È bello talvolta andare a ritroso e ricordare fatti e personaggi del nostro passato. Ho vissuto dei momenti molto interessanti in amabili conversazioni con una gentile Signora (Cleonice- Nicetta!- Mazzi Azzaroli, della discendenza dei Matteucci Bordi, madre dei miei amici Laura e Carlo) che sapeva, di una Forlì, che io non conoscevo, fatti e personaggi. Di questi ultimi ricordo che una volta fece un nome per me assolutamente sconosciuto: Rambaldo Bruschi. Lei lo aveva conosciuto in quel di Cesenatico e così conversando ne tracciò un breve profilo che però mi è rimasto impresso. Sarà stato per quello strano nome o per il suo racconto, non l’ho mai dimenticato.
Oggi volendo trattare un argomento per questo mio nuovo lavoro, ho pensato di approfondire quella mia superficiale conoscenza. Questo mio impegno che spero risulterà interessante, lo dedico proprio a lei alla Sig.ra Nicetta (permettetemi la confidenza) che è scomparsa nel 2020. Sono venuto così a conoscenza, fra libri, Biblioteca e Archivio di Stato, che Rambaldo Bruschi aveva un fratello che però non aveva lo stesso cognome. Infatti si chiamava Orlando Zanchini. Comincerei a tracciare un’immagine dei due fratelli con quello nato prima e cioè Rambaldo.
Sono due vite parallele. Infatti fino all’età di circa 18 anni vivono nella stessa famiglia, poi i due imboccheranno strade diverse. Così comincia questa, se vogliamo, particolare vicenda. A tutti e due è toccata però la stessa sorte e cioè l’oblio della memoria. Credo che questi due nomi siano alla maggior parte dei forlivesi sconosciuti. Si ricordano di Via Zanchini, sì, perché c’è una strada in centro, ma di Via Bruschi, proprio credo che nessuno sappia dov’è.
Ma ecco la storia
Attorno al 1880 in Forlì vive una modesta famiglia che abita in Borgo Ravaldino 62 A, ed è formata da Attilio Bruschi, agente, e dalla moglie Ifigenia Zanchini, tessitrice. Da questa coppia nasce nel 1885, il 30 luglio, un bambino al quale vengono messi i nomi di Rambaldo, Marino Vincenzo. Succede però un fatto irreparabile perché il 30 settembre 1887 Attilio Bruschi fu Vincenzo muore all’età di anni 31. Nel frattempo la famiglia aveva anche cambiato abitazione andando da Borgo Ravaldino in Via Circonvallazione Interna senza numero.
Ifigenia Zanchini vedova Bruschi resta così sola con il figlio Rambaldo, che, ahimè, resta orfano di padre all’età di soli due anni. Ancora una volta avviene un fatto sconcertante che sconvolge questa famiglia. Infatti il giorno 25 settembre 1888 da Ifigenia Zanchini nasce un bimbo, che viene lasciato all’Ospizio di Trovatelli e al quale il Deputato dello Stato Civile presso l’Ospedale dà il nome di Orlando, Oreste, Gaspare e il cognome di Furiosi, con lui, mezza medaglia di ottone con un nastro di raso color violetto chiaro.
C’è però in agguato un altro colpo di scena. Infatti il 30 aprile 1891 viene registrato l’atto del Notaio Enrico Veggiani che sancisce il riconoscimento di Orlando Furiosi da parte di Ifigenia Zanchini, la madre. Così Anche Orlando dopo tre anni di brefotrofio entra a far parte della sua famiglia con la madre e il fratello Rambaldo e il suo cognome da Furiosi diventa Zanchini.
