In più occasioni Marco Viroli e Gabriele Zelli hanno raccontato nelle loro pubblicazioni le vicende storiche della Brigata Corbari e dei partigiani Silvio Corbari, Adriano Casadei, Arturo Spazzoli e Iris Versari, i principali esponenti della formazione partigiana. Ricorrendo il 18 agosto l’anniversario dell’uccisione dei quattro eroi per mano dei nazifascisti, si pubblica un testo di Viroli e Zelli su Adriano Casadei (Poviglio 1922 -Castrocaro Terme e Terra del Sole 1944).
Risale alla metà di dicembre del 1943 la costituzione da parte di un giovane di Forlì, Adriano Casadei, della “Giovane Italia”, movimento patriottico antifascista, clandestino, a sfondo repubblicano, al quale aderirono diversi concittadini. È più o meno dello stesso periodo l’intesa fra Adriano Casadei e Silvio Corbari, i due si conoscevano fin da ragazzi avendo Casadei abitato nel Borgo di Faenza, stesso quartiere di Corbari, per avviare una lotta comune contro gli occupanti nazifascisti aggregandosi alla Brigata Corbari (più comunemente chiamata Banda Corbari) molto verosimilmente tra aprile e maggio del 1944.
Il suo compito fu quello di mettere ordine nella formazione partigiana che si caratterizzò per numerose imprese temerarie, in particolare portate a compimento da Silvio Corbari, l’esponente più di spicco dell’organizzazione, ma che dovette fare sempre i conti con la spietatezza del nemico come quando il 20 gennaio 1944, in seguito a un tradimento, a Ca’ Morelli (Tredozio), una delle prime basi dei partigiani della prima Brigata O.R.I, ventidue giovani “furono circondati, presi, alcuni fucilati ed altri deportati in Germania“, come scrive nel suo diario Don Enzo Piazza, parroco di San Valentino (Modigliana). Poi in seguito a questo drammatico episodio, continua Don Piazza: “Bussò di notte alla mia porta quel leggendario Silvio Corbari che nella lotta clandestina ha fatto parlare tanto di se, fui ben lieto di abbracciarlo poiché pensai che mi si presentava un’occasione propizia per fare del bene. Era accompagnato da pochi giovani, fra cui Adriano Casadei catturato anche lui più tardi nella mia parrocchia ed appiccato con Corbari a Castrocaro ed esposto poi per due giorni ai pali della luce nella pubblica Piazza di Forlì. L’ospite era addolorato per i fatti sopra ricordati, pensava quale sorte sarebbe toccata ai suoi 22 giovani, però, come lo erano i pochi compagni rimasti con lui, era deciso nella lotta“.
Va segnalato che la “Giovane Italia”, la società segreta che faceva riferimento ad Adriano Casadei, intensificò la propaganda contro i fascisti e i tedeschi dopo che presso la caserma Ferdinando di Savoia, in via Ripa, il 24 marzo furono fucilati cinque giovani accusati di diserzione e di renitenza alla leva e dopo che, in seguito a questo drammatico episodio, alle ore 10.00 del giorno dopo, al suono della sirena, la maggior parte delle operaie e degli operai incrociarono le braccia in segno di protesta. Una folla di donne assediò l’edificio per evitare la preannunciata fucilazione di altri dieci renitenti. Ci furono degli spari e una donna rimase ferita. Dinanzi alla straordinaria e compatta dimostrazione, una delle prime nell’Italia occupata dai tedeschi, e alla forte disapprovazione che si manifestò anche fra i soldati, il Presidente del Tribunale di guerra commutò la pena di morte in reclusione e il Capo della Provincia approvò il provvedimento mentre la folla stava assediando il palazzo della Prefettura. Dopo questi episodi, la sera del 27 marzo, Adriano Casadei venne fermato una prima volta in piazza Saffi dai militi per il controllo dei documenti, poi una seconda volta poco più avanti in piazza Duomo. Sergio Giammarchi, amico di Casadei e aderente alla “Giovane Italia”, racconta che lo incrociò nei pressi della Chiesa della Trinità.
