Nel 1302 a pochi passi dal ponte del Pane, in quello che oggi è il centro della città di Forlì, si innalzava la Chiesa di San Guglielmo, poi di San Crispino, citata come esistente già nel 1170 nell’atto di donazione da parte del vescovo Alessandro all’abate Enrico di San Mercuriale. Si trovava nei pressi del Palazzo Comunale, attigua alla piazzetta San Crispino, alla quale ha dato nome.
Tra il Ponte del Pane e il Ponte dei Cavalieri si trova il cosiddetto Ponte Buio, corrispondente all’attuale loggiato del Palazzo del Comune. La facciata della residenza signorile fu fatta avanzare dagli Ordelaffi dopo la metà del XV secolo. Bisogna perciò immaginare che, ai tempi di Dante, il Canale di Ravaldino scorresse a cielo aperto, lambendo il palazzo in cui gli Ordelaffi si sarebbero trasferiti solo agli inizi del Quattrocento.
L’area antistante all’Abbazia di San Mercuriale, complesso risalente almeno al 1178, di cui Dante ammirò certamente il campanile e l’altorilievo della lunetta del Maestro dei Mesi da Ferrara, fu scenario del cruento episodio conosciuto come il «sanguinoso mucchio» (Inferno, Canto XXVII). In epoca comunale, la piazza fu ripetutamente percorsa da sanguinosi scontri tra guelfi e ghibellini. In particolare, nel 1282, fu teatro della grande vittoria dei forlivesi, guidati da Guido da Montefeltro (1233-1298), contro le truppe francesi inviate da papa Martino IV (1210-1285) al comando di Giovanni d’Appia (1240-1293), che avevano il compito di impadronirsi di Forlì, roccaforte dei ghibellini. Con astuzia diabolica, nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio, con l’aiuto dell’astrologo Guido Bonatti (1210 circa – 1296 o 1300), fingendo la resa della città, Guido da Montefeltro con i suoi uomini colse alla sprovvista gli avversari e li massacrò nel sonno. La celebre impresa, divenuta simbolo dell’orgoglio municipalistico e ghibellino della città, fu celebrata dall’Alighieri in una celebre terzina della Divina Commedia:
LA TERRA CHE FÉ GIÀ LA LUNGA PROVA / E DI FRANCESCHI SANGUINOSO MUCCHIO, / SOTTO LE BRANCHE VERDI SI RITROVA (Inferno, Canto XXVII, vv. 43-45).
Questi endecasillabi, incisi su una lapide posta a fianco del campanile, confermano che a Forlì erano gli Ordelaffi a detenere il potere, perché la città si ritrovava «sotto le branche verdi», simbolo della famiglia. Al termine della sanguinosa battaglia fu il nobile veneziano e frate domenicano Giacomo Salomoni (1231-1314) – in seguito beatificato – allora presente in città, a invitare a seppellire le centinaia e centinaia di morti francesi nei terreni delle numerose chiese, poste appena fuori dalle mura. Secondo le cronache del tempo, i più titolati furono invece tumulati in una grande fossa comune nel cimitero di San Mercuriale, che era esteso fino a metà dell’attuale piazza Saffi.
A ricordo della battaglia e a suffragio dei nemici defunti, per volere dello stesso Salomoni fu costruito un oratorio che fu posto quasi al centro del Campo dell’Abate. Sotto una cupola di pietra, un leone di marmo sosteneva una colonna coronata da una croce lapidea che diede origine al termine “Crocetta” che identificava il luogo sacro. La costruzione fu demolita nel 1616 e al suo posto fu collocata, nel 1638, la statua della Madonna del Fuoco, sorretta da un’imponente colonna, che vi permase fino al 1909. Nel 1921 il monumento di Aurelio Saffi (1819-1890), opera dello scultore napoletano Filippo Cifariello (1864-1936) e finanziata dal tenore Angelo Masini (1844-1926), prese il posto della Madonna, in seguito spostata nella piazza del Duomo e inaugurata il 6 maggio 1928, anno del quinto centenario del miracolo che ha dato origine al culto.
La Rubrica “Fatti e misfatti di Forlì e della Romagna” è a cura di Gabriele Zelli e Marco Viroli