La Badia ovvero l’Abbazia di Sant’Andrea. A Dovadola merita di essere visitata l’Abbazia di Sant’Andrea. Nell’XI secolo, quando i territori della Romagna non si sottomisero ai Longobardi rimanendo fedeli a Ravenna e Bisanzio, a Dovadola sorse questo luogo di culto, da tutti detto la “Badia”, che nel 1116 entrò anche in possesso del Castello di Dovadola, già appartenente dal 1021 alla Chiesa ravennate.
Oggi dell’edificio originario della Badia non resta molto: all’interno si conserva un capitello con volti scolpiti sulle quattro facce che rievoca forme arcaiche dell’arte religiosa alto-medievale, come la croce con “Manus Dei” benedicente, proveniente da San Martino in Avello, collocata nel parco antistante (foto di Dervis Castellucci). Sono inoltre presenti dipinti cinquecenteschi e seicenteschi di discreta qualità: una Madonna di accurata fattura e alcuni affreschi con santi e sante protettrici sullo sfondo di paesaggi collinari. Il visitatore che non conosce il sito rimarrà sicuramente sorpreso nel vedere lo spazio a lato dell’ingresso che accoglie il sarcofago di Benedetta Bianchi Porro (1936-1964), dichiarata beata nel 2019.
A fianco della Badia si sviluppa la grande Villa Tassinari-Blanc, il cui stemma di famiglia è affrescato sul muro della loggia mentre a sud campeggia una meridiana. Oggi il complesso è di proprietà della Fondazione intitolata alla beata, insieme al vicino ristorante Rosa Bianca e alla casa di Marzano.
La Chiesa della Santissima Annunziata dove fu sepolto Antonio Raineri Biscia
Molto importante e interessante è la Chiesa della Santissima Annunziata, attribuita dalla tradizione all’opera dell’eremita Ballistra che nel 1318, nel luogo dove sorge l’attuale complesso, avrebbe realizzato una cella, poi trasformata in edificio di culto, quando divenne un convento domenicano. Notizie certe su questa chiesa se ne hanno però solo a partire dal XV secolo quando la struttura, intitolata in seguito alla S.S. Annunziata, venne affiancata da un hospitale dedicato a Santa Maria dei Battuti Bianchi, confraternita di penitenti, fedeli alla regola terziaria francescana. L’hospitale possedeva un giardino e una cappella indipendente.
Tra il 1481 e il 1482 era in costruzione presso l’ospedale una nuova chiesa che risulta essere stata terminata nel 1486, dedicata all’Annunziata e officiata dai frati predicatori.
I domenicani restarono a Dovadola fino al 1782, quando il Granduca Pietro Leopoldo (1747-1792), accogliendo le istanze di alcuni cittadini, soppresse il convento ed eresse la Santissima Annunziata, la seconda parrocchia del paese, dotandola dei beni appartenuti a quella di Santa Maria in Badignano, distrutta dal terremoto del 1781.
L’attuale edificio, a navata unica, con tetto a capanna, capriate a vista e cappelle laterali, malgrado gli interventi che si sono succeduti, conserva nelle sue linee essenziali l’assetto originario di fine ‘400, mentre spicca la copertura del campanile con cuspide orientaleggiante di fine ‘700.
All’interno, entrando a destra, si nota una lapide in marmo con effige che segnala la sepoltura dell’illustre linguista Antonio Raineri Biscia (1780-1839). Nella seconda cappella di sinistra è custodito un crocifisso ligneo trecentesco di pregevole fattura, un tempo collocato nel cimitero della parrocchia di Casole. Sugli altari laterali alcune tele e una statua di San Vincenzo Ferrari (1350-1419) rimandano all’origine domenicana della chiesa.
L’eremo e il Santuario di Sant’Antonio a Montepaolo: luogo antoniano d’eccellenza
Per chi si trova a Dovadola è d’obbligo salire a Montepaolo dove si erge il Santuario di Sant’Antonio. In una zona attigua, sul pendio che guarda verso la valle del Samoggia che unisce Modigliana con Faenza, fra il 1221 e il 1222 visse per una quindicina di mesi, presso un modesto romitorio, padre Antonio, al secolo Fernando Martins de Bulhòes (1195-1231). Questi si rivelò a Forlì, nel settembre 1222, per sapienza, cultura teologica e grande capacità oratoria, tanto che gli venne immediatamente conferito l’incarico di predicatore dall’ordine francescano, movimento religioso che fu molto caro anche a Dante. Padre Antonio potrebbe essere tornato a Montepaolo sei anni dopo per chiudere il romitorio che si trovava in condizioni precarie e trasferire i confratelli, molto probabilmente a Castrocaro. Prima conosciuto come Antonio da Forlì, divenne poi Antonio da Padova e fu proclamato santo l’anno successivo alla morte, avvenuta nella città veneta nel 1231.
Nel 1629 il nobile Giacomo Paganelli di Castrocaro fece costruire sullo stesso posto dove si trovava il romitorio una cappella in onore del santo, come ex voto per una grazia ricevuta. Nel 1790, per volere di due gesuiti, in un momento in cui il loro ordine era stato soppresso, Andrea Michelini (1733-1814) di Bologna, in quel periodo residente a Forlì, ed Emmanuele De Azevedo di Coimbra (autore del libro “Vita del Taumaturgo Portoghese Sant’Antonio da Padova”, edito a Bologna nel 1790), fu ampliata la cappella, mentre a fianco venne costruita una canonica. Verso la fine dell’Ottocento un movimento franoso di grandi dimensioni rase letteralmente al suolo tutto ciò che ricordava la presenza di Sant’Antonio a Montepaolo. Si decise allora di costruire un nuovo santuario sulla sommità della collina, che fu consacrato nel 1913, e di spostare la grotta del santo nel luogo dove si tuttora trova.
Il complesso di Corte San Ruffillo e palazzo Monte Aguto
Tra gli altri luoghi di Dovadola da visitare va citato il complesso di Corte San Ruffillo che ha origini antichissime. Nelle Ratio Decimarum del 1290 (il registro delle decime che venivano riscosse dallo stato della Chiesa) questo luogo si chiamava “Plebis S. Rophilli”, era inserito all’interno della Diocesi di Forlimpopoli e pare sorgesse nel sito di un antico castello dei Conti Guidi. Secondo le fonti, infatti, la fondazione della Chiesa sarebbe datata intorno all’XI secolo, anche se la tradizione popolare fa risalire la casa canonica, la chiesa attigua, le cantine e i servizi annessi alla seconda metà del 300 a.c. periodo della predicazione di San Ruffillo Martire, vescovo di Forlimpopoli. Con il passare dei secoli il complesso si è arricchito fino ad assumere, con la costruzione di Villa Filetto nel 1810 c.a. l’aspetto attuale, che nel recente passato è stato completamente restaurato.
A circa tre chilometri di distanza da Corte San Ruffillo, su una erta, si trova palazzo Monte Aguto, l’edificio dove trovarono rifugio, nell’agosto del 1849, Giuseppe Garibaldi (1807-1882) e il Giovanni Battista Culiolo (1813-1871), detto Maggiore Leggero, in fuga dopo la repressione operata nei confronti della Repubblica Romana. Una fuga che iniziò il 1° agosto 1849 e denominata “trafila” perché una rete di patrioti e democratici romagnoli aiutarono i due fuggiaschi ad attraversare i territori dello Stato Pontificio per raggiungere il Regno Sabaudo.
La Rubrica “Fatti e misfatti di Forlì e della Romagna” è a cura di Gabriele Zelli e Marco Viroli