In questi ultimi tempi l’Aeroporto “Luigi Ridolfi” di Forlì è spesso al centro dell’attenzione locale e nazionale poiché una una società formata da imprenditori locali sta operando con coraggio con l’intento di riaprire lo scalo dopo sette anni di inattività. Da poco infatti sono state annunciate le prime rotte che gli arei in partenza da Forlì effettueranno.
Nei giorni scorsi poi l’aeroporto, utilizzandone l’ampio parcheggio esterno, è stato teatro di una manifestazione musicale che ha avuto grande risonanza da parte dei mezzi di comunicazione. In passato però lo stesso aeroporto fu testimone di drammatici eventi che segnarono profondamente la storia della nostra città.
Era il 1944. A partire dal mese di marzo si verificarono sulla zona ripetuti bombardamenti da parte degli aerei dell’aviazione inglese. Nel mese di settembre fu sede di efferati eccidi da parte dei nazifascisti e di barbare esecuzioni che portarono alla morte molte persone, tra cui anche di 17 persone di origine ebraica, in gran parte donne.
È su queste inqualificabili vicende che intendiamo richiamare l’attenzione, senza dimenticare fra l’altro che per tutta l’estate e una prima parte dell’autunno del 1944 il territorio del Comune di Forlì, così come gran parte della Romagna e del Centro Italia, vissero giornate segnate dalla distruzione e dalla morte. Tutto questo a causa di una guerra voluta dal regime fascista con l’illusoria prospettiva, fallita miseramente, di spartirsi territori di altre nazioni e che invece produsse solo milioni di vittime.
Marco Viroli e Gabriele Zelli nei quattro volumi “Fatti e Misfatti a Forlì e in Romagna” e ne “I giorni che sconvolsero Forlì. 8 settembre 1943-10 dicembre 1944”, tutti editi dal Ponte Vecchio di Cesena, hanno fornito un’ampia resocontazione di quel periodo che, a seguire, si riporta sinteticamente, a partire dal mese di maggio del 1944. I due autori hanno ricostruito anche gli eccidi di Tavolicci, del Carnaio e della Fornace Bisulli di Meldola che qui non vengono presi in considerazione.
5 maggio 1944. Dopo l’azione di rastrellamento in località Vecchiazzano avvenuta il 5 maggio 1944 ad opera di reparti della Guardia Nazionale Repubblicana (G.N.R.), che si concluse con l’uccisione del partigiano Sergio Fantini (1918-1944), l’opera di repressione nei confronti della Resistenza si acuì e vennero intensificati rastrellamenti ed eccidi. Si deve questo cambio di strategia, quella del terrore generalizzato soprattutto nei confronti dei civili, alle disposizioni impartite ai soldati tedeschi dal generale Albert Konrad Kesserling (1885-1960), comandante in capo dello scacchiere Sud e delle operazioni nel Mediterraneo. Nel nostro territorio per fare eseguire quanto disposto furono trasferiti da Roma, dopo il 4 giugno 1944, data in cui le truppe tedesche abbandonarono la capitale cacciate dai soldati alleati, ventitré dei sessanta poliziotti costituenti il Sicherheitsdienst (Servizio di Sicurezza – sigla SD) di quella città. Militari che insieme all’intero loro reparto si erano resi responsabili, fra l’altro, delle indicibili torture di via Tasso, delle persecuzioni ebraiche dell’ottobre 1943 e della pianificazione e della realizzazione dell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Li comandava un criminale di guerra, Karl Theodor Schütz (1907-1985) che a Roma era stato il vice del tenente colonnello Herbert Kappler (1907-1978), quando quest’ultimo, altro criminale di guerra, era responsabile dell’SD, della SIPO (Sicherheitspolizei – Polizia di Sicurezza) e della Gestapo, e si insediarono nel palazzo dell’ex Brefotrofio in viale Salinatore.