Lasciato quindi il Brefotrofio e giunto nella famiglia della madre incontra suo fratello. Senz’altro l’ambiente sarà stato, anche se modesto, più accogliente e sereno di quello conosciuto fino a quel momento. Sì, una famiglia senza padre, ma Orlando, in fin dei conti, non l’aveva mai avuto. Ha scoperto la madre e questo, immagino, sia stato per lui più che sufficiente. Da quanto ci è stato possibile sapere fra i due fratelli è sempre esistito un rapporto di affetto e solidarietà. Le condizioni economiche della famiglia sono poco agiate, ma con l’aiuto dei familiari di Ifigenia, lei riesce a far in modo che i due fratelli possano studiare. Non è cosa da poco in quegli anni dell’inizio del Novecento. Così Rambaldo e Orlando studiano e frequentano, pur in anni diversi, l’Istituto Commerciale. Rambaldo si diploma nel 1903, Orlando nel 1906. Da questo momento i due fratelli prendono strade diverse che segneranno la loro vita in modo del tutto particolare. Io credo che raramente si saranno incontrati di nuovo.
Ecco la vicenda di:
Rambaldo Bruschi (Forlì 29 luglio 1885-Torino 18 agosto 1966)
Abbiamo lasciato la nostra storia nel momento in cui si diploma all’Istituto Tecnico di Forlì e cioè il 29 giugno 1903. Quasi subito si trasferisce a Bologna per seguire il Biennio universitario di Fisica e Matematica propedeutico alla laurea in ingegneria. Nel 1909 alla visita di leva si dichiara: esonerato dal servizio quale figlio di madre tutt’ora vedova. Superato anche questo Corso, si trasferisce ancora, questa volta a Torino, dove frequenta il Politecnico e il 23 dicembre 1908, cioè a soli 23 anni, si laurea col massimo dei voti e la lode in Ingegneria Tecnica Industriale.
È con questa laurea che inizia la sua sfolgorante ascesa nel mondo industriale dell’epoca: studio, volontà, impegno, capacità e ambizione sono le sue armi. La Torino dell’epoca era il centro della cultura tecnica ed industriale italiana. Le fabbriche di automobili iniziavano a muovere i primi passi. Infatti Giovanni Agnelli iniziava ad imporsi come capostipite di una nuova generazione di imprenditori. Nel frattempo, Rambaldo si impiega presso le Ferrovie dello Stato dove rimane per sei anni. Successivamente nel 1914 entra nella Macchi & Passoni, non a Torino, bensì a Milano, chiamato dal suo compagno d’università Domenico Passoni.
Sempre nel 1914 la madre Ifigenia Zanchini lascia Forlì e lo raggiunge a Milano dove si trasferisce e va ad abitare in Viale Venezia, cioè in una zona molto bene, allora ed anche oggi e qui rimane per nove anni fino alla sua scomparsa il 20 gennaio 1923. Non voglio pensare al trauma subito da questa donna che fino al momento del trasferimento era vissuta in quella Forlì che era solo un piccolo paesone con quartieri anche degradati, tanto che alcune vie del centro avevano nomi alquanto tristi: Via Miseria, Via Chiavica, Via Mendicanti e che non aveva ancora visto il piccone demolitore e costruttore di vent’anni dopo, un ambiente dove praticamente tutti si conoscevano. Piccole abitudini, piccoli gesti che si ripetevano quotidianamente. Trovarsi in una grande città, sì con il figlio, ma concretamente da sola non deve essere stato facile.
Intanto a Torino il mondo dell’automobile si sviluppava con la costruzione del Lingotto FIAT che sarebbe stato inaugurato nel 1923. Nel 1919 Edoardo Bianchi gli offre un ruolo di alto dirigente nella sua azienda (bici, moto e auto). Il suo impegno di studioso delle tecniche di costruzione di questi mezzi lo spinge ad avvicinarsi all’industria automobilistica americana che allora rappresentava la massima espressione di questa attività industriale. Così, nel 1919, fa quello che oggi è un percorso obbligato per ogni dirigente. Si trasferisce negli Stati Uniti: New York, Detroit. Entra in contatto con Ford e la General Motors. Da queste esperienze ne ricava un capitale di conoscenze tecniche e di organizzazione del lavoro che lo accompagneranno fino al 1939 con la nascita di Mirafiori.
