…C’era una volta… ma non è l’inizio di una favola! Sì, c’era una volta in Forlì fino all’inizio degli anni 60 del XX secolo, un edificio settecentesco che si ergeva fra Via delle Torri (il fronte) e girava in via Valerj (una volta), poi diventata Via del Teatro ed infine Via Mameli, fino all’inizio della Piazzetta della Misura.
Eccolo! il palazzo Caldesi Valeri
So che la foto che vi mostro non è certamente di buona qualità, ma così è, perché l’unica esistente! A Forlì di questo palazzo non esiste nulla, ma proprio nulla. Figuriamoci una foto! Io sono riuscito ad averla dai discendenti degli ultimi proprietari, che non abitano a Forlì, ma a Padova. Ho consultato nell’Archivio Comunale il fascicolo relativo alla demolizione di questo edificio e alla costruzione del nuovo che ne occupa l’area: il condominio “La Torre” che prende il nome dalla Società che acquistò l’immobile.
C’è anche un particolare oggi scomparso come tanti altri, che non si vede nella foto perché bisogna risalire al secolo XIX e precedenti. Il palazzo e il suo prospiciente frontale (sempre via Torri-via Mameli) del “nobil uomo” Marchese Tartagni, erano uniti da un voltone (in due foto dell’800 si intravede ed è stranamente coperto da tende) simile a quello di Via Mentana e a quello in fondo a via Mameli allora voltone Teodoli, oggi chiamato dei Monti, dove fu ucciso il Conte Domenico Manzoni di ritorno dal teatro nel maggio 1817.
In una lettera del 1° luglio 1818 al Gonfaloniere, il conte Valerj dice…<< nel ristrutturare i muri che vengono a confinare col voltone Valerj e precisamente quello che guarda la via del Teatro nell’altezza… vi ha posto un coppo che sporge in fuori il quale getta sulla strada le acque ed altre immondezze di una scaffa interna, e nel cadere di queste i spruzzi colpiscono chi passa….>>. Ma questi sono fatti curiosi di un tempo lontano. Torniamo non dico ai tempi nostri ma alquanto più vicini. Ci chiediamo perché questo palazzo che allora si chiamava Valerj diventa Caldesi Valeri, fino alla sua fine. Nel 1832 l’utima dei Valerj, contessa Giovanna, sposa Cesare Caldesi di Faenza. Così i due cognomi si uniscono e le proprietà diventano di Cesare Caldesi Valeri. Oltre a questo palazzo vi sono dei beni agricoli nella campagna forlivese. Da questo momento non si parla più di Valeri bensì di Caldesi Valeri. Cesare Caldesi Valeri (1811-1876) è figlio di Domenico e Giovanna de’ Pazzi.
Ma cominciamo con ordine. Il 3 marzo 1960 muore la contessina Giovanna Caldesi Valeri (1878-1960) di anni 82 e l’erede, il nipote N.U. Conte Giuseppe Caldesi Valeri (così al Monumentale) medico chirurgo (1907-1965) vende l’immobile alla Soc. Immobiliare la Torre. Nell’atto del Notaio Zambelli in data 3-10-1964 l’edificio preesistente è già totalmente demolito. L’area così disponibile è di ben 747 mq. In altro documento firmato dall’Arch. Ruggero Foschini i mq sono invece 800, di cui mq. 147,60 di area cortilizia. Vi chiederete perché io sia interessato a questo edificio. La riposta è semplice: vi ho abitato per più di 15 anni, in due appartamenti diversi, ma sempre in questo palazzo.
Era il dopoguerra e mio padre Carabiniere comandato a Forlì trovò alloggio nel palazzo. Io avevo 4 o 5 anni per cui i miei ricordi sono certamente sfumati o trasfigurati dal tempo. Però, rivedo l’appartamento che avevamo in una parte del piano padronale, dove c’era un grande corridoio con sulle pareti dipinti degli stemmi quelli dei Valeri o Caldesi Valeri e dei de’ Pazzi, cognome ricordato in precedenza. Successivamente ci siamo trasferiti in un altro appartamento con ingresso su Via Mameli. Io vorrei accompagnarvi, gentili lettori, a visitare questo palazzo avendo come guida la mia memoria e i miei ricordi. Volete seguirmi?