I compiti assolti dall’Aussenkommando della Sicherheitsdienst (SD) di Forlì furono vari e complessi: dall’attività informativa all’infiltrazione, dai rastrellamenti antipartigiani alla rappresaglia, sino ad operare come plotone di eliminazione dando vita in loco ad una “piccola” soluzione finale. Per molti dei componenti il Sicherheitsdienst l’attività di repressione dei nemici del nazismo, aveva preso avvio sin dai primi anni di guerra nei paesi dell’Est europeo, nei battaglioni delle Einsatzgruppe, speciali reparti tedeschi, composti da uomini delle SS, della polizia e della Wehrmacht. Le Einsatzgruppen, sotto il controllo di Reinhard Heydrich, comandante dell’Reichssicherheitshauptamt o RSHA (Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich), furono impiegate prevalentemente in Unione Sovietica, Polonia e Ungheria, dove svolsero un ruolo fondamentale nel processo dell’Olocausto. Il loro compito principale, nella testimonianza resa nel corso del processo di Norimberga da Erich von dem Bach-Zelewski, era “l’annientamento di ebrei, zingari e avversari politici”, ottenuto mediante fucilazioni di massa e l’utilizzo di autocarri convertiti in camere a gas (i Gaswagen) e poi nei lager specializzati in sterminio.
Va sottolineato che a Forlì senza la collaborazione della Questura, della Guardia Nazionale Repubblicana, di gruppi e di singoli fascisti, i numerosi arresti di antifascisti e partigiani romagnoli eseguiti dall’Aussenkommando della SD non sarebbero stati possibili. I componenti erano poliziotti della polizia criminale o della polizia politica, la famigerata Gestapo. Tutti appartenevano alle SS. Lo storico tedesco Michael Wildt ha definito il Sicherheitsdienst: “Servizio di informazioni, elite politica e unità di assassini” che lasciò una scia infinita di terrore e di sangue anche in Romagna. Questa “unità di assassini” fu responsabile diretta o indiretta, in particolare, di numerosi eccidi e di rappresaglie. L’elenco dei peggiori atti compiuti va sempre tenuto presente come elemento della brutalità della Seconda guerra mondiale e dei regimi che l’hanno scatenata.
29 giugno. Dieci giovani di Piangipane, presi durante un rastrellamento che sconvolse un’ampia area della provincia ravennate da Massa Lombarda a Mezzano, vengono fucilati in via Seganti, nei pressi dell’aeroporto, per rappresaglia a un’azione di sabotaggio da parte dei partigiani sulla linea ferroviaria Forlì-Faenza.
26 luglio. Dieci antifascisti e partigiani furono fucilati a Pievequinta per rappresaglia contro l’uccisione di un militare tedesco avvenuta nei pressi della stessa località (la dinamica della morte del soldato non è mai stata chiarita). Gli ostaggi vennero prelevati dal carcere. Fra di loro il vice commissario di guerra della VIII Brigata Garibaldi Romagna, Antonio Zoli, detto “Fiscin” (1915-1944) poi decorato di Medaglia d’argento al valore militare; don Francesco Babini (1914-1944), parroco di Donicilio, frazione di Verghereto, arrestato assieme a un suo colono, Riziero Bartolini (1923-1944), perché aveva ospitato nella sua canonica un ragazzo del luogo renitente alla leva e un aviatore sudafricano. Nell’aprile 2006 alla memoria di don Francesco Babini e di Riziero Bartolini è stata conferita dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano la più alta onorificenza della Repubblica: la Medaglia d’oro al merito civile.
14 agosto. Ebbe un vasto eco la notizia che nei pressi del cimitero di Castrocaro, alle 9,00 del mattino, un plotone di esecuzione del 1° Battaglione “M 9 Settembre”, di stanza nella località termale, passò per le armi gli antifascisti Gian Raniero Paulucci de’ Calboli Ginnasi e Antonio Benzoni, entrambi di Forlì. Nei rapporti della Guardia Nazionale Repubblicana il primo venne definito “sovventore dei ribelli” e l’altro “detentore di armi ed esplosivo”. Insieme a loro furono fucilati l’allievo ufficiale GNR Fiorenzo Grassi della Compagnia ausiliaria del vice comando provinciale di Forlì (definito “cospiratore, sovvenzionatore comunista”), il milite scelto Antonio Buranti di Bertinoro ed il milite Livio Ceccarelli, ex piantone della Federazione fascista di Forlì; il primo fu accusato di aver venduto armi ai “ribelli”, il secondo di collaborazione con gli stessi, tutti per “tradimento della Patria”.
