“Manca un mese all’attivazione della piattaforma Sfinge per richiedere i ristori dei danni dell’alluvione e, fiduciosi che le risorse possano arrivare in fretta, le aziende agricole sanno bene che non si tornerà allo stato pre-alluvione: sia perché i danni subiti sono pesanti, sia perché il territorio è stato profondamente mutato. Il suo assetto non tornerà più quello di prima e bisogna accelerare sul Piano di difesa idraulica dell’Emilia-Romagna recentemente varato dal Commissario Figliuolo“. Lo dichiara Alberto Mazzoni, vicepresidente di Confagricoltura Forlì-Cesena e Rimini e presidente della Circoscrizione di Forlì.
“L’alluvione ha cambiato la morfologia di ampie fette della Romagna e sarà necessario sottrarre terra all’agricoltura per la sicurezza del territorio – aggiunge l’imprenditore agricolo -. Un sacrificio che il nostro settore dovrà fare, e in parte è già così nei fatti, ma a patto che sia poi garantita una sicurezza complessiva: il mondo agricolo non sarebbe in grado di sopportare un altro evento come quello del maggio scorso. In attesa dei ristori, fondamentali per la tenuta del tessuto imprenditoriale agricolo, bisogna ragionare di come mettere in sicurezza le zone alluvionate e dove si sono verificate le frane: argini più sicuri, casse di laminazione per contenere i rischi, opere di consolidamento e soprattutto tanta manutenzione, quella manutenzione preclusa agli agricoltori e che negli anni è evidentemente mancata“.
Questo è ciò che chiede Confagricoltura per dare al settore primario una prospettiva di ripartenza e soprattutto di futuro. “Certe proteste lasciano il tempo che trovano: qui serve intervenire – rimarca Mazzoni -. La sindrome Nimby, resistenze contro interventi di interesse pubblico, deve essere arginata: visto il disastro accaduto in Romagna non ci devono essere ulteriori tentennamenti. Il Piano di difesa idraulica è il primo passo per mettere in sicurezza i corsi d’acqua e il territorio. Noi agricoltori vogliamo coltivare la terra, non le promesse di rimborsi: per farlo serve investire, ci sobbarchiamo tutti i rischi connessi di un lavoro a cielo aperto, ma per portare avanti il nostro lavoro dobbiamo essere certi che i nostri campi sono all’interno di un territorio monitorato, con le necessarie infrastrutture di difesa in caso di emergenza – conclude Mazzoni -. Siamo pronti a fare la nostra parte, come sempre, ma non vogliamo vedere nuovamente fiumi lasciati in stato di abbandono“.