Senza fermarsi e guardando in avanti Casadei gli disse: “Ci hanno scoperto: vai a casa di mia zia a prendere le armi e vieni subito dopo il ponte di Schiavonia” e tirò dritto. Giammarchi prese la bicicletta, andò a recuperare le armi (tre rivoltelle e quattro bombe a mano) e raggiunse il luogo prefissato dove Casadei gli disse che era diventato pericoloso rimanere in città dopo che avevano tentato di prelevare delle armi dalla caserma della polizia ausiliaria in via Giorgina Saffi, azione di cui era stato spettatore il piantone che forse li aveva riconosciuti e pertanto era necessario raggiungere i partigiani con i quali stava collaborando in montagna. Come di fatto avvenne. A quei tempi la Banda Corbari era composta da una trentina di uomini ed ebbe subito un valido aiuto da Casadei, il quale iniziò a lavorare per una miglior organizzazione militare curando l’istruzione alle armi, l’addestramento, trascurati prima del suo arrivo. A metà del mese di luglio organizzò il recupero delle armi che gli Alleati decisero di far giungere ai partigiani tramite un aviolancio sul Monte Lavane, uno dei primi che avvenne nelle nostre zone. La situazione era particolarmente confusa tanto che Corbari, pur sapendo che tedeschi e fascisti erano al corrente di quanto si stava organizzando, nonostante quindi il pericolo selezionò ulteriormente gli uomini e decise di affrontare da solo la partita.
I partigiani si recarono a ispezionare la zona prescelta per il lancio prepararono i segnali luminosi per far inquadrare la zona all’areo che doveva effettuare il lancio. Il 17 luglio 1944, verso le ore 22.00, passò un aereo che fece i segnali convenuti ai quali fu risposto immediatamente accendendo i segnali luminosi per evidenziare l’area nella quale dovevano essere sganciati i paracaduti con i contenitori delle armi. Appena le casse toccarono terra iniziò un febbrile lavoro per aprirle. Contenevano, secondo alcune testimonianze, quattro mitragliatrici Breda, novanta mitra Sten, molte bombe a mano, circa otto quintali di dinamite, divise, sigarette e generi alimentari. A ognuno dei partigiani presenti toccò un’arma automatica e portarono con se quanto era possibile, mentre i viveri e la dinamite vennero accatastati nella capanna di un pastore.
Nel frattempo soldati tedeschi e militi fascisti avevano iniziato un’operazione di rastrellamento allo scopo di accerchiare i partigiani e impedire il recupero delle armi. Salirono da tre direzioni diverse circa 500 uomini, una formazione di tutto rispetto, finché giunsero a contatto con Casadei e i suoi uomini. Ebbe inizio un furioso combattimento che durò per l’intera giornata con diversi feriti da ambo le parti. Casadei seguì la situazione disponendo gli spostamenti per una difesa più efficace. Verso le 17 dette ordine a un primo gruppo di ritirarsi, successivamente a un altro. Casadei decise di far saltare l’esplosivo nascosto poche ore prima nella capanna del pastore. Preparò la miccia, l’accese, mentre i partigiani si gettarono giù lungo una scarpata. Poco dopo si sentì un boato che scosse tutto l’altopiano del Lavane. I tedeschi e i fascisti si ritirarono a loro volta consentendo ai partigiani di raggiungere posti sicuri.
Adriano Casadei accompagnato da Sergio Giammarchi ritornerà sul posto il 20 luglio a cercare le armi e le munizioni nascoste e buttate nei boschi prima di ritirarsi. Tutto quello che fu possibile recuperare fu caricato su cinque muli e portato alla base di San Valentino, mentre gli animali saranno riconsegnati ai rispettivi proprietari. Nel frattempo la formazione di Corbari aveva raggiunto un organico di ottanta elementi, i quali, il 9 agosto 1944, furono raggiunti dalla notizia dell’arresto di Tonino Spazzoli. Quelli che seguirono furono giorni convulsi con Corbari, Casadei e Arturo Spazzoli lacerati tra il desiderio di intervenire per liberare Tonino con un colpo di mano alle carceri di Forlì e l’impossibilità di procedere considerati gli enormi rischi che questo comportava. In ogni caso un piano fu predisposto e concordato con gli alleati tramite una radio clandestina che prevedeva un attacco aereo notturno contro la Stazione ferroviaria di Forlì, mentre un gruppo di partigiani, dislocati in precedenza in vicinanza del carcere, approfittando dell’allarme avrebbero attaccato il carcere per liberare Tonino e altri detenuti politici.