18 agosto. In piazza Saffi, vennero appesi ai lampioni i corpi senza vita di Silvio Corbari (1923-1944), Adriano Casadei (1922-1944), Arturo Spazzoli (1923-1944) e Iris Versari (1922-1944), catturati, anche in seguito all’opera di una spia, nella casa colonica di Cornio di S. Valentino, comune di Modigliana.
19 agosto. Dopo l’arresto avvenuto il 6 agosto e lunghe torture, il patriota Tonino Spazzoli (1899-1944), fu fucilato nei pressi di Coccolia (Ravenna) dopo essere stato portato in piazza Saffi a vedere il fratello minore impiccato al lampione.
28 agosto. Tra la fine d’agosto e la prima metà di settembre del ‘44, la via Minarda e le campagne di San Tomè furono teatro anche di efferati eccidi decisi dai nazisti e dai loro fiancheggiatori fascisti. Dell’eccidio di Branzolino del 28 agosto furono vittime Giovanni Golfarelli, Ivo Gamberini, Secondo Cervetti e Ferdinando Dell’Amore, tutti operai dell’Orsi Mangelli arrestati il 2 agosto 1944 dalla milizia fascista, torturati e in seguito condotti alla prigione, allestita nell’ex Brefotrofio dai tedeschi, a disposizione di questi ultimi. Proprio in quel luogo li vide il parroco di San Martino in Villafranca Gaetano Lugaresi, anch’esso detenuto, che udì quando i quattro furono chiamati per nome e portati via.
La notte tra il 27 ed il 28 agosto 1944 un soldato tedesco era rimasto ferito per lo scoppio di un ordigno esplosivo; un’azione apparentemente ascrivibile ad una delle formazioni partigiane in quel periodo operanti, diversamente organizzate. Il giorno dopo i quattro antifascisti furono portati sul luogo del fatto e lì impiccati ai bordi della strada, nello stesso luogo dove si era verificato lo scoppio. In occasione dell’esecuzione i militari tedeschi radunarono sul posto un gruppo di italiani abitanti nella zona e fu utilizzato un patibolo formato da una trave sormontante due fusti, legati a delle corde, sui quali poggiava una tavola, sulla quale le vittime furono fatte salire con le mani legate dietro la schiena. Prima di procedere un ufficiale tedesco parlò ai presenti avvertendo che quel giorno sarebbero stati impiccati dei prigionieri del carcere, ma che un’altra volta, le vittime sarebbero state scelte tra la popolazione.
5-6 settembre. Nel tardo pomeriggio del 5 settembre, SS della Sicherheitsdienst e militi della GNR italiana prelevarono dal carcere di via della Rocca ventuno persone.
L’Aussenkommando della Sicherheitsdienst (SD) di Forlì deteneva i prigionieri sia negli scantinati trasformati in prigione della propria sede in via Salinatore 24, capace di circa cinquanta posti (non esistono registri o documenti) sia nel carcere civile collocato di via della Rocca (esistono i registri d’ingresso e d’uscita) dove aveva un ufficio con due uomini addetti agli interrogatori dei politici. Nove dei ventuno prelevati erano parenti di Tonino Spazzoli. Furono tutti avviati ai campi di concentramento. Gli altri dodici erano dieci ebrei e due antifascisti. Tutti furono tradotti alla caserma Caterina Sforza in via Romanello luogo di concentramento e di visita medica di quanti dovevano essere deportati in Germania. Anche da via Salinatore otto prigionieri: quattro donne e quattro uomini, furono trasferiti nella vicina caserma di via Romanello. Queste traduzioni erano conseguenti alla decisione di Karl Schütz e di Hans Gassner, altro specialista delle persecuzioni antiebraiche, di mantenere segrete le eliminazioni e giustificare le sparizioni con la deportazione in Germania.
