Davide Mazzanti, commissario tecnico della nazionale italiana femminile di volley, è un uomo in missione: “Alleno per fare innamorare dello sport che amo le mie giocatrici e tutti gli spettatori che ci seguono“, ha dichiarato a un certo punto della straordinaria serata organizzata, venerdì sera, dal Panathlon Club Forlì nei locali del Circolo Aurora. Poi, subito dopo ha aggiunto: “A mio avviso, nessuno può essere definito scarso. Magari non tutti hanno lo stesso talento ma, anche con l’aiuto della scuola, si può riuscire a far comprendere che tutti hanno un talento da esibire, sebbene non necessariamente sul campo di gioco. Questa è la differenza tra me e altri tecnici, e la gente lo sente, lo percepisce“.
Mazzanti è un uomo che vive di passione, alimentata da valori che vengono prima delle idee di gioco. “La prossima estate si svolgeranno in Italia i Campionati Europei di volley femminile. Cercheremo di difendere il titolo che abbiamo conquistato due anni fa, e proprio in questo periodo sto mettendo a fuoco le giocatrici che potrebbero essere inserite in squadra. Per ora sulla mia agenda ci sono 42 nomi, probabilmente arriveranno a 48. La prima cosa che chiedo approcciandomi a loro è la disponibilità totale, incondizionata. Senza quella non si va da nessuna parte“.
Non ci sono pause, il discorso di Mazzanti, inframmezzato dalle domande di un pubblico rapito e ammaliato, prosegue senza incertezze; così, viene svelata anche la filosofia che sta alla base del suo operare. “Nella pallavolo la palla si tocca tre volte ed io ho assegnato un nome specifico a ciascuno di questi tre tocchi: il primo è ‘responsabilità’ (è la sfida con l’avversario, a cui occorre togliere il più possibile lo spazio), il secondo è ‘dare un nome alle cose’ (non si deve dire la ricezione è buona o cattiva, ma la palla è vicina o lontana e così via), il terzo è ‘quello che serve lo metto io’. In sintesi, la pallavolo si riassume nel motto dei tre moschettieri di Dumas: tutti per uno e uno per tutti“.
“In questi ultimi anni – ha poi proseguito Mazzanti – vi è stato un mutamento fisico generazionale che ha investito il volley. Ricordo che all’inizio della mia carriera mi ritrovavo in palestra con ragazze alte poco meno di due metri ma che non riuscivano a muoversi con agilità sul campo. Oggi, invece, anche i profili più giovani, diciamo le leve 2007 e 2008, possono superare il metro e novanta ma hanno una elasticità inimmaginabile nel recente passato. Sono già pronte per giocare ad alto livello, ma questo comporta una carriera molto più breve: se prima si arrivava ai 35 o 36 anni, oggi un’atleta può essere già fuori dal giro a 24 anni. A ciò concorrono anche il carico emotivo e la pressione che le atlete avvertono in modo assai forte; è un problema comune a molti sport, non a caso ci sono tenniste o ginnaste che si ritirano dall’attività giovanissime. Nel volley, invece, questa difficoltà viene ignorata, e se qualche giocatrice non viene più schierata in campo si camuffa tutto dando la colpa alle scelte dell’allenatore“.
Mazzanti ha ripercorso i suoi primi passi nel mondo dello sport: partito dall’oratorio, di cui ancora conserva l’insegnamento pedagogico (se vuoi essere scelto per primo devi impegnarti), ha abbandonato la facoltà di Ingegneria, si è iscritto all’Isef e ha cominciato a studiare gli allenatori che più lo avevano colpito. Trovare la propria strada non è stato affatto difficile, anzi, forse era già tutto predestinato, compresa la scelta di dedicarsi al settore femminile. In fondo, ha concluso Il commissario tecnico, “i desideri sono il motore di tutto, sono ciò che ti spinge a fare ogni cosa“.