Il Santuario di Sant’Antonio a Montepaolo: uno scrigno d’arte

Montepaolo

Risale al 7 settembre 1913 la consacrazione della chiesa-santuario dell’Eremo di Montepaolo da parte dell’allora vescovo di Modigliana Mons. Luigi Capotosti. A ricordo di quella giornata fu murata una lapide all’interno della facciata dell’edificio con una iscrizione latina di Padre Giuseppe Galli di Signa, di cui si trascrive la versione italiana:

“Rovinata l’antica chiesa / Situata in fondo alla valle vicino alla grotta santificata dalle preghiere di Antonio / Questa sulla cima del monte / Dedicata al medesimo Santo di Padova / Con le offerte dei devoti raccolte dal P. Teofilo Mengoni con l’aiuto affettuoso del P. Michelangelo Marrucci, Min. Prov. / Con disegno di P. David Baldassarri / All’esecuzione del quale assisté attentamente come architetto il Vescovo di Modigliana Luigi Caposti / Nel sedicesimo centenario della concessa libertà alla Chiesa / Felicemente / Consacrò il 7 settembre 1913”.

All’esterno della facciata del santuario, sulla porta d’ingresso, è collocata una lunetta in bassorilievo dello scultore umbro Vincenzo Rosignoli (1856-1920) raffigurante la Vergine col Bambino Gesù, che accarezza i gigli in mano a Sant’Antonio, mentre l’austero San Bernardino da Siena colla tavoletta del nome di Gesù benedice la scena.
Il portale d’ingresso è opera di Leonardo Galiberti, frate minore della Verna, su disegno dell’architetto Padre David Baldassarri. Nell’intarsio sono raffigurati vari simboli religiosi, tra cui lo stemma francescano (il braccio di San Francesco si incrocia con quello di Gesù sotto la croce).

Gli altari furono realizzati sempre su disegno di Padre David Baldassarri. Come stazioni della Via Crucis furono utilizzate le piccole ceramiche invetriate in bianco che appartenevano al preesistente santuario, opera di Giovan Battista Ballanti Graziani di Faenza (1762-1835), capolavori per finezza e complessità compositiva.
Tutta la finestratura della chiesa fu occupata da vetrate disegnate e cotte dalla Vetreria Attilio Fabbri di Bologna, poste in opera nell’autunno 1912. I rosoni presentano nel centro un serafino contornato da gigli, i fiori simbolo della verginità che l’iconografia associa in modo particolare a Sant’Antonio.

Le altre quattro vetrate recano motivi decorativi, simboli religiosi e stemmi nobiliari; quelle del presbiterio (di posa tardiva) raffigurano San Francesco e Sant’Antonio.
Sotto le vetrate d’ingresso, i dipinti murali illustrano due momenti della storia di Montepaolo; più devozionale quello in cui Sant’Antonio risale dalla grotta stremato dalle penitenze, più decisivo per il corso degli eventi quello che si riferisce alla guarigione miracolosa del già citato Giacomo Paganelli, artefice del santuario seicentesco, che dopo la visione taumaturgica seppe descrivere la tomba del Santo senza essere mai stato a Padova: di qui l’idea di una cornice a forma di sarcofago. I due episodi sono racchiusi dalla rappresentazione delle tre virtù teologali (fede, speranza e carità) alle quali si aggiunge la verginità, sempre in riferimento al Santo.

I frati vollero che all’interno del santuario tutta la superficie parietale disponibile fosse decorata, alla maniera della basilica di San Francesco in Assisi. Il richiamo è palese negli affreschi dell’attuale cappella della reliquia, che raffigurano San Francesco stimmatizzato e l’episodio del lupo di Gubbio, e nella volta stellata. Lavorò alle pitture dall’ottobre 1913 al 1915 inoltrato il conte Giacomo Gemmi (1863-1947). Gli successe Giovanni Bassan di Treviso, col suo aiutante Federico Burbassi di Modigliana, poi Bruno Mazzoni di Dovadola.