In tarda serata le venti persone furono caricate sui diversi automezzi che si diressero verso l’aeroporto. All’altezza delle “casermette” del Ronco, occupate dalle truppe tedesche che le avevano ribattezzate “Caserma Adolf Hitler”, alcuni degli automezzi svoltarono, gli altri proseguirono per l’aeroporto dove erano in attesa gli eliminatori. Le uccisioni non ebbero testimoni diretti. Alle cinque del mattino successivo, 6 settembre, dalle casermette furono prelevati gli altri prigionieri, condotti all’aeroporto ed eliminati. Le venti vittime furono uccise, suddivise in tre gruppi uno composto da dieci persone e due da cinque. Non sappiamo in quanti furono uccisi la sera e quanti il mattino. In questo modo trovarono la morte, fra gli altri, Edoardo Cecere, colonnello dell’XI Brigrata Casale fra i primi a salire in montagna per combattere i tedeschi, Pellegrina Rosselli del Turco, moglie del marchese Gian Raniero Paulucci De Calboli, Pietro Alfezzi, partigiano, appartenente ai GAP, Chino Bellaganba, dipendente del Comune di Cesena in qualità di dirigente dell’Ufficio Leva accusato di aver alterato documenti allo scopo di sottrarre giovani di leva alla deportazione in Germania e forse anche per favorire ebrei (i familiari hanno scoperto solo nel 2005 che era stato fucilato a Forlì analogamente a quanto avvenne per Lissi Lewin, la quale scoprì nel 2000 che il fratello Lewin fu eliminato nella stessa circostanza e luogo).
9 settembre 1944. Lungo via Minarda, vicino al centro abitato di San Tomè, come rappresaglia per l’uccisione di un sergente della Wehrmacht furono impiccati sei partigiani carcerati a Forlì: Celso Foietta, nato a Santa Sofia il 14 aprile 1907, arrestato una prima volta nell’aprile 1944 e poi rilasciato, era stato ancora arrestato dai fascisti il 26 agosto 1944; Antonio Gori, detto Natale, nato a Teodorano, ora Comune di Meldola, il 22 dicembre 1918, residente a Civitella di Romagna, primo di cinque figli, celibe, è stato riconosciuto partigiano dell’8ª Brigata Garibaldi «Romagna» con ciclo operativo dal 15 settembre 1943 al 2 settembre 1944. Arrestato nel luglio 1944 da alcuni fascisti comandati da un tenente; Michele Mosconi, nato a Civitella di Romagna l’11 settembre 1905, arrestato dai fascisti il 26 agosto 1944; Antonio Zaccarelli, nato a Teodorano, ora Meldola, il 2 ottobre 1924, riconosciuto partigiano (documento del 24.5.1945 dell’Associazione nazionale partigiani d’Italia); Emilio Zamorani, nato a Ferrara il 20 settembre 1890, arrestato a Villa Vezzano il 28 agosto 1944; Massimo Zamorani, nato a Ferrara nel 1919, arrestato a Villa Mezzano il 28 agosto 1944.
Tedeschi e militi repubblichini attuarono prima un rastrellamento di circa duecento uomini, dai 15 anni in su, e li costrinsero ad assistere all’impiccagione di sei ostaggi partigiani. La maggior parte di questo involontario pubblico era composto da abitanti o sfollati, mentre le donne rimaste nelle case temevano per la loro sorte. Solo due giorni dopo fu concessa la sepoltura dei martiri, in fosse scavate dagli stessi abitanti di queste frazioni, obbligati alla triste incombenza.
