Sicuramente la Pieve di San Valentino di Tredozio è una meta che entra di diritto in questa rassegna dedicata a luoghi che un tempo hanno esercitato un ruolo determinante nella vita delle collettività locali e che possono essere meta la di un’escursione una volta cessata l’emergenza sanitaria dettata dal diffondersi del Covid 19.
Nel volume “Tredozio. Ieri e oggi” di Claudio Martelli, edito nel 1984 dalla Cassa Cassa Rurale e Artigiana di Faenza, l’autore presenta così il luogo di culto: “San Valentino è un’antica pieve, alla cui giurisdizione vennero assegnati i territori che si estendevano: 1) a Sud fino oltre Gamogna; 2) a Sud-Ovest fino oltre i confini di Marradi e Modigliana; 3) a Nord-Est fino oltre gli attuali confini di Modigliana e Rocca San Casciano; 4) a Sud-Est fino all’attuale confine di Portico, cioè oltre San Benedetto in Alpe”. Tutto questo territorio, che venne denominato “Piviere di San Valentino”, vide sorgere gradatamente ben ventuno chiese parrocchiali, dodici delle quali esistono ancora, di cui nove nel Comune di Tredozio e pertanto quella di San Valentino venne chiamata “chiesa matrice”.
Secondo Claudio Martelli le vicende più importanti della storia di questo tempio posizionato in una incantevole zona della nostra Romagna-Toscana, che oggi viene aperto in rarissime occasioni, partono nel 562, quando furono costruite la chiesa e la canonica. Nel 970 la pieve venne ricostruita a tre navate, nel luogo dove oggi sorge il cimitero, con un’alta torre dove furono collocate tre campane e venne mantenuta anche quella vecchia. Nel 1061 il cardinale Pier Damiani, vescovo di Ostia, riuscì a stabilire “una concordia fra l’Eremo di Gamogna e il Monastero di Acereta a discapito di San Valentino che fu privata di parte dei suoi possessi”. Operazione analoga venne riproposta due anni dopo quando il medesimo cardinale riuscì a placare gli animi degli eremiti di San Barnaba in Gamugna e dei monaci di Acereta perché ottenne dal Vescovo di Faenza la concessione della metà delle rendite di San Valentino “con altri beni spettanti alla sua mensa”.
In tempi relativamente più recenti cronache annotano che l’arciprete Stignani, nel 1833, nell’effettuare lavori di restauro distrusse gli affreschi e le iscrizioni che si trovavano dentro alla chiesa, mentre negli anni che vanno dal 1851 al 1853, considerata la posizione isolata, vi trovarono rifugio alcuni banditi sconfinati dallo Stato Pontificio in quello del Granducato di Toscana dopo l’uccisione di Stefano Pelloni, detto “Il Passatore”.
Nel 1863 venne demolita la chiesa costruita nel 970 perché pericolante (al suo posto fu costruita una casa colonica chiamata “San Valentino Vecchio”) e non fu riedificata nello stesso posto ma più in basso dove sorge tuttora.
Durante il Primo Conflitto mondiale alcuni disertori trovarono rifugio in zona e nel periodo bellico successivo, in particolare a partire dal mese di luglio del 1944, vi trovò ospitalità un gruppo di partigiani capeggiati da Silvio Corbari con la compiacenza don Luigi Piazza, arciprete del luogo dal 1934, che militava nella stessa formazione partigiana.
In seguito a una delazione il 18 agosto furono catturati dai nazifascisti a Cornio, una vicina casa colonica, i principali esponenti della Banda Corbari; lo stesso Silvio Corbari insieme a Adriano Casadei e Arturo Spazzoli, mentre Iris Versari si uccise. Da Cornio i prigionieri furono trasportati a Castrocaro dove furono impiccati Silvio Corbari e Adriano Casadei mentre Arturo Spazzoli fu finito con un colpo di pistola durante il percorso. I corpi dei quattro partigiani furono successivamente appesi ai due lampioni di piazza Saffi prospicienti Palazzo Albertini, allora sede del Partito Nazionale Fascista della Repubblica Sociale Italiana (RSI).
I componenti della Banda Corbari, rimasti praticamente privi del loro stato maggiore, non si persero di coraggio e, insieme a don Luigi Piazza, si riorganizzarono e affidarono il comando al fratello di Silvio, Romeo Corbari.
Il gruppo di partigiani che rimase sul posto fu attaccato da soldati tedeschi e alla difesa, che ebbe successo, della chiesa e della canonica contribuì armi in mano anche don Piazza che si distinse ancora una volta per la calma e la decisione, rivelando un carattere forte e risoluto. Finita la guerra il prete-partigiano rimase parroco per un certo periodo di San Valentino, poi fu trasferito a Crespino, dove, dopo aver fatto erigere il Sacrario per la popolazione trucidata dai nazisti, morì.
Allo stato attuale il complesso della pieve si presenta in buone condizioni ed è circondato da piante di alto fusto, mentre sul retro è stata posta una grande statua di Cristo con le braccia spalancate al cielo. Per arrivarci da Tredozio si deve percorrere un tratto di strada non agevole, ma transitabile in automobile. La zona, che consente di effettuare diverse camminate, compresa quella per arrivare alla casa di Cornio senza particolari difficoltà data la brevità del percorso (30/40 minuti), il minimo dislivello e la facile individuazione grazie ai segnavia del Club Alpino Italiano. L’edificio, di proprietà dell’Amministrazione Provinciale di Forlì-Cesena, è divenuto luogo della memoria delle vicende del gruppo Corbari. In occasione del 60º anniversario della Liberazione, le sezioni dell’Associazione Mazziniana Italiana “Giordano Bruno” di Forlì, “Gaetano Salvemini” di Faenza e “Silvestro Lega” di Modigliana si sono affiancate alle Sezioni di Faenza e di Forlì del Club Alpino Italiano, in collaborazione con l’A.N.P.I. di Forlì e Faenza, la F.I.A.P. Associazione “Giustizia e Libertà” di Forlì, per valorizzare quel tratto di percorso che fu teatro di una delle tante gloriose vicende della Guerra di Liberazione.
Un’ulteriore sosta a Tredozio, altro incantevole borgo della nostra Romagna-Toscana, completerà l’escursione, che può terminare in uno dei ristoranti o agriturismi della zona.
Gabriele Zelli