Al reparto di Radiologia del Morgagni-Pierantoni, diretto da Emanuela Giampalma, si è svolta una “speciale” seduta di studio e ricerca sul cranio di una iena di quarantamila anni fa. Erano presenti Enrico Petrella, radiologo, e Mirko Traversari, antropologo fisico, da tempo punti di riferimento per studi paleoradiologici. A richiedere l’intervento degli esperti è stata la professoressa di Archeogenetica Elisabetta Cilli, genetista di fama internazionale, operante presso il Laboratorio del DNA antico dell’Università di Bologna, che nelle operazioni è stata affiancata dal suo collaboratore Rocco Iacovera.
È proprio la professoressa Cilli che spiega il contesto e le motivazioni di questa analisi: “I nostri antenati, fino a circa 20.000 anni fa condividevano il territorio con la cosiddetta megafauna (mammiferi pesanti più di 40-45 chili), di cui facevano parte, tra gli altri, il mammut, il rinoceronte lanoso, il megacero e il bisonte delle steppe. Tra i predatori di queste specie, oltre all’uomo paleolitico, dominavano le temibili e feroci iene delle caverne Questa specie, come la maggior parte dei rappresentanti della megafauna, è scomparsa dal suo areale di distribuzione europeo intorno ai 15.000 anni fa, probabilmente a causa del cambiamento climatico avvenuto in concomitanza dell’ultimo Massimo Glaciale. Una moltitudine di reperti, testimoni di questa peculiare era, è stata rinvenuta presso il sito archeologico di Buco del Frate nel Comune di Prevalle (BS) e identificata da Fabio Bona, archeozoologo e conservatore del museo dei fossili di Besano (VA)”.
“Questo reperto di iena – prosegue Cilli – risalente a circa 40.000 anni fa e costituito da un cranio parziale custodito nel Museo Archeologico della Valle Sabbia di Gavardo (BS), è stato oggetto di indagini da parte dell’Università di Bologna in collaborazione con La Sapienza. La iena è stata sottoposta qui a Forlì a indagini TC specialistiche, che hanno permesso, tra le altre cose, di studiarla a livello morfometrico, indagare, con un alto grado di dettaglio, l’endocranio altrimenti irraggiungibile, verificare l’ottimo stato di conservazione della matrice ossea e permettere il restauro virtuale della teca cranica, attualmente incompleta, per la verifica della capacità cranica. Queste analisi sono state fondamentali per completare il quadro di risultati già ottenuti dall’analisi del genoma dell’esemplare, condotte nel Laboratorio del DNA antico dell’Università di Bologna”.
Si tratta del primo genoma antico di iena delle caverne proveniente dall’Italia, un’area rifugio particolarmente interessante per la ricostruzione dell’ambiente durante l’ultimo Massimo Glaciale, periodo in cui i bruschi cambiamenti della temperatura stravolsero la vegetazione e la distribuzione delle precipitazioni, causando l’inesorabile declino di molte specie animali. “Studiare la risposta degli ecosistemi del passato – spiegano gli esperti coinvolti – è fondamentale per interpretare criticamente i cambiamenti climatici che osserviamo attualmente” (nella foto da sinistra Mirko Traversari, Rocco Iacovera ed Elisabetta Cilli).