Che la politica possa essere una professione per tutta la vita è un’opinione legittima, non a caso alcune forze politiche difendono questa idea pubblicamente, ma l’ambiguità con cui il PD regolamenta questo tema è risibile. Il loro statuto prevede un massimo di 3 mandati in parlamento ma poi le deroghe che seguono consentono di fatto il mandato perpetuo. Il caso uscito in questi giorni sui giornali locali romagnoli riguarda il consigliere regionale Massimo Bulbi e conferma che per il PD alla voce ricambio della dirigenza c’è la foto di un piatto di tonnarelli cacio e pepe.
Massimo Bulbi entra in politica nel 1996 come assessore alla Cultura della Comunità Montana dell’Appennino Cesenate, poi viene eletto consigliere provinciale che ricopre dal 1999-2004; dal 2004 al 2014, per due mandati, diventa Presidente della Provincia di Forlì-Cesena, dal 2014 al 2019 è il sindaco del Comune di Roncofreddo. Dopo aver annunciato poco prima della fine del mandato comunale il suo ritiro dalla politica affermando: “Riprendo la mia vita professionale”, in occasione delle elezioni regionali del 2020 in Emilia-Romagna viene candidato ed eletto consigliere nella circoscrizione di Forlì-Cesena.
Nonostante non abbia mai fatto alcun mandato in parlamento la sua eventuale candidatura avrebbe bisogno comunque di una deroga. Infatti “Non sono candidabili coloro che ricoprono la carica di componenti degli organismi esecutivi e assembleari delle Regioni recita il Regolamento. Un’altra deroga offre la possibilità di essere candidato: “nelle Regioni che si trovino nell’ultimo anno di legislatura”, e questo purtroppo non è il suo caso. Ma ecco la deroga che potrà condurlo a Roma: per “i casi nei quali la Direzione nazionale conceda, su richiesta del Segretario nazionale, una deroga espressa “. Non è magnifico?
Vedremo se i dirigenti del PD sceglieranno o no di concedere a Massimo Bulbi una deroga alla deroga, ma riguardo alla regolamentazione del limite dei mandati elettorali, le norme sottoscritte dal PD, sono una presa per i fondelli al quadrato. Ma anziché norme, normette e deroghe varie aggiranti l’ostacolo, scrivere una regola che recita: “il segretario di partito in carica candida chi gli pare e dove gli pare” non sarebbe più coerente? Mica è illegale la fossilizzazione politica dei propri dirigenti. Resta però il fatto che quando si prende un impegno con i propri elettori, qualsiasi sia l’incarico elettivo assunto, lo si deve ricoprire fino alla fine e quello assunto da Bulbi in regione termina tra 3 anni. Non dovrebbe certamente essere lui a chiedere una deroga e a dir la verità e per lo stesso motivo, nemmeno il PD cesenate avrebbe dovuto indicare il suo nome all’unanimità. Ma forse l’impegno preso con l’elettorato era in deroga.
Giorgio Venturi