La decorazione pittorica terminata fu inaugurata nel 1931, settimo centenario della morte di Sant’Antonio. Una fascia con motivi decorativi e ritratti di santi, papi, religiosi, uomini illustri e benefattori percorre tutta la chiesa nel registro superiore. Tra i ritratti c’è un medaglione dedicato a Benito Mussolini (entrando in alto a destra), allora presidente del Consiglio dei ministri, che in diverse occasioni finanziò degli interventi tramite il fondo creato presso la Segreteria Particolare del Duce. Diversi altri personaggi, allora ancora viventi, furono raffigurati dai pittori chiamati a svolgere questo compito, ad esempio tra i nobili spiccano in particolar modo i ritratti della principessa Maria Josè e del principe Umberto di Savoia (navata prima colonna a destra), al tempo ancora fidanzati.

Portandosi al centro della navata e alzando lo sguardo alla volta, si può contemplare Maria Assunta circondata da angeli. Sotto la volta, le lunette narrano episodi della vita del Santo (la morte, un miracolo di risuscitamento, la mula che gli si inginocchia innanzi all’ostenzione del Santissimo Sacramento, Gesù Bambino che appare ad Antonio immerso nello studio). Sotto le lunette otto medaglioni con ritratti di santi, papi e frati. In quelli centrali riconosciamo a destra una Pietà e a sinistra Santa Teresina di Lisieux, canonizzata nel 1925. Nella cappella di sinistra, una di fronte all’altra, due cornici quadrilobate compongono un’Annunciazione (l’angelo sulla parete di destra, la Madonna su quella di sinistra). La pala dell’altare narra l’episodio di San Francesco che appare ai frati nel capitolo di Arles durante una predica di Sant’Antonio. In origine il quadro era nella cappella di destra; poi, con la realizzazione del nuovo reliquiario, è stato collocato il quella di sinistra al posto di quello raffigurante l’Immacolata Concezione, conservato in sagrestia. Entrambe le opere sono state realizzate nel 1931-32 dal pittore fiorentino Baccio Maria Bacci (1888-1974).

Per il dipinto dell’abside fu scelto come soggetto “Cristo Re”, una devozione che ebbe il suo culmine nell’istituzione della solennità liturgica ad opera di Pio XI nel 1925. Si noti dunque la sensibilità contemporanea e l’attenzione al dato storico che contraddistinse gli artisti che operarono a Montepaolo. Poi o perché non piacque, o per altri motivi sconosciuti, nel 1926 al “Cristo Re” fu sovrapposto un polittico, dipinto da Venanzio Bolsi di Arezzo. La struttura in legno dorato fu disegnata da Padre David Baldassarri in stile gotico. Da sinistra a destra sono rappresentati San Michele arcangelo, San Giovanni da Capestrano, Sant’Antonio, la Madonna in trono con il Bambino, San Francesco, San Bonaventura, San Giovanni Battista. Nei medaglioni Dio Padre osserva benedicente tra San Bernardino e San Giacomo della Marca: un vero ”trionfo” di santi francescani.

In una lunetta sulla parete sinistra del presbiterio è posta una Madonna orante in gesso di ambito tosco-romagnolo. Sul lato opposto è invece raffigurato San Luigi IX re di Francia, protettore del Terz’Ordine Francescano (oggi Ordine Francescano Secolare).
Il 7 settembre 1941 fu inaugurato il campanile, costruito ex-novo, unito al corpo della chiesa, realizzato su disegno dell’ingegnere Vittorio Dotti.

Una volta sul posto è inevitabile visitare la “Grotta di Sant’Antonio”, che si raggiunge percorrendo il “Sentiero della Speranza”, e il viale dei mosaici, nonché godere dell’ampio bosco che circonda la zona. Nei dintorni si snodano diversi sentieri che consentono di effettuare delle camminate godendo di un paesaggio unico. Anche Dovadola merita di essere visitata, in particolare la parte storica che in alcuni punti si può notare l’impianto di epoca medioevale. Infine si consigliano i ristoranti e gli agriturismi della zona, fra i migliori della vallata dell’Acquacheta.

Per informazioni: IAT – Ufficio informazione e accoglienza turistica, viale Marconi, 20/28 (Galleria Terme), Castrocaro Terme e Terra del Sole (FC); telefono: 0543769631; email: iatcastrocaro@visitcastrocaro.it.

Gabriele Zelli

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