Il cambiamento climatico sta mettendo a durissima prova l’agricoltura romagnola, già alle prese con sfide globali complesse come l’innovazione tecnologica e il crollo delle remunerazioni per i produttori. Siccità, aumento delle temperature ed eventi estremi stanno provocando riduzione della quantità e qualità delle produzioni, danni alle colture, aumento della richiesta di acqua per l’irrigazione, un sempre maggior numero di insetti e patogeni da combattere. Se ne è parlato ieri alla Cooperativa Agricola Braccianti di Campiano, dove il coordinamento delle imprese agricole di Legacoop Romagna ha incontrato il meteorologo professionista Pierluigi Randi, l’economista Roberto Fanfani e la docente di ecofisiologia degli alberi da frutto di Unibo Brunella Morandi.
«Chiediamo scelte forti da parte della politica, che deve avere il coraggio di emarginare chi si ostina ad avere posizioni negazioniste e di difendere allo stesso tempo il reddito degli agricoltori — ha detto il presidente di Legacoop Romagna Paolo Lucchi —. Se vogliamo che l’agricoltura romagnola rimanga un punto di eccellenza a livello internazionale, serve un’alleanza con la scienza e l’università, con cui delineare le strategie nostre e del Paese e risorse per le imprese innovative e sane».
Hanno preso la parola i responsabili del settore agroalimentare Federico Morgagni e Stefano Patrizi. Tra gli altri sono intervenuti Giampietro Sabbatani (Cab Massari), Giovanni Giambi (Agrisfera), Lino Bacchilega (Cab Terra), Claudio Mazzotti (Cab Campiano), Giovanni Monti (Legacoop E-R), Alvaro Crociani (Rinova), Maurizio Lanzoni (Cab Bagnacavallo e Faenza), Mauro Parisi (Cab Fusignano).
I dati presentati da Fanfani delineano un settore agricolo regionale in cui le aziende agricole sono sempre più grandi e tecnologiche, e l’occupazione complessiva cala a partire da quella familiare: un problema per la cooperazione bracciantile. A lavorare in agricoltura in Emilia-Romagna ci sono circa 170.000 persone, il 15% in meno rispetto a dieci anni prima. Nel giro di 40 anni in Emilia-Romagna si sono persi 250.000 ettari di campi coltivati, circa un quinto del totale. È però cresciuta la dimensione media delle aziende, che oggi sfiora i 20 ettari. Metà delle aziende agricole supera i 50 ettari di media, mentre diminuiscono quelle più piccole . Per la prima volta dal dopoguerra la terra condotta in affitto (51%) o uso gratuito (3%) supera quella di proprietà (46%).
«È vero che il clima è sempre cambiato —ha spiegato Randi — ma mai così velocemente come negli ultimi 40 anni. Difficile anche per l’agricoltura adeguarsi. I dati sono impressionanti. La temperatura media del pianeta continua a crescere e la temuta soglia dei 2 °C di aumento medio è dietro l’angolo. A essere più calde sono soprattutto le estati, con notti tropicali (temperatura minima sopra ai 20 °C) e onde di calore. Diminuiscono le precipitazioni annuali, ma dal 1991 al 2020 la tendenza è ad avere massime di precipitazioni giornaliere più alte. In Romagna le precipitazioni sono in calo, con una notevole variabilità: gli ultimi 3 anni sono stati tra i più siccitosi dal 1935, mentre è cresciuta la frequenza degli eventi estremi, come le alluvioni, trombe d’aria, grandinate o gelate di quest’anno».
«Le piante soffrono molto l’aumento delle temperature – ha aggiunto la professoressa Morandi – fioriture anticipate, gelate tardive e mancato soddisfacimento del bisogno di freddo sono già un problema molto serio. Il ciclo di vita degli insetti e dei patogeni cambia e i protocolli di difesa attuali non bastano più, si riduce il numero degli insetti impollinatori. La ricerca sta sviluppando varietà di cereali e ortaggi più resistenti alla siccità, ma ancora non ci sono soluzioni soddisfacenti per le piante da frutto e le colture perenni. Le strategie di mitigazione e adattamento puntano a preservare la capacità del suolo di trattenere l’acqua, ad anticipare il ciclo della semina dove si può, ad applicare tecniche di agricoltura conservativa, pacciamature e coperture multifunzionali delle piante, ad esempio per ridurre l’irraggiamento solare, e a ottimizzare l’irrigazione. La tecnologia può aiutare: sensori che applicati sulla pianta forniscono dati importanti, telerilevamento con droni e satelliti. Ma i costi sono ancora alti e l’affidabilità è da migliorare».