In altre occasioni ho preso in considerazione alberi molto antichi del nostro territorio e anche questa volta parlerò di due piante di pero Volpino che, secondo alcune testimonianze, hanno oltre 100 anni di vita. L’occasione mi spinge anche a ricordare che una ricerca della Regione Emilia-Romagna, effettuata in collaborazione con l’Associazione “Patriarchi della Natura in Italia”, ha portato alla scoperta di straordinari esemplari di pero di antiche varietà in tutto il territorio regionale, così come segnalo che dalle nostre parti fu attivo il culto della “Madonna della Pera”.
I peri “patriarchi”
Sono stati documentati 20 grandi alberi di questo frutto (con molta probabilità sono di più Ndr), presenti in tutte le nove province, localizzati prevalentemente sulle nostre colline e montagne, dove minore è stata la pressione dello sfruttamento del territorio; solo due peri “patriarchi” si trovano in zone di pianura.
Appartengono tutti a varietà non più coltivate, se non a scopo amatoriale, in alcuni casi abbandonate, che si trovano in zone marginali alle coltivazioni, oppure adiacenti ad edifici rurali o religiosi, oppure all’interno di giardini privati, a volte isolati tra campi coltivati o prati.
Questi alberi, oltre alle dimensioni eccezionali, alla rarità botanica, al valore paesaggistico, storico testimoniale, religioso e della tradizione, sono portatori di un elevato valore culturale essendo testimonianze vive, dirette, della cultura agricola del passato, di un’eredità culturale contadina secolare che si sta perdendo insieme alla variabilità genetica delle coltivazioni.
Quelli censiti hanno dimensioni ed età ragguardevoli (quasi tutti plurisecolari) se rapportati alle attitudini di crescita e alla longevità delle piante da frutto, che normalmente non sono né grandi né longeve. Alcuni arrivano a 20 metri di altezza e di dimensioni di circonferenza del tronco superiore ai due metri, a volte addirittura ai 3. Ne è un esempio il pero di San Paolo, che si trova nel territorio di Santa Sofia che con i suoi 4 metri di circonferenza è tra i più grossi peri d’Italia per le dimensioni del tronco.
Nel saggio “La pera nell’immaginario storico-letterario e nella tradizione gastronomica” di Rosella Ghedini, contenuto nel volume “”Antiche pere dell’Emilia-Romagna” a cura di Silviero Sansavini e Vincenzo Ancarani, edito dall’Istituto per i Beni Culturali e Naturali di Bologna, l’autrice scrive che “Il frutto della pera ritorna frequentemente nella mitologia arcaica. Nell’antico Egitto l’albero era considerato sacro ad Iside, dea della fertilità, della magia e protettrice della famiglia. Per gli antichi Greci era consacrato alla luna e alla dea Era, sposa di Zeus e regina dell’Olimpo; la sua statua a Micene era scolpita nel legno di pero; era sacro anche per Atena, dea della sapienza, della città e della guerra; così come per Afrodite, che nel suo santuario di Tebe veniva chiamata Onca, nome prellenico del pero. La forma della pera evoca il ventre femminile; da sempre ha rappresentato antropologicamente il corpo della donna poichè ne sottolinea le curve; è così diventato simbolo erotico e di fecondità. L’abbinamento del pero al mondo femminile ha resistito a lungo nella tradizione popolare, fino a non molto tempo fa, per esempio, nel cantone svizzero di Argovia quando nasceva un bambino veniva piantato un melo se era maschio oppure un pero se si trattava di una femmina. Nella simbologia cristiana il pero viene posto in relazione all’amore di Cristo per l’umanità. Nella cultura cinese, dove il colore bianco è associato al lutto, il candore dei fiori del pero simboleggia il profondo dolore causato dalla morte di una persona cara; la fragilità e la frugalità dei suoi fiori rappresentano la natura effimera dell’esistenza“.
