Sabato 18 febbraio, alle ore 16,00 nel Salone di Palazzo Morattini (e’ Palaz ‘d Panocia), via Armelino 33 a Pievequinta, si terrà l’inaugurazione della mostra fotografica “Tracce di civiltà contadina. Il duro lavoro nelle campagne forlivesi quando tutto si faceva a mano”, a cura di Radames Garoia. L’iniziativa è promossa dall’Associazione Culturale e Ricreativa “Amici della Pieve ODV”, presieduta da Serena Savoia.
Un lavoro immane ed una fatica fisica oggi impensabile ed improponibile; questo era Il lavoro contadino, cioè la sommatoria di fatiche fisiche senza risparmio, ansie, speranze troppo spesso troncate dalle avversità atmosferiche, capaci di compromettere fino all’ultimo un buon raccolto. La fienagione, la mietitura e la trebbiatura del grano, l’aratura del terreno, la raccolta e la lavorazione della canapa coincidevano con i mesi più caldi dell’anno ed erano i lavori che impegnavano uomini e donne indistintamente.
Il modo di vivere stabilito da secoli di cultura contadina, è stato stravolto dalla fase di cambiamento delle strutture rurali, economiche e sociali, iniziata verso la fine degli anni Sessanta del secolo scorso ed oggi pressoché conclusa. L’impatto con la realtà tecnologica ha causato la disgregazione di quel mondo rurale a cui è venuto a mancare il substrato economico su cui si reggeva.
Radicali trasformazioni hanno interessato il paesaggio rurale: sono quasi totalmente sparite le culture promiscue a favore delle monoculture, sono state distrutte grandi strutture poderali, risalenti al 18°e 19° secolo, non più rispondenti al lavoro dei nuovi mezzi meccanici. In questo contesto avviene il disfacimento della cultura contadina: questo mondo di irripetibili esperienze umane, fatto del tramandare di padre in figlio, solo con la parola e l’insegnamento pratico, usi, costumi e tradizioni, è sparito in pochi decenni. Nelle nostre campagne (e non solo in Romagna) oggi non esiste più quel “modus vivendi”.
Quella vita, quelle cose ed attrezzi di uso comune, quella cultura e quelle tradizioni popolari ad essa legate, che nell’insieme chiamiamo “civiltà o cultura contadina” stanno scomparendo. Assieme a quel mondo, è scomparso anche un certo modello di famiglia, quel concetto di scala gerarchica e di subordinazione, quella forma di ossequio e di rispetto per la natura e gli animali, quel mantenere fede ad una stretta di mano ed una parola data, quell’idea di lavoro, quell’immagine di risparmio.
Questo cambiamento ineluttabile e progressivo è sempre più rapido, per cui è d’obbligo individuare e catalogare in fretta quegli aspetti della cultura rurale e quegli scampoli di cultura contadina che è ancora possibile documentare: testimonianze, racconti di vecchi mezzadri, coltivatori diretti, artigiani, testimoni viventi e memorie storiche di quella cultura, ma soprattutto fotografie, testimoni visive di un passato ormai perduto.
Una gratitudine particolare va a tutti i fotografi (professionisti, artigiani od occasionali, molto spesso anonimi), che hanno impressionato queste scene nei loro negativi e che inconsciamente hanno tramandato alle successive generazioni, fino a noi, un po’ di storia visiva della nostra terra.
Le cinquanta fotografie esposte nella mostra sintetizzano tanti lavori, oggetti, situazioni ed argomenti che facevano parte di quel mondo: il ciclo produttivo del grano, dalla mietitura alla trebbiatura nelle aie, la fienagione, la coltivazione del granoturco e della canapa, l’aratura del terreno con i buoi, la stalla, gli attrezzi agricoli, la famiglia, il bucato, la scuola. L’esposizione sarà visitabile fino al 4 marzo nei giorni di apertura del Palazzo. Ingresso libero.