La notte tra il 23 e 24 giugno sarà la magica notte di San Giovanni. Un tempo, in quelle ore vigeva una tradizione antica, oggi pressoché dimenticata, che era piena di usanze, credenze e superstizioni. In concomitanza con il solstizio d’estate, quando il sole raggiunge il suo massimo splendore per poi riprendere il suo cammino invernale, ha inizio l’estate. In questo giorno, secondo un’antica credenza, il sole (che simboleggia il fuoco), si sposa con la luna (che simboleggia l’acqua): da ciò ne derivano i riti e gli usi dei falò e della rugiada presenti nella tradizione contadina, ma anche il ruolo di tutte le piante e le erbe della terra che in questo breve, ma intenso arco di tempo, vengono influenzate con particolare forza e potere.
Con la collaborazione di Radames Garoia e Nivalda Raffoni (nella foto), studiosi delle tradizioni, andiamo alla scoperta di questa magica notte. “Una credenza secolare è che in questa fase solstiziale dell’anno – esordiscono i due esperti – le streghe fossero solite darsi convegno nella notte tra il 23 ed il 24 giugno attorno ad un antichissimo albero di noce e con i frutti di questi alberi stregati, colti ancora verdi e madidi di rugiada nella notte di San Giovanni, si preparava (e si prepara tuttora) il nocino, un liquore considerato terapeutico. In altre tradizioni rivivono figure di folletti maligni e dispettosi“.
“Nella notte della vigilia di San Giovanni si raccoglievano molte erbe – continuano Radames Garoia e Nivalda Raffoni – nella convinzione che avessero poteri benefici e terapeutici grazie all’intercessione salvifica del santo. Tali erbe erano: l’artemisia chiamata anche assenzio volgare e dedicata a Diana-Artemide; la verbena, anch’essa protettiva, e il ribes rosso che proteggeva dai malefici. Inoltre: vischio, sambuco, lavanda, mentuccia, biancospino, corbezzolo, ruta, rosmarino ed infine, il più importante, l’iperico, detto anche erba di S. Giovanni, la più potente delle erbe scaccia-diavoli, che si pensava avesse anche dei poteri divinatori. Tale erba, usata ancora oggi in erboristeria, altro non è che l’Hypericum Perforatum, una pianta perenne alta dai 30 agli 80 cm con fusto ramificato nella parte superiore dove si raccolgono, a mazzetti, i fiori gialli che fioriscono in primavera-estate. Con la cristianizzazione si diffuse la leggenda che l’iperico fosse nato dal sangue di San Giovanni e che il diavolo volesse distruggerla trafiggendola, ma l’unico risultato ottenuto era stato quello di perforarle le foglie. Infatti schiacciando le foglie se ne ricava un pigmento rosso-bluastro che è il principio attivo dell’iperico e ha un odore pungente simile a quello dell’incenso. Come incenso l’iperico veniva anche bruciato, dando così origine alla convinzione popolare che servisse a scacciare i diavoli; da qui il suo antico nome “Fugademonum”. Si bevevano anche pozioni di tale erba per cacciare i diavoli dal corpo. Oggi sappiamo che in tutto questo c’è una fondamento scientifico, in quanto l’ipericina (il principio attivo dell’iperico) in effetti allontana i cattivi pensieri grazie alle sue virtù terapeutiche contro la depressione, per la quale oggi è usata in tutto il mondo“.
Con queste “misticanze” raccolte si preparava un’acqua “magica”, “l’acva ad San Zvan”, che, per tradizione era rigenerante, curativa e antidoto contro il malocchio, la malasorte e le malattie di adulti e bambini.
“In Romagna poi – sono sempre parole di Radames e Nivalda – era tradizione raccogliere la rugiada caduta nella notte tra il 23 e 24 giugno (la gvaza ad San Zvan) che aveva gli stessi poteri dell’acqua magica appena citata. Se volete raccogliere la rugiada potete stendere un panno tra l’erba, strizzandolo poi il mattino successivo. Oppure scavare una piccola buca in cui inserire un bicchiere o un altro contenitore. Sopra di esso poi metterete un telo impermeabile, fissato ai bordi della buca (in alto), e con un foro al centro proprio sopra l’orlo del bicchiere (sul fondo). La rugiada si depositerà sul telo e scenderà nel vostro contenitore. Un altro sistema è trascinarsi dietro, passeggiando per i campi il mattino prestissimo, un lenzuolo o un panno legato per una cordicella: in questo modo stoffa e/o cotone si inzupperanno della rugiada che poi potrete raccogliere strizzandoli. La rugiada ed il clima purificatore della notte “äd San Zvan” servivano a rendere più bianca la tela che veniva stesa sull’erba. Parliamo della tela “casalena” (tela casalinga), la tela che veniva confezionata utilizzando i telai in legno presenti in quasi tutte le case contadine“.
“Tra le tante tradizioni ed usanze legate a San Giovanni – concludono Radames Garoia e Nivalda Raffoni – vi è quella dell’aglio e della cipolla; il 23 giugno si estraeva dal terreno l’aglio e lo scalogno che venivano stesi nell’orto perchè la rugiada di San Giovanni potesse irrorarli e quindi preservarli dal marciume. “L’aj ad San Zvan” è ricordato prevalentemente nella zona del Cesenate e nella Romagna sud-orientale, mentre nel ravennate è più sentita la tradizione della cipolla. Infatti il Santo era chiamato “San Zvan da la zuola” e a Ravenna si svolgeva una grande fiera con questo nome, gli elementi principali della quale erano la cipolla e l’aglio. Ben pochi oggi ricordano l’importanza che in passato avevano questi due alimenti, specie per le classi più povere (“la zuola l’è e’ furmaj di puret”, la cipolla è il formaggio dei poveri) e quella che assumevano nella farmacopea domestica. Si riteneva che la loro conservazione in trecce durasse più a lungo se il raccolto si faceva dopo la “gvaza ad San Zvan”, la quale “gvazêda” notturna assicurava anche particolari virtù terapeutiche. “L’aj ch’l’ha ciap la gvaza ad SanZvan, se t magnarei, la sanitè t gudrei” (se mangerai l’aglio che ha preso la rugiada di San Giovanni, godrai di ottima salute), dicevano i nostri vecchi, che usavano l’aglio come disinfettante e per inalazioni contro i “virum” (i vermi) ed ancora per tener lontano il malocchio e le stregonerie in generale“.
Gabriele Zelli