La pera nella tradizione popolare
Nella tradizione popolare il frutto del pero è citato in detti e proverbi, distillati di saggezza popolare che derivano dall’esperienza quotidiana, per rappresentare situazioni sociali consolidate e difficoltà del vivere quotidiano e per descrivere metaforicamente furbizie e strategie per la sopravvivenza. Alcuni motti ispirati alla pera sono esempi di saggezza popolare, come: “Cvânt che la përa la j è fata la ches-ca da par sé” (Quando la pera è matura cade da sola); un invito alla pazienza in quanto le cose accadono da sole al momento opportuno. Oppure “Una përa gvasta la n’ amêla zènt dal s-cèti” (Una pera guasta infesta 100 pere sane), per ricordare con quanta facilità si diffondono il vizio e la corruzione; o anche “Caschê cóma una përa còta” (Cadere come una pera cotta), che può significare l’abbandonarsi per la grande stanchezza, oppure l’innamorarsi perdutamente o cadere con facilità in un inganno.
Il culto della “Madonna della Pera”
Nel fondamentale volume già citato, in un altro saggio molto interessante a firma di Elisabetta Landi, si prende in considerazione il tema “Pomi dell’oro. Le ‘antiche pere’ nelle arti figurative, nel mito e nella simbologia religiosa in Emilia-Romagna. Momenti e aspetti”. L’autrice ricorda, fra l’altro, che nel ciclo scultoreo della “Porta dei mesi” della Cattedrale di Ferrara in uno dei portali è scolpito un pero con un fanciullo intento a raccogliere un frutto [allo stesso scultore, il Maestro dei Mesi di Ferrara, è stata attribuita dallo studioso Cesare Gnudi (1910 — 1981) la realizzazione della lunetta “Adorazione dei Magi” dell’Abbazia di San Mercuriale di Forlì ndr]. Mentre per la presenza di diverse opere presenti in Romagna, in genere affreschi o pale d’altare, dove compare la Madonna che porge al Bambino una pera si può presupporre la nascita dalle nostre parti, in particolare a Cesena, di un vero e proprio culto; oggi è difficile capire come sia nato e qual’è stata la sua evoluzione. Ma andiamo con ordine.
Annota Elisabetta Landi che se sfugge la ragione materiale della fortuna “cesenate” di quel pomo, su cui si possono formulare solo ipotesi, si conosce per certo il prototipo figurativo della devozione. “Si risale al XIV secolo, per l’esattezza al 1347, anno della tavola firmata, e datata, da Paolo Veneziano. Oggi il dipinto è custodito al Vescovado di Cesena ma una volta si trovava in una chiesa importante – con ogni probabilità San Francesco – ed era parte di un polittico eseguito per una committenza prestigiosa. Da qui, in tempi relativamente recenti, fu trasportato lungo il pendio collinare che guarda verso il mare, e collocato sull’altare dell’Immacolata Concezione di Carpineta. È da quest’opera sontuosa, modello autorevole e un capolavoro del maestro, che discende il culto della “Madonna della Pera” celebrato con una decina di esemplari, non pochi, prodotti in un ambito territoriale alquanto circoscritto e in un momento di stile ben preciso, compreso tra il tardogotico e il primo rinascimento“.
La studiosa ricorda a questo punto dove sono presenti le altre opere, dipinti o affreschi: “Nella Pinacoteca Comunale di Cesena è conservata una tavola del primo quarto del ‘400 attribuita ad artisti diversi: a Bitino da Faenza che avviò in regione un gotico raffinato, al Maestro di Ceneda, autore di preziosità venete tra Jacobello e Giambono, a un artista anonimo romagnolo e, per le affinità con la Vergine col Bambino del Museo Nazionale dell’Aquila, al Maestro di Cellino Attanasio, un collaboratore di Jacobello aggiornato sull’arte lagunare ma in grado di innestare, sul suo linguaggio, accenti di matrice emiliana. Di un trentennio più tardo è poi, sempre nella raccolta cesenate, l’affresco “Madonna della Pera”, proveniente da San Francesco; si trovava in origine su un parete del convento, all’interno di una composizione più ampia eseguita dal Maestro di Castrocaro: un pittore interessante, al corrente di un rinascimento acerbo (ma aggiornato sullo stile internazionale) che si scorge nella purezza del volto di Maria. Proprio a Castrocaro è offerta una testimonianza importante di questa iconografia nell’affresco con la “Sacra conversazione” della chiesina di San Nicolò; qui, nei ritmi eleganti e negli atti di “affettuoso colloquio”, come ha avuto modo di descrivere lo storico dell’arte forlivese Giordano Viroli, in uso presso la società cortese, la Vergine porge il pomo al Bambino, e dialoga con Sant’Antonio Abate e con San Giovanni Battista sul tema, si presume, dell’amore per l’umanità richiamato dalla presenza allegorica della pera“.