Entra in FIAT nel 1922 a dirigere la RIV (cuscinetti a sfera) chiamato da Giovanni Agnelli e dal figlio Edoardo che ne era il Presidente. Questa permanenza in RIV, che dura sei anni, permette a Rambaldo di porre le basi per lo sviluppo dell’azienda che nel giro di qualche anno raddoppia il numero degli addetti. Sente sempre il bisogno di aggiornarsi sulle tecniche di organizzazione del lavoro e di costruzione delle auto tanto che ritorna ancora una volta negli Stati Uniti.
È nel 1927 che con la nomina di Vittorio Valletta a Direttore Generale, Rambaldo è nominato Direttore Generale della parte tecnica. A pieno titolo, quindi, entra a far parte della FIAT che si preparava ad affrontare un momento di grande sviluppo, e nel 1946 entrerà nel CDA dove rimarrà per molti anni. Intanto la vita continua e la più ricordata Ifigenia, la madre, come abbiamo già detto scompare nel 1923. Lui dov’è? Fra Torino, Milano, gli Stati Uniti è difficile saperlo! Oltre alla madre ha già perduto il fratello Orlando ucciso in battaglia il 20 agosto 1916. Quindi rimane solo.
Non per molto tempo perché il 2 giugno 1927 sposa Delfina Cima, lui ha 42 anni, lei 34. Rimarrà con lui fino alla sua morte, lei vivrà per quasi altri 25 anni. Appare chiaro che un personaggio della sua levatura non finisce più di meravigliare. È Consigliere in una moltitudine di aziende (Magneti Marelli, Ceat, Borletti, OM, SIP ecc.). Una carriera quindi meravigliosa, ma sarebbe interessante conoscere un poco più a fondo il personaggio, il suo carattere, le sue caratteristiche umane, positive e negative.
Figura imponente (alla visita di leva nel 1909 la sua altezza è di 1m.e 82cm.) e sussiegosa, era un patito per l’ordine e la puntualità. Orologio alla mano controllava se uno fosse in anticipo o in ritardo! Persona portata al comando voleva dagli altri quello che chiedeva a sé stesso, e così veniva chiamato Bruschi di nome e di fatto, oppure il mastino. Non sono certamente epiteti piacevoli, ma la sua severità prima con sé stesso e poi con gli altri lo aveva portato dove sappiamo. A parte quello che abbiamo già detto di lui, non abbiamo aneddoti, testimonianze che possano illuminarci per conoscere meglio il Rambaldo uomo.
Comunque il momento da un punto di vista professionale più gratificante per lui è stata senz’altro l’inaugurazione dello stabilimento Mirafiori che rappresenta il suo capolavoro. Lui ideatore e realizzatore assieme al progettista architetto Vittorio Bonadè Bottino. Anno 1939. Rambaldo e Delfina costituivano una coppia del tutto particolare per l’assenza di vanità e una profonda ritrosia a mettersi in mostra. Meticolosi e precisi anche nei particolari casalinghi. Infatti i mobili di casa erano tutti coperti e solo un giorno, su richiesta, vengono scoperti, ma solo per un giorno! Eppure possiamo immaginarci che mobili potevano arredare la loro casa.
La loro riservatezza raggiunge l’apice nel momento della morte di Rambaldo che avviene il 18 agosto 1966. Infatti la notizia della sua scomparsa viene divulgata solo quattro mesi dopo su sue precise disposizioni. Quando Rambaldo decise di lasciare i suoi beni all’Ospedale di Forlì, lei fu concorde, anche perché la sorte non aveva consentito loro di avere figli. Così dal 1966 anno della morte di Rambaldo, al 1990 con la morte di Delfina si raffina l’esecuzione dei testamenti che offrono all’Ospedale di Forlì un lascito complessivo di 10 miliardi di lire.