Andiamo allora in Via Torri e apriamo il grande portone d’ingresso, nell’800 era il n° civico 9, nel ‘900 il n° 7. Sulla facciata a sinistra del portone, c’era un piccolo negozio di alimentari detto della <<Francesina>>, a destra una drogheria ben più importante del sig. Pilotti. Entrati, davanti a noi un grande andito con in fondo l’entrata nel cortile. Sul muro di destra c’era una scritta in inglese che purtroppo non ricordo. Penso che il palazzo fosse una specie di deposito di alimentari per le truppe alleate. Non dimentichiamo che nel prospiciente palazzo Orselli era acquartierata nel 1944 la truppa Polacca. A sinistra lo scalone che saliva al piano padronale e sul pianerottolo (grande anche questo) si aprivano tre porte. Una centrale, una a destra e un’altra, mimetizzata con i colori dell’intonaco, a sinistra. Questa dava sulla scala più piccola che saliva dall’ingresso di via Mameli. All’appartamento padronale si accedeva dalla porta centrale e da quella di destra.
Tornando all’ingresso principale percorriamo il grande androne e usciamo nel cortile.
Ah, il cortile, che meraviglia! E’ ancora impresso nella mia mente perché per tanti anni, il pomeriggio era la mia sala giochi, il mio divertimento. Passavo qualche ora a fantasticare e correvo, correvo (c’era tanto spazio) immaginando di essere su un destriero e inventavo un giocattolo con qualche pezzo di legno. E’ capitato che da una finestra del suo piano la Contessina (così veniva chiamata) e, credo, una sua cugina di Cattolica (?) mi guardassero ed io accorgendomene, mi vergognavo un po’. Del cortile insomma mi ricordo tutto o quasi: il bel Calicantus fiorito in inverno, inserito in un’aiuola fatta con tanti mattoni inclinati messi nel terreno e le tante porte che si aprivano. Addossato alla parete che guardava Via Mameli un bel portico sotto il quale c’erano le cataste di legna per l’inverno e dalle quali io sceglievo un pezzo perché mi sembrava una pistola o quant’altro e con al centro un pozzo sempre ricco di acqua. Sempre con alle spalle via Mameli, ricordo nella parete che guardava via degli Orgogliosi, a sinistra la lavanderia, il portone del garage con dentro la famosissima auto della Signorina, rimesse varie e la carbonaia. Nella parete di fronte al portico, a sinistra l’appartamentino di Alfredo il maggiordomo, due stanze: una piccina e l’altra più grande, mica tanto! Ricordo che il suo riscaldamento era una stufetta cilindrica di ghisa alta forse un metro che lui chiamava <<parigina>>. Un personaggio, Alfredo, che mi faceva stupire con le sue doti di rabdomante. Infatti mi faceva vedere che quando si avvicinava al pozzo, con un ramo ad ipsilon in mano questo iniziava a vibrare. Sempre di fronte al portico, c’era una porta che si apriva su una scala che portava all’appartamento della cameriera e al piano padronale e poi saliva fino alle soffitte. A destra nel cortile, un’altra porta che si apriva su una stanza piena di cianfrusaglie e poi scendeva nelle cantine. Nella parete di destra, quella sottostante il piano padronale, le finestre del retrobottega del Sig. Pilotti. Poi di fianco all’entrata dall’androne, un’altra scala che portava alle cantine. C’erano poi altre aiuole, una grande fatta con coppi e vasi piantati nel terreno e piena di gladioli ed altre più piccine.
Abbiamo parlato del garage con automobile della contessina. Era una Fiat 509 che esiste ancora! Era ed è targata FO 2455. Quando si apriva il grande portone su via Mameli e si sentiva il rumore del motore in moto, tutti quelli che abitavano nei pressi uscivano da casa per venire a vedere. Era uno spettacolo! Una volta la Contessina mi portò con sé in campagna. Non ricordo dove, vagamente mi ricordo una strada diritta per cui poteva essere la via Emilia (forse).
Come leggerete questi ricordi sono vivi e presenti in me come l’affetto che ho nei loro confronti. Non vi posso parlare dell’appartamento padronale perché non l’ho mai visto a parte le tre stanze e il grande corridoio nelle quali ho vissuto per qualche anno: il grande corridoio con gli stemmi e le tre stanze che guardavano su via Mameli e via Torri.
