“Sono salvo e sono sano. È Natale 1942. Il cappellano in una stalla questa notte ha celebrato la Messa di Natale. Nella stanza vicina una donna di mezza età e tre bambini di cui uno lattante che piange e che stride. Un mozzicone di candela nel collo di una bottiglia. Il colore ocra delle divise dei soldati rumeni. La facce stanche dei miei soldati. La fame divorante colmata da mezza galletta di pasta. Sorsi lunghi di acqua fredda per colmare la sete, una sete inestinguibile. Sono un po’ sporco, un po’ sudicio, un po’ barbuto come un vecchio signore trasandato.
Il vento noioso non cessa di abbaiare come un cane ammalato. Oggi avrei dovuto prendere la tradotta per venire fra di voi. Dopo 17 mesi di fronte. Una melanconia sottile mi punge le ossa. Tornerò ne sono certo. Fino ad ora il destino è stato benigno con me” (cartolina postale di mio padre dal fronte russo, durante la ritirata. Era ciò che restava del 235° ospedale da campo. Sì, con lui il destino è poi stato benigno…).
Roberto Balzani