Tutti i membri (ben 20) della famiglia Bruschi sono sepolti a Forlì nella tomba di famiglia rep. Q N. XXIX. Qui finalmente la famiglia si ricompone.
Orlando Zanchini (Forlì 25 settembre 1888-Oppachiasella 20 agosto 1916)
Premetto che questa parte dedicata ad Orlando sarà molto più breve della precedente. Il motivo è semplice, Rambaldo vive 81 anni, Orlando solo 28 ….per cui…
Nella prima pagina abbiamo già trattato le vicende relative alla sua nascita. Vogliamo perciò partire non dal 1888 bensì dal 1891 quando a pieno titolo entra a far parte della famiglia Zanchini. Qui vive per quindici anni fino al diploma in Ragioneria conseguito nel 1906. Alla visita di leva nel 1908 è già Sottotenente di Complemento al 61° Fanteria. Si era arruolato come soldato volontario nel 35° Fanteria prima della visita di leva della sua classe, infatti nel registro della leva del 1888 è annotato: << già soldato volontario nel 35° Fanteria, allievo ufficiale ascritto in 1° Categ. Classe 1886 sotto il n. 30205 di matricola ed ora sottotenente di complemento al 61° Regg. Fanteria – matr. 22486 →>,
e il 12 gennaio 1907 è sottotenente. Da tutto questo è lecito chiedersi perché appena diplomato decida questa scelta. Certamente nella Forlì di questo primo ‘900 le chiacchiere delle comari ed anche dei suoi coetanei a proposito della sua nascita dovevano colpirlo amaramente. Quella dicitura <<NN>>che compariva su ogni documento, anche nella scuola, e che lo accompagnerà fino alla fine, lo porta a cercare l’onore che qui gli manca, fuori da Forlì percorrendo altre strade. Infatti, contemporaneamente partecipa al Concorso del Ministero del Tesoro a 40 posti di volontario nelle Delegazioni del Tesoro e in data 20 maggio 1908 risulta fra i vincitori, meritando il quarto posto.
Il 1° febbraio 1909 è trasferito da Forlì a Ferrara. Nel 1909 con decreto 21/2/1909 viene nominato Segretario di 4° Classe con stipendio annuo di lire 1.750. Il 31 agosto 1910 da Segretario di 4° Classe diventa Ragioniere di 4° Classe nel Ministero del Tesoro con stipendio di lire 2.000. Io suppongo che con quel…nel Ministero del Tesoro… da Ferrara si sia trasferito a Roma. Nel 1911 viene comandato in Somalia con il Regio corpo truppe coloniali. Qui in Somalia, che non è ancora una colonia italiana, ma quasi, ottiene un salto di stipendio passando dalle 2.000 lire precedenti a ben 5.000 come Ragioniere di 3° classe, quindi anche una promozione. Successivamente viene distaccato al Benadir, la fascia costiera della Somalia meridionale.
Vorrei fermare un attimo questa sequenza di promozioni, trasferimenti e missioni e riflettere sulla vicenda della famiglia Zanchini. Come abbiamo visto si è verificata una diaspora che ha portato i figli lontano dal “nido” che dopo qualche anno scomparirà definitivamente con la partenza della madre. Perché tutti se ne vanno? Va beh, Rambaldo per la carriera nella grande industria non poteva fare altrimenti, a Forlì di industrie a quel livello non ne esistevano, ma Orlando che non aspetta che il diploma per subito arruolarsi nell’esercito? Insomma a me qualche perplessità è venuta. Insomma volenti o nolenti, come Ifigenia, tutti si allontanano da Forlì e da quella casa. Ma torniamo ancora ad Orlando, per quanto tempo rimane in Somalia? Non avendo date certe, suppongo 1911, 12 e 13. Nel 1914 dal 4 giugno è collocato in aspettativa per motivi di salute e il 3 settembre è richiamato in servizio. Nel frattempo è nominato Ragioniere di 2° Classe. Una carriera di tutto rispetto.
