L’ex zuccherificio Eridania da recuperare come sede del Museo della Civiltà Contadina

Museo della Civiltà Contadina

In quale modo sarà recuperata l’area ex Eridania ora che le previsioni urbanistiche precedenti saranno modificate e che i terreni e gli immobili diventeranno di proprietà pubblica? È un quesito a cui è difficilissimo rispondere anche perché presuppone l’impiego di ingenti risorse finanziarie ma soprattutto perché non ci sono mai state valide idee in particolare per il riutilizzo dell’immobile dell’ex zuccherificio. Siccome enti e associazioni, nonché il quartiere interessato, stanno iniziando a elaborare delle proposte, anche su invito del Comune di Forlì, mi permetto di avanzarne una che vede nell’immobile principale una degna sede del Museo della Civiltà Contadina. Un’esposizione che la nostra città aveva e che è stata visitabile dal 1964 al 2004 a Palazzo Gaddi, come sezione del Museo Etnografico “Benedetto Pergoli” ancora esposto a Palazzo Merenda.

L’ultima descrizione, seppur sintetica, di questa esposizione risale al 2001. La si può leggere nella guida “Weekend a Forlì. La Storia – La Cultura – I Monumenti. Itinerari artistici e culturali” di Vittorio Mezzomonaco, edita dal Comune di Forlì; una guida che ebbe un’ampia diffusione e fu molto apprezzata. Già nel 2012, anno in cui Diogene Book pubblicò “Forlì. Guida alla Città” firmata da Marco Viroli e da chi scrive non si poté riportare nessuna notizia dell’esposizione in questione perché nel frattempo tutti gli oggetti esposti erano stati imballati e spostati a Villafranca in un capannone di proprietà dell’Amministratore comunale.

Su Palazzo Gaddi, un vero gioiello architettonico e artistico, con gli ambienti interni più belli di qualsiasi altro edificio signorile della nostra città, nel 2004 furono avviati i primi importanti interventi di restauro, che avrebbero dovuto avere una continuità, e che, purtroppo nessuna amministrazione che si è succeduta, ha portato avanti. Anzi del destino di questo prestigioso immobile non ne parla più nessuno. L’esecuzione di quei lavori interessarono il tetto, che fu interamente rifatto anche in seguito ai danni riportati dal terremoto del 2000, e lo scalone, integralmente restaurato. Ciò comportò, in base alle norme del Piano Regolatore Generale, applicate un po’ troppo sbrigativamente e sommariamente, la demolizione di un vastissimo capannone (identificato come superfetazione e quindi ritenuto incongruo) che di fatto ha comportato la soppressione del Museo della Civiltà Contadina. Era un’esposizione di assoluto rilievo e valore di cui si è persa letteralmente anche la memoria. Per questo mi avvalgo della descrizione di Vittorio Mezzomonaco per far capire in che cosa consisteva quell’importante raccolta.

Nel volume citato si legge che oltrepassato lo spazioso cortile interno di Palazzo Gaddi, sotto un breve atrio, una porticina immetteva in una breve sequenza di botteghe artigiane e negozi caratteristici: il salone del barbiere, un piccolo laboratorio per la fabbricazione delle caramelle, le botteghe del cordaio, del sellaio, del fabbro-maniscalco, un “Sale e Tabacchi” d’anteguerra. Di fronte a queste botteghe s’apriva, per gli innamorati del mare, un modesto ma significativo Museo della Marineria Romagnola, con le tipiche vele usate dalle barche dell’Adriatico e una imbarcazione, una lancia di cinque metri completamente attrezzata. L’imbarcazione era stata donata nel 1969 dall’ingegner Siro Ricca Rosellini, allora preside dell’Istituto Tecnico Industriale “Guglielmo Marconi” e grande esperto della marineria romagnola (dal 2015 il veliero fatto costruire nel 1949, denominata “La Falcia”, detta confidenzialmente “Beppa”, è esposto nei locali del Museo della Marineria di Cesenatico).

Tornati fuori dai locali citati, superato un cortiletto interno, si accendeva a un vastissimo ambiente, quello demolito, dove erano custoditi attrezzi e macchinari della “Civiltà Contadina”. Di grande risalto i “Plaustri”, i caratteristici carri da lavoro nei campi, festosamente dipinti da pittori romagnoli, fra i quali eccelleva Maddalena Venturi (1860-1935), artista che nel museo era presente con varie repliche del suo lodatissimo “San Giorgio e il Drago”.

Nell’immenso locale si poteva vedere tutto quello che veramente serviva al contadino nella sua opera, dagli oggetti primordiali fino al locomobile a vapore, con l’aiuto del quale diminuirono le fatiche umane della trebbiatura. Dal salone si poteva accedere ai più ridotti vani laterali in cui erano allestite salette dedicate ad attività complementari con il lavoro sull’aia o all’aria aperta: le stanze dei telai e delle gramole, il “castello” con i graticci per la bachicoltura. Dalla parte opposta c’erano la sala dei pesi e delle bilance e gli attrezzi per piccole mansioni come la tostatura dell’orzo, la cottura delle castagne (le caldarroste!), vari tipi di macine.

A proposito della presenza in quei locali di un’antiquata macchina da corsa, di alcune motociclette da competizione, di vecchie biciclette da corsa su strada o su pista, tutte presenze che potevano sembrare stonate, Vittorio Mezzomonaco la giustificava dal punto di vista sociologico: i romagnoli sono sempre stati fervidi cultori della corsa veloce ed alcuni dei più spericolati piloti dell’automobilismo e del motociclismo sono nati qui. Della bicicletta, poi, non parliamo: un tempo si usava dire che “il bambino forlivese impara prima a pedalare che a camminare”.

Altri locali fra loro collegati, che si raggiungevano attraverso una piccola scala in legno, con due brevi rampe, illustravano vari momenti della lavorazione del legno con l’allestimento di tre botteghe: del falegname, del corniciaio, dell’ebanista, in un crescendo di professionalità nel quale l’artigiano, a volte, si trasforma in artista. “Gioverà ricordare, per mettere in giusta evidenza la loro genialità” sono sempre parole di Vittorio Mezzomonaco, “che questi uomini costruirono da loro stessi le macchine per il mestiere e che, per esempio, la Sega a Nastro, la Spianatrice, la Combinata (tutte nella bottega dell’ebanista) sono sommessi capolavori d’artigianato”.

Recuperare l’edificio dell’ex Eridania nel quale venivano lavorate le barbabietole per riallestire, con criteri moderni, il Museo della Civiltà Contadina darebbe la possibilità, da una parte, di recuperare un patrimonio altrimenti costretto a giacere in un capannone con tutti i rischi di conservazione che questo comporta. Permetterebbe inoltre di avviare un concreto rapporto con esposizioni private dallo stesso genere presenti sul territorio, anche queste di grande valore storico, documentale e culturale, nonché di avere la possibilità di ricevere donazioni per implementare la collezione già posseduta. Consentirebbe infine di stabilire un collegamento, anche con una sezione del museo che dovrebbe essere appositamente dedicata, con la prima industrializzazione di Forlì che vide nelle aree attigue, o limitrofe, all’ex Eridania la presenza delle prime e principali aziende: Forlanini, Bonavita, Battistini, Becchi, Mangelli, Bartoletti, ecc., che per circa un secolo hanno determinato una buona parte della storia economica e sociale della città.
La realizzazione di un Museo della Civiltà Contadina collegato alla prima industrializzazione di Forlì consentirebbe di scrivere una parte fondamentale della storia di Forlì.

Gabriele Zelli

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