17 settembre. Le SS prelevarono dal carcere di via della Rocca sette donne ebree. Furono portate in via Seganti, nei pressi del luogo dove erano stati consumati gli altri due eccidi, ed eliminate a loro volta. Esistono i referti medici e la causa del decesso stilati dal dottor Antonio Fusaroli (1918-2008), medico legale del Comune di Forlì, che eseguì l’esame necroscopico nel marzo 1945 quando i corpi furono esumati e riconosciuti da suor Pierina Silvietti, una suora che svolgeva la propria attività caritatevole all’interno del carcere. Ogni vittima ricevette la morte in modo diverso.
Ciascuna delle SS presenti uccise alla sua maniera una delle vittime a suggello di un qualche patto di solidarietà tra il gruppo di poliziotti. Un rito che non era inusuale nel contorto mondo psicologico degli specialisti della morte. Purtroppo una sorte uguale deve essere toccata a tutte le vittime dell’aeroporto. Si trattava di professionisti del crimine e dovevano andare orgogliosi della loro professionalità se sul finire della guerra la loro mano omicida poteva ormai essere riconosciuta dai giornalisti che si occupavano delle atrocità tedesche.
24 settembre. Secondo la deposizione resa da Pohl Herbert un disertore dell’Aussenkommando dela SD di Forlì al SIB (Special Investigation Branch, Sezione Investigazioni Speciali) il 24 settembre 1944, il giorno prima di lasciare Forlì, il comandante del’Aussenkommando delle SD, Schütz convocò i suoi sottoposti dicendo loro che “si dovevano liberare degli ostaggi italiani” presenti nelle celle della loro sede. La memoria di Herbert arrotonda a dieci una presenza che doveva essere di sette unità alle quali si aggiunsero proprio il 24 settembre otto rastrellati in Valcerra che portarono a quindici il numero complessivo dei prigionieri. Si trovavano nel carcere insieme ad altri sicuramente l’ebreo Gaddo Morpurgo e il partigiano forlivese Giunchi Sigfrido. Anche questi quindici prigionieri furono condotti in via Seganti e eliminati dagli stessi soldati tedeschi che avevano ucciso in precedenza.
7-8 novembre. La famiglia Verità in quegli anni abitava nell’ultima casa di Vecchiazzano, lungo la via Veclezio al n°68. Quando fu imposto l’ordine di sfollare, Giulio Verità, sua moglie e le figlie si trasferirono in casa dei Benedetti, detta casa Mônt o Canèra, in via Tomba al 69, a poca distanza dalla loro. Il 7 novembre 1944, due giorni prima della liberazione di Forlì, uno dei componenti della famiglia Verità cercò in tutti i modi di difendere il bestiame presente nella propria stalla dalla razzia che intendeva compiere un soldato tedesco. Nell’alterco che ne seguì il milite venne ucciso probabilmente da un colpo di forcale. Sta di fatto che altri soldati tedeschi in ritirata trovarono il loro commilitone morto in casa Verità. Nel tentativo di cercare il responsabile si presentarono dai Benedetti, dove trovarono sfollate ben tre famiglie, quelle dei Verità e dei Fregnani e la famiglia di Alfredo Lodolini di Bologna. Tutti gli uomini furono radunati e rinchiusi in una stanza, compreso un bambino di 11 anni, mentre un tedesco piantonava le donne. I prigionieri trascorsero, così, un’intera giornata poi, nel pomeriggio, il bambino venne liberato potendosi ricongiungere alle donne. Queste ultime e l’adolescente, verso le 19,00 dell’8 novembre, furono condotti lungo un sentiero con l’ordine di raggiungere una casa colonica, come di fatto avvenne solo nelle prime ore del giorno seguente. Alle tre del mattino, dello stesso giorno, nella casa arrivarono anche gli inglesi. Le donne, temendo per la vita dei loro uomini, fecero pressione perché i soldati le aiutassero a rintracciare i loro mariti e i loro figli. Così, verso l’alba, gli alleati, il gruppo delle donne e il bambino, accompagnati da alcune persone del luogo, si avviarono verso la casa Benedetti.