Nell’agosto del ‘14, in convalescenza, ai bagni di Rimini assieme agli amici, scoppiata già la guerra, appariva a tutti la necessità dell’intervento italiano. Lui ha 26 anni e i suoi amici raccontano che esprimeva energia e dolcezza così come il suo carattere che appariva fermo e franco come il passo. Il suono della sua voce vibrava di sincerità e la stretta di mano era sempre una promessa o un patto. La sera negli intimi colloqui con gli amici cercava gli indizi dell’intervento italiano, allora non parlava più di sé se non come di un soldato, tale era, che sarebbe partito tra i primi. E fu così. Nominato Capitano il 9-10-1915, parte per il fronte con la sua Brigata, la Brigata Regina, e al nord fra Gorizia e l’Isonzo, sul Carso vive quasi due anni di guerra. Racconta Aldo Spallicci che un giorno di maggio del 1916 Orlando andò a trovarlo nell’ospedaletto di Crauglio dove prestava servizio, come medico s’intende, e lì fra malati e feriti della Brigata Regina quasi tutti lo riconobbero e fu un affettuoso plebiscito.
«…e tu passavi col tuo sorriso di buon ragazzone». Da questa parola possiamo desumere che anche Orlando fosse di alta statura come suo fratello, Non abbiamo le notizie esatte come per Rambaldo perché nella visita di leva non compaiono essendo già militare. È superfluo parlare del suo comportamento da ufficiale, tale che già il 13/14 maggio 1916 in quel di S.Martino del Carso, gli fa meritare una ricompensa al valore con la prima medaglia d’argento. Le operazioni militari continuano e nell’agosto sempre del 1916 in un’azione di ricognizione a ridosso dei reticolati nemici il suo gruppo subisce un bombardamento che gli impedisce di avanzare. Il Capitano si preoccupa di mettere in salvo i suoi uomini in una caverna, ma il suo ritardo per controllare che tutti fossero al riparo fa sì che fosse colpito da una scheggia che ne provoca la morte. Così termina la sua avventura. Oppachiasella (oggi Opatje Selo in Slovenia), 20 agosto 1916. Merita un seconda medaglia d’argento, ma anche questa come la prima arriverà postuma. Non potrà mai portare le sue decorazioni così ben meritate. Ahimè!
Scrive sempre Aldo Spallicci: «…sono ritornato oggi a rivedere la tua croce di ferro sul greto sinistro d’Isonzo a Sdraussina. Salute Capitano Orlando Zanchini! Noi non dimentichiamo! …e siamo fieri di segnare il tuo nome sulla nostra bandiera». Parole idealmente ed emotivamente forti che però il passare del tempo ha avvolto nella nebbia dell’oblio. A noi il compito di riportarle alla luce. La croce di ferro qui ricordata è oggi nella sua tomba al monumentale. Dalla sepoltura a Sdraussina la salma il 22 luglio 1921 verrà traslata a Forlì, e il 20 agosto 1949 sarà tumulata nella tomba che Rambaldo ha fatto, nel frattempo, erigere nel Monumentale di Forlì.
Ricordiamo che al Ministero del Tesoro esiste una lapide con monumento di Sindoni Turillo che ricorda i 32 dipendenti dello stesso caduti nella Grande Guerra. C’è anche il Cap. Zanchini Rag. Orlando. Vogliamo chiudere questo nostro resoconto sulla vita di questi due fratelli ricordando il famoso «nido» dissolto e solo adesso ricomposto. Come abbiamo già detto in quella tomba tutti si incontrano di nuovo, in pace.
Agostino Bernucci
1 commento
Sono felicissima di aver letto il suo racconto sulla vita di Rambaldo Bruschi e di suo fratello. Due personaggi che Forlì deve assolutamente ricordare perché sono stati grandi uomini che si sono distinti per il bene dell’umanità. Splendidi esempi da conoscere e da perseguire. Grazie