Mercoledì 18 maggio alle ore 20,30 per l’ultimo appuntamento della stagione 2021/22 andrà in scena “Born ghost” uno spettacolo di Coppelia Theater, una delle compagnie ospiti delle residenze artistiche al Teatro Testori, che vede in scena la performer forlivese Mariasole Brusa. Uno spettacolo nero, inquietante, a tratti spaventoso ma anche commovente e delicato; una riflessione poetica sulla diversità e sull’isolamento che, attraverso il teatro di figura e la videoarte, mette in scena la leggenda del fantasma di Azzurrina di Montebello, bambina albina scomparsa in circostanze misteriose nel 1375. Fantasma la bambina lo era, in ogni caso, già in vita: incompresa, rinchiusa nel suo castello a causa dei suoi capelli bianchi.
L’albinismo di Azzurrina diventa emblema di una discriminazione tanto antica quanto moderna nei confronti di tutto ciò che è considerato strano, inconsueto, fuori dall’ordinario. Per quanto antica, la storia di Azzurra si radica profondamente anche nel nostro vissuto quotidiano, sia in quanto le persecuzioni contro gli albini sono tutt’altro che terminate, sia in quanto l’odio nei confronti di ciò che è diverso assume oggi forme sempre più sottili e pericolose, alimentato dalla massa informe e inconsapevole del web che dà spesso origine a veri e propri roghi virtuali.
Una storia tragica ed onirica sulla diversità che allora come oggi fa sempre paura, ma anche un inno alla libertà che è in sé lotta contro l’ignoranza e il pregiudizio. La storia, raccontata attraverso immagini poetiche e metafore visive, offre anche una riflessione sull’esperienza della segregazione e sul problema identitario inteso, antropologicamente, come concetto relazionale.
Lo spettacolo amalgama tecniche di teatro di figura e videoarte con l’obiettivo di creare un’opera ibrida, a confine tra teatro e cinema d’animazione: il fascino dell’oggetto d’arte e della produzione artigianale, ad opera di Jlenia Biffi, si unisce alle possibilità e alla potenza visuale delle tecnologie digitali e della video arte, grazie al lavoro di Cosimo Miorelli, per creare una storia che si sviluppa contemporaneamente su più piani narrativi: dalla scena, al video, al rapporto tra scena e video che entrano in relazione e dialogo. Si crea così, sul palco, una sorta di “quinta dimensione” in cui convivono tanto i pupazzi manipolati sulla scena quanto le figure animate digitalmente: la dimensione della morte, della memoria, dell’incubo, di un passato incarnato nella leggenda, da cui prendono vita i personaggi che daranno voce e forma alla storia di Azzurra.
La leggenda di Azzurrina
Quella di Azzurrina di Montebello è una leggenda popolare che si tramanda da secoli in Romagna e che, come tutte le narrazioni archetipali, trova corrispettivi in varie parti di Italia e anche del mondo. La leggenda ha origine da fatti e personaggi realmente esistiti: Adele, di cui è attestata storicamente l’esistenza nella seconda metà del 1300, era la figlia albina di Ugolinuccio, Signore del castello di Montebello, in provincia di Rimini, e della giovane Costanza Malatesta, strappata alla sua città e alla sua famiglia per seguire il suo sposo.
La figlia, dalla pelle e dai capelli bianchi, diversa da qualsiasi altra neonata, fin dalla nascita venne perseguitata dagli abitanti del paese, considerata una “strega” e “figlia del Demonio”. Per mascherare la sua diversità la madre cercò di tingerle i capelli con tinte naturali, ma il nero dei pigmenti vegetali su Adele assunse sfumature celesti. La bambina diventò così Azzurrina e le dicerie del volgo non fecero che aumentare, mentre imperversava la peste e l’inquisizione prendeva sempre più potere anche in Romagna. Adele venne così rinchiusa dai suoi stessi genitori all’interno del castello, forse per proteggerla dalle maldicenze o forse per nascondere un peso scomodo. Le fu impedito di uscire, di recarsi al villaggio, di interagire con altre persone all’infuori della guardia che si prendeva cura di lei, unica compagnia della bambina. La leggenda racconta che, mentre imperversava un temporale, la notte del solstizio d’estate del 1375, durante uno dei suoi giochi solitari, la bambina perse la sua palla di stoffa. Per cercarla si addentrò nella ghiacciaia del castello e da lì, non fece mai più ritorno. Adele sparì nel nulla. Di lei rimase solo l’eco di un pianto nella pioggia. Da allora strani suoni si sentono all’interno della rocca di Montebello, sussurri portati dal vento durante i temporali. Il suono del suo canto è stato persino registrato. Ogni cinque anni, durante il solstizio d’estate, anniversario della scomparsa, sembra che il fantasma si manifesti ancora e che la bambina non se ne sia, in verità, mai andata.
Oltre a quella di Azzurra, nella narrazione è presente la voce di un’altra donna che come lei ha vissuto in isolamento a causa della sua diversità: nel testo compaiono infatti frammenti poetici tratti dai testi della poetessa argentina Alejandra Pizarnik, morta suicida a 36 anni nel 1972. Alejandra per tutta la vita ha lottato, attraverso la sua arte, per affermare il proprio diritto a essere sé stessa, indagando il rapporto tra l’essere umano e la morte e l’indissolubilità tra vita e ricerca estetica. La sua poetica e anche l’immaginario popolare argentino, profondamente legato alle riflessioni sulla morte, vanno così ad arricchire la ricerca drammaturgica. Come scrive la poetessa: “i segni, le parole insinuano, evocano. Questa maniera complessa di sentire il linguaggio incita a credere che non si può esprimere la realtà; da qui nasce il desiderio di scrivere poesie terribilmente esatte malgrado il surrealismo innato e di lavorare con elementi di ombre interiori”.