“Nel Cinquecento, nei primi decenni successivi al volgere del nuovo secolo – prosegue la studiosa – altre opere documentano la continuità della devozione in Romagna. A Forlì, ai Musei San Domenico, una tavola attribuita a Giovan Battista Utili, o Bertucci il Vecchio, e a Faenza, in Sant’Agostino, una pala di Sebastiano Scaletti. Sono testimonianze di fede, e prove significative di un culto radicato, collegato ai pomi e depositato nell’immaginario ancestrale ma che sarebbe opportuno approfondire, oggi, con un confronto incrociato tra la letteratura, la fede e la simbologia del frutto rapportata alle tradizioni votive del nostro territorio; senza dimenticare la frutticoltura“.
Nelle opere sopra indicate il frutto è raffigurato in maniera sommaria: sono pomi minuscoli, probabilmente come scrive Elisabetta Landi: “Si tratta delle moscatelle, un gruppo di varietà antiche. In termini di alimentazione valgono le considerazioni della storiografia sull’essenzialità della pera, facile a conservarsi nei mesi invernali e perciò popolare fin dal medioevo, come si vede nel bassorilievo duecentesco del duomo di Ferrara. Tuttavia, a differenza della città estense, a Cesena non ne risulta una diffusione particolarmente intensa, o paragonabile, ad esempio, a quella della coltivazione del fico. Si può pensare, forse, a un “cultivar” presso una comunità religiosa, in un possedimento locale o perché no, come propone Anna Tambini (storica dell’arte Ndr), nell’orto di Violante, moglie di Malatesta Novello, ceduto nel 1459 agli Osservanti per la costruzione del convento. Dove, forse, sfilavano gli alberi di pero, nei giardini di corte, coesistevano piante a frutti eduli e varietà vegetali decorative“.
Le due piante di Pero Volpino in località Pianta, frazione di Forlì
Da una segnalazione dell’amico Enzo Donati, ho potuto accertare che in località Pianta, quando la via Bengasi si incrocia con la strada vicinale vicolo Umiltà, vi sono alcune abitazioni che nelle loro aree di pertinenza vedono la presenza di diverse piante di grande interesse, come una farnia piantata nel 1963, una rovere di 7 anni più vecchia, due tassi di 70 anni di età e un pioppo probabilmente coevo. Fra quelle da frutto spiccano un sorbo di 50 anni, un pero William e due peri Volpini che hanno 100 anni di vita. Queste ultime due piante per le dimensioni e per l’età (vedere foto scattata da Giulio Sagradini), sono fra quelle rare rimaste nel nostro territorio, mentre un tempo era una specie diffusa.
Siccome la pera Volpina, come il corbezzolo e le giuggiole, appartiene ai cosiddetti frutti dimenticati, tanto cari al poeta e scrittore Tonino Guerra che in più occasioni chiese che si iniziasse a coltivarla nuovamente. Così come hanno fatto nel loro terreno Graziella Valentini e Marino Monti, storici animatori di sodalizi culturali forlivesi che si dedicano alla salvaguardia delle tradizioni e del dialetto (Marino è anche un apprezzato poeta), e nel contempo continuano a custodire una pero Volpino di oltre 70 anni.
Il pero Volpino in Romagna
L’origine della pianta non è nota, ma nel passato ebbe una elevata diffusione in Romagna, dove spesso veniva impiegata come tutore vivo nell’allestimento delle “piantate”, i filari promiscui di vite. In Emilia sono stati sporadicamente segnalati alberi con frutti simili, ma chiamati con nomi differenti. È una pianta molto rustica, robusta e produttiva che si adatta facilmente ai vari tipi di terreno, preferendo quelli profondi, freschi, fertili, riuscendo però a sopravvivere e a sviluppare anche sui terreni aridi. Attualmente la troviamo in vicinanza di vecchie case di campagna, in mezzo a vecchi vigneti e, in alcuni casi, ancora in mezzo ai boschi, oggi abbandonati, dove un tempo il terreno risultava coltivato.