L’attacco aereo non avvenne, inoltre fu notata una inusuale vigilanza dell’edificio, per cui non fu possibile realizzare l’attacco previsto. Tutte situazioni che portarono Casadei, che già era un soggetto molto riservato, ad assumere un atteggiamento ancora meno espansivo tant’è vero che Lina, la moglie di Corbari, ha raccontato di essersi meravigliata quando, qualche giorno prima della cattura, ebbe modo di incontralo. Casadei si fermò a parlare e “fece anche una carezza al piccolo Giancarlo, cosa inusuale per lui”.
Nel frattempo i militi fascisti del Battaglione IX Settembre, dislocati a Castrocaro Terme con il preciso compito di fare terra bruciata attorno alla Banda Corbari e di catturare Corbari e i principali esponenti della formazione, proprio in ragione delle disposizioni avute fucilarono il 14 agosto 1944, nei pressi del Cimitero della località, il marchese Gian Raniero Paulucci de’ Calboli Ginnasi e Antonio Benzoni, entrambi di Forlì. Il primo fu definito “sovvenzionatore dei ribelli” e l’altro “detentore di armi ed esplosivo”. Insieme a loro vennero uccisi altri tre giovani accusati di “tradimento della Patria”. Mentre il comando tedesco di Castrocaro impose ai militi di rilasciare una trentina di arrestati, scattò il piano, preparato dal tenente Grassano del Battaglione IX Settembre, per la cattura di Corbari. Così racconta quei tragici avvenimenti Sergio Giammarchi: “La notte del 18 agosto il Battaglione Corbari si trovava sul monte dell’Inferno e si decise di risalire oltre le montagne di Marradi. A me fu dato il compito di aspettare sul posto l’arrivo di Corbari, Casadei, Arturo Spazzoli e Iris Versari, per comunicare loro dov’era la formazione e insieme raggiungere i nostri compagni. La mattina, all’improvviso, si sparse la voce che, all’alba dello stesso giorno, avevano catturato Corbari e altri tre. Io mi trovai in difficoltà, non sapevo come comportarmi, ma in quell’istante un contadino mi disse che in una casa lì vicino c’era Don Luigi Piazza, il prete partigiano. Mi recai immediatamente da lui e lo trovai in abiti civili. Aveva solo la stola, la croce e il fucile in spalla. Gli chiesi il da farsi prima di avvisare gli altri del Battaglione. Mi suggerì di cercare di arrivare a San Valentino. Dopo aver preso le dovute informazioni, ci incamminammo verso la chiesa. Casa per casa ci informavamo se c’erano dei fascisti o dei tedeschi. Giunti a San Valentino, trovammo tre donne che piangevano: ci dissero che Iris era morta e si trovava ancora nell’aia a Cornio. Don Piazza mi disse di andare a controllare cosa fosse realmente successo. Arrivato sull’aia di Cornio, trovai Iris. Si capiva dalle tracce di sangue che l’avevano trascinata, prendendola per i capelli, fino al centro dell’aia“.
Al valoroso partigiano Adriano Casadei, così come ai suoi compagni di lotta, è stata conferita la Medaglia d’oro al valor militare con la seguente motivazione: “Vicecomandante di battaglione partigiano, dopo innumerevoli azioni compiute alla testa dei suoi uomini con leggendaria audacia, dopo aver sbaragliato e disarmato decine di presidi fascisti e tedeschi, dopo aver infranto un attacco tedesco dando fuoco ad un deposito di esplosivi che nel tremendo scoppio seppellì oltre 200 nemici, veniva catturato mentre accorso vicino al suo comandante di battaglione, caduto ferito nel folto della mischia, tentava di portarlo in salvo. Sopportava fieramente torture e sevizie e nell’istante in cui il capestro stroncava la sua giovane esistenza, innalzava col grido di “Viva l’Italia”, l’estremo inno alla Patria amata”.