Allora vogliamo uscire per andare in Via Mameli e parlare di questa entrata e di questa parte del palazzo? Eccoci qui davanti all’ingresso al n° 6 (allora). C’è un portoncino dal quale si sale e con due rampe di scale siamo ad un pianerottolo con tre porte. Quella di destra l’abbiamo già descritta perché è quella che si apre sul pianerottolo della scala padronale. Quella centrale era dell’appartamento della Sig.ra Zoli che talvolta, (non so perché) con mia mamma andavamo a salutare. Nella prima stanza non molto grande io avevo notato una vetrinetta nella quale io avevo visto delle mazzette di biglietti del cinema. Infatti lei, la signora parlava del suo amico proprietario allora dell’ASTRA. Io però non ho mai avuto un biglietto! Da qui si passava in un salone dove c’era un grande pianoforte con sopra uno scudo rotondo di ferro con al centro un grosso puntale. Uscendo nel pianerottolo la porta di sinistra dava in una stanza che era uno studio di giovani geometri che lavoravano certamente sotto l’ala protettrice del già affermato geom. Afro Gavelli, questi talvolta appariva ed io raccolti i miei quaderni me ne andavo. Infatti, con questi giovani ero entrato in confidenza, e così mi aiutavano a fare le espressioni di matematica. Avevo cominciato le scuole medie. Saliamo ancora le scale e dopo due rampe ecco a sinistra la porta di casa mia e a destra con altri tre gradini si andava in casa del Sig. Antonio Balzani detto Tonino e di sua moglie la Sig.ra Malvina. Tonino Balzani aveva un negozio di ottica in C.so Diaz, negozio che è scomparso solo qualche anno fa. Dopo di lui ha continuato la stessa attività per molti anni quello che, nel tempo che ho ricordato, era un suo commesso: Egidio Graziani. In verità i suoi collaboratori erano due, l’altro era Romano Benini, che successivamente aveva aperto un altro negozio di ottica in C.so Garibaldi.
La sig.ra Malvina era sempre impegnata, sotto il portico del cortile, a lavorare per la casa. Con la carta di giornale bagnata e strizzata con le mani faceva della palle che quando si erano asciugate sarebbero state usate d’inverno da aggiungere alla legna per la stufa. Metteva inoltre in una giara con della calce delle uova che mi diceva si sarebbero mantenute molto a lungo. E talvolta in casa mi chiamava e mi diceva: Agostino vuoi una pastarina? Infatti aveva cotto una crostata che tagliata a rettangoli diventava tante pastarine. Tutti gesti scomparsi nel tempo. Io da casa mia guardavo con due finestre via Mameli e con altre due rivolte dalla parte opposta il cortile e la fila di finestre del piano padronale dove vi scorgevo a malapena fregi dorati.
Via Mameli era allora una strada viva con tanti negozi. Vedevo dal mio soggiorno nell’angolo con via Torri nel palazzo di fronte un grande negozio di giocattoli ( che sogno vederli anche solo da lontano!), poi c’era il laboratorio La Greca e ancora la merceria Buratti e il meccanico da biciclette Gino. Nel nostro (si fa per dire) palazzo, a sinistra del portoncino d’ingresso c’era il salone da barbiere di Edmondo Minelli, grande centro di chiacchere. Dopo il portone che dava l’accesso al cortile c’era il negozio di frutta e verdura della famosa Maria del teatro con clientela di alto livello sociale. Con suo figlio Armandino sempre in doppio petto scuro, hanno rappresentato due personaggi della Forlì anni 60. Armandino dirigeva un fantomatico traffico salendo sulla pedana dei vigili, dirigeva la banda quando passava ed era sempre in testa a tutti i funerali che partivano dalle chiese del centro.
E’ chiaro che con il passare del tempo, l’adolescenza, gli studi, il cambio di casa, tutto è finito!
Non è rimasto nulla se non i miei ricordi. Io ho voluto citare anche i nomi dei personaggi che sono stati con me anche solo per banale conoscenza, perché spero che qualcun altro possa aggiungere qualcosa a questo mio personale racconto Me lo auguro!
Agostino Bernucci