Quando entrarono in casa videro un gran disordine, poi passarono vicino al pozzo e notarono alcune scarpe per terra e delle tracce di sangue sulla vera del manufatto. Subito pensarono al peggio e, guardandovi dentro, costatarono che i nove uomini erano stati uccisi e gettati dentro lo scavo ricoperti maldestramente da assi perché non affiorassero.
Sebbene la guerra stesse per finire e la sconfitta nazifascista fosse ormai certa, anche in questa circostanza estrema i tedeschi applicarono, rigidamente, le disposizioni del comando delle forze armate germaniche che prevedeva l’uccisione di dieci civili al posto di un tedesco morto per atti di guerriglia partigiana. Così, mentre gli inglesi liberavano Vecchiazzano, agli uomini “dell’eccidio Benedetti” furono legate le mani dietro la schiena, con del filo di ferro, e poi furono eliminati con un colpo di rivoltella alla tempia.
Questi i loro nomi: Giuseppe Benedetti (73 anni), Antonio Benedetti (45), Pasquale Benedetti (43), Leopoldo Benedetti (37), Francesco Benedetti (21), Romano Benedetti (17), Giulio Verità (44), Angelo Fregnani (76) e Alfredo Lodolini (31).
Sin dal novembre 1944 le stragi dell’aeroporto furono oggetto di indagine della 77^ Sezione del SIB inglese (Special Investigation Branch, Sezione Investigazioni Speciali) che operò in Italia dall’estate del 1944 per raccogliere le prove dei crimini commessi dalle SS tedesche contro i partigiani e la popolazione civile. Il SIB grazie alla collaborazione di un disertore, Pohl Herbert, identificò i componenti il distaccamento della SD di Forlì responsabile delle uccisioni e formò un fascicolo per la loro messa in stato d’accusa. Il fascicolo, come tanti altri, in conseguenza di decisioni di convenienza politica interna e internazionale, non ebbe il suo corso, fu insabbiato e nel 1960 provvisoriamente archiviato e collocato in un armadio del Tribunale militare di Palazzo Cesi a Roma (il cosiddetto “armadio della vergogna”).
Non si possono ripercorrere in questa sede i diversi motivi di “opportunità politica” interna e di schieramento internazionale che indussero i governi italiani, che dopo la Liberazione si sono succeduti negli anni, a non utilizzare le possibilità di procedere contro ufficiali e militari tedeschi macchiati di crimini di guerra. Nell’estate del 1994 il magistrato Antonio Intelisano (1943) incaricato di un’indagine per l’estradizione del capitano Erich Priebke (1913-2013), un altro degli ufficiali responsabili dell’eccidio delle Fosse Ardeatine e per questo in Italia condannato all’ergastolo, rintracciò i fascicoli, compresi quelli degli eccidi forlivesi di S. Tomè e dell’aeroporto. Tra il 1994 e il 1996 furono trasmessi alle procure militari di competenza che hanno aperto indagini sui reati iscritti nei fascicoli. Per l’Emilia Romagna la competenza è della Procura di La Spezia che, una volta ricevuti i fascicoli e dopo alcuni anni di indagini, accertò che nessuno degli imputati per le stragi all’aeroporto era più in vita archiviando il fascicolo “per estinzione del reato per morte del reo”, mentre per San Tomè e Branzolino si giunse a sentenza (www.difesa.it).
Infatti la documentazione britannica ritrovata è stata oggetto di un primo processo nel 2006 da parte del Tribunale Militare di La Spezia perché l’ufficiale responsabile delle stragi, Heinrich Nordhorn, era ancora vivo. Il processo venne celebrato e vide la puntuale ricostruzione delle vicende, oltre alla partecipazione di testimoni forlivesi ancora in vita.
Una prima sentenza, del novembre 2006, condannò Nordhorn alla pena dell’ergastolo, sentenza che fu confermata dalla Corte Militare d’Appello e nel 2008 dalla Corte di Cassazione, dopo 64 anni da quel terribile 1944. Nonostante la condanna, Nordhorn è rimasto a vivere in Germania fino alla sua morte avvenuta nel 2015.