Anche nelle colline di Casola Valsenio, di Brisighella, dove annualmente nel mese di novembre si svolge la sagra dedicata alla pera volpina (questa saltata per colpa del diffondersi del virus Covid 19), e di Riolo Terme, sono state trovate piante di oltre 60 anni di età e questo dimostra la longevità della specie.
Il frutto è di forma rotonda, la buccia è rugosa e color ruggine, al suo interno la polpa è dura, croccante e granulosa. I frutti sono piccoli, tanto che il peso medio può oscillare tra i 40 e gli 80 grammi a seconda del carico produttivo e dell’ambiente di coltivazione. Fiorisce dalla II alla III decade di aprile. La produttività è elevata, allega bene e fruttifica prevalentemente su lamburde [la lamburda è un organo tipico delle pomacee, la cui gemma apicale è capace di produrre solo incrementi vegetativi di pochi millimetri. In sostanza si tratta di particolari tipi di rami o branchette, chiamati brachiblasti, che possono terminare con una gemma a legno (lamburda vegetativa) o con una mista (lamburde fiorifere) Ndr]. È una pianta molto rustica, poco sensibile alle principali avversità.
I frutti, che si raccolgono verso la fine di ottobre, sono poco attraenti; la buccia è quasi
completamente rugginosa e la polpa è durissima, granulosa, poco succosa e non molto
aromatica, tanto che è utilizzabile solo previa cottura, meglio se nel Sangiovese piuttosto che in acqua, o sotto forma di confettura, gustosa e aromatica, che si abbina perfettamente con il formaggio, mentre le varietà Broccolina e Volpona sono mangiabili anche allo stato fresco.
La tradizione vuole che venga utilizzata come ingrediente per un’altra specialità tipica romagnola: il “savor”. Si tratta di una confettura contadina originariamente preparata dopo la vendemmia, facendo bollire il mosto insieme ai frutti autunnali, come appunto le pere, le mele, oltre a frutta secca, canditi e ortaggi come la zucca. Il savor è l’accompagnamento ideale di bolliti, arrosti e carne rossa in generale o della polenta, ma nulla vieta che lo si gusti anche da solo.
L’elevato contenuto di fibra rende la pera Volpina particolarmente adatta ai regimi dietetici dimagranti non solo per il ridotto apporto di calorie; la fibra non solubile assorbe parte degli zuccheri ingeriti con altre sostanze, aiutando a ridurne l’assimilazione.
La pera in cucina
Non è possibile in questa sede prendere in considerazione in modo esauriente il tema dell’utilizzo in Italia della pera in ambito culinario. È sufficiente dire che la variabilità e la genialità delle tante preparazioni possibili con le pere permette di spaziare e di ricercare nella gastronomia sia tradizionale sia moderna tante soluzioni culinarie. Però alcuni titoli di piatti vanno evidenziati riprendendo lo studio di Rosella Ghedini, come gli antipasti: pere alla crema di formaggio, bruschetta con brie, speck e pere, o i primi: risotto alle pere e wodka, quiche alla pera. Più variegato l’uso per i secondi: carpaccio di maiale con pere e formaggio grana, galletto ruspante con marsala e pere mora, sformato di pecorino con purea di pere volpine e senape, spinaci alle pere (gli ultimi due piatti sono vegetariani); oppure nelle insalate: insalata fantasia, insalata di pere e cetrioli. Fra le salse e i contorni si segnalano le piccole pere sott’aceto e la mostarda mantovana, mentre per i dolci si va dalla torta di pere al semifreddo alle pere, dalle pere William con fragoloni spolverati di cacao amaro alle pere Broccolina all’Alkermes. Tra i liquori e le bevande il Perolo, la bevanda di pero e la grappa alla pera, mentre per il settore marmellate e frutta sciroppata si ricordano la marmellata di pere, la pera Volpina da conserva per l’inverno e il Savurètt da preparare secondo il disciplinare del Consorzio di valorizzazione dei prodotti dell’Appennino reggiano.
Gabriele Zelli