondo segnale (il registro Unpa, Unione Nazionale Protezione Antiaerea, conservato in Archivio di Stato, riporta chiaramente le 9,50 come orario d’inizio del dramma), appare sul cielo della città una formazione di 32 bombardieri.
«Non meno di 150 bombe di medio calibro – continua Mambelli – sono sganciate a grappoli sulla fascia ferroviaria compresa nell’abitato e le zone industriali, fra l’ultimo sottopassaggio verso Forlimpopoli e la vecchia stazione, nonché su parte della Villa di Coriano, per una lunghezza di 2 chilometri e una profondità di circa 600 metri». Il rettore della chiesa del Suffragio don Alfredo Ghinassi, nel suo resoconto, inedito, scrive di «terribile bombardamento dalla vecchia stazione alla nuova con demolizione di molte case e dei molti stabilimenti della zona». Il sacerdote non sa spiegare come sia rimasta praticamente immune, seppur nell’occhio del ciclone, la chiesa di Santa Maria del Fiore (nella foto), condotta dai frati Cappuccini ed eretta a parrocchia nel 1940 dal vescovo monsignor Giuseppe Rolla. Proprio Rolla si recò subito sul posto e poi andò in ospedale a trovare i feriti. Quella tragedia la raccontò anche in una lettera al Papa Pio XII dopo il passaggio del fronte.
Nuovamente don Ghinassi: «Anche a Coriano, mia vecchia parrocchia (si tratta della chiesa del cimitero sull’attuale via Correcchio, ndr) sono state danneggiate due case coloniche con 3 o 4 morti in ciascuna. Solo nella parrocchia di Santa Maria del Fiore circa 40 morti e moltissime case distrutte o rese inabitabili». Ritorniamo ad Antonio Mambelli: «Immense nuvole di fumo si sono levate dalle case e dalle fabbriche colpite: grida, urla, gemiti, di spaventati, di feriti, di moribondi travolti dalle macerie, fughe di scampati per miracolo verso la campagna e dentro la città».
Rase al suolo. Mentre crollavano i muri e precipitavano i tetti, gli incendi completavano la rovina. L’intero sobborgo Mazzini, da Coriano fino alla nuova stazione, fu spazzato via. Gravemente danneggiate, con perdita pressoché completa della capacità produttiva, la ditta Cantieri Benini e la fabbrica “Orsi Mangelli”. E proprio tra gli operai di quest’ultima, nel tentativo di darsi alla fuga in bicicletta, pagarono il prezzo più alto della strage.
Viale Vittorio Veneto fu ridotto ad un cumulo di rovine, così come la barriera daziaria di Porta San Pietro. Alla fine il bilancio, certificato da un documento dell’Unpa del 1945, fu di 132 morti accertati e 455 feriti. L’immane tributo pagato dai forlivesi all’assurdità della guerra sarebbe aumentato il 25 agosto 1944 con il secondo grande bombardamento su Forlì, costato altre 75 povere vite.
Nel 1950 lo scultore Ugo Savorana (1890-1984) lavorò a lungo nella cappella dedicata a perenne ricordo delle vittime della Seconda guerra mondiale. Come viene riportato in “Forlì. Guida alla città” di Marco Viroli e Gabriele Zelli, Diogene Books 2012: “Il bombardamento aveva devastato il quartiere circostante, provocando molti morti tra i suoi abitanti. Savorana dovette misurarsi con le austere e ricche architetture della chiesa (fra l’altro totalmente affrescata da Pompeo Randi, l’artista forlivese nato a Forlì nel 1827 e scomparso nel 1880) ma il risultato che ne scaturì fu “un’opera squisitamente bella nella sua semplicità“, scrisse Luigi Servolini (1906-1981), “gustosissima nella sua armonia indovinata linea moderna. La copertura della cappella è semicircolare. Una cornice con decorazione di foglie chiude l’arco che si trova nel fondale, su cui compaiono simboli legati alla Passione di Cristo. L’altare è composto da quattro colonne con tabernacolo e pilastri laterali”. Il nostro itinerario proseguirà con una nuova tappa che farà sosta davanti alla chiesa di San Biagio dove una lapide ricorda i morti del bombardamento tedesco del 10 dicembre 1944.
Gabriele Zelli