Da Rovere per raggiungere Terra del Sole si ritorna sui propri passi fino al guado che riporta a Ladino, lo si supera percorrendo la sponda sinistra idrografica del fiume Montone dove poco dopo ci si imbatte sulla chiusa di Ladino.
Fra tutte le derivazioni realizzate nel corso dei secoli per fornire energia ai molini lungo il corso dei nostri corsi d’acqua, diverse sono tuttora esistenti. Quella di Ladino è posta più a valle di tutte le altre ed è quella di maggior lunghezza misurando sei chilometri dalla chiusa ai Romiti dove il canale si congiunge nuovamente con il fiume, dopo aver costeggiato la via Firenze per gran parte del tragitto.
La chiusa, la derivazione e il relativo canale vennero realizzati in un periodo imprecisato per alimentare i molini che operavano nel tratto compreso tra San Varano e i Romiti.
Le prime notizie sull’esistenza della chiusa di Ladino (detta anche di San Martino) risalgono al dicembre 1436 quando il comandante del presidio di Castrocaro si accorse, durante un’ispezione al confine con il territorio di Forlì che parte della chiusa della Faragana era stata costruita su terreno appartenente alla giurisdizione castrocarese e ne ordinò la demolizione. I mulini non poterono più macinare e i forlivesi reclamarono senza successo la ricostruzione del manufatto a spese della Repubblica Fiorentina.
Da una ricerca effettuata nel 2002 da Vito Werther Vitali per conto della Pro Loco di Terra del Sole si apprende che il 21 settembre 1442 Antonio Ordelaffi, signore di Forlì, accompagnato da alcuni capi della magistratura della città, si incontrò in località Faragana, sul confine, con il commissario Capitano Jacopo Ventura per concordare la costruzione di un nuovo sbarramento onde poter rientrodurre l’acqua nel canale. L’atto di esecuzione fu stipulato di fronte al notaio ser Bartolomeo degli Orsi e il 13 ottobre dello stesso anno furono iniziati i lavori da Matteo Stefani di Pavia. I patti del contratto prevedevano fra l’altro che la comunità di Forlì dovesse pagare a quella di Castrocaro lire dodici e una quantità di cera nuova per la celebrazione della festa di San Nicola di Bari, patrono del Castello e del borgo.
In diverse occasioni furono necessari importanti lavori di sistemazione della chiusa. In particolare i cronisti del Quattrocento hanno riportato informazioni su questi eventi, come nel 1461 quando il fiume allagò il rione di Schiavonia e fra i danni da riparare ci furono anche quelli alla chiusa di San Martino, come ebbe modo di evidenziare Giovanni di Mastro Pedrino (1390-1465) sulla sua “Cronica”, avendo partecipato ai lavori del Consiglio degli anziani, in quanto ne era componente, che deliberò i provvedimenti da attuare.
Il 7 novembre 1483 la chiusa, già danneggiata dal terremoto che si era verificato nella notte del lunedì 11 agosto precedente, fu asportata da una piena del fiume e poi ricostruita. Fu nuovamente danneggiata il 1° settembre 1487 da un’altra piena conseguente a piogge torrenziali e anche in questo caso prontamente rimessa a nuovo per poter continuare a servire i molini denominati Serraglio, Torello, Ponte e Molinello.
Il 29 gennaio 1919 la Cartiera Romagnola, subentrata nella proprietà all’Unione dei Molini di Ravaldino denunciò la cessazione dell’attività di gran parte dei molini e chiese di poter utilizzare la derivazione per la produzione di energia elettrica sfruttando la forza che l’acqua acquisiva dal punto, in zona Romiti all’altezza della curva dei Rosetti (un tempo il punto era molto noto perché vi si verificavano purtroppo diversi e gravi incidenti stradali), in cui il canale si distacca dalla strada e scende verso il fiume attraverso un breve ma accentuato dislivello.
L’attività molitoria è continuata solo per il molino di San Varano (Gualchiera) che ha utilizzato l’acqua del canale fino al 1996, anno di cessazione dell’esercizio.
Oggi la chiusa di Ladino è una costruzione in calcestruzzo con le spalle in muratura di mattoni ed ha un arco superiore lungo 66 metri che genera un dislivello del pelo dell’acqua di 9 metri.
Nei pressi è stata realizzato un piccolo impianto per la produzione di energia elettrica.
Negli anni ’50 e ’60 l’ampio spazio che si è creato di fronte alla chiusa e il relativo specchio d’acqua erano meta nei mesi estivi di molte comitive che qui si ritrovavano per prendere il sole e fare il bagno. Oggi nessuno osa più bagnarsi, anche in considerazione della scarsa qualità dell’acqua, ma nei pressi di tanto in tanto si vedono pescatori che pazientemente aspettano che qualche pesce abbocchi e qualche camminatore che si ferma per prendere fiato e per ammirare un luogo sicuramente interessante e anche suggestivo.
Superata la chiusa si prosegue per Terra del Sole che dista poco più di un chilometro. La cittadella medicea merita una visita a parte per la straordinaria conformazione architettonica che ha, per gli edifici storici che annovera e per la sua storia iniziata nel 1564, anno di fondazione. Per chi vuole approfondire la conoscenza di questa città di fondazione consiglio il volume “Terra del Sole. Guida alla città fortezza medicea” di Marco Viroli e Gabriele Zelli, Diogene Books, Forlì 2014.
Nel prossimo articolo, che sarà l’ultimo dell’itinerario, si accennerà al Parco fluviale di Castrocaro Terme, altro importante elemento naturalistico del nostro territorio, per poi ritornare al punto di partenza.
Gabriele Zelli