Assalto alla diligenza. È un western? No. È una delle tante imprese criminali della banda del Passatore (anche se lui non è presente. Per lo meno nel bando di cattura).
Ho pensato di dedicare questo piccolo lavoro ad un personaggio che a differenza di tanti altri che ho trattato, non è né un benefattore, né uno scienziato, né un onesto cittadino. Ma un delinquente. Famoso sì, ma pur sempre un violento assassino che è diventato celebre per qualche svista storica o una falsa interpretazione delle sue tante azioni delittuose.
Comincio da Giovanni Pascoli e il suo Passator “cortese” nella poesia Romagna. Io mi sono sempre chiesto come abbia fatto il poeta a pensare e scrivere come definizione del personaggio il termine “cortese”. La poesia “Romagna” è del 1891 quindi di 40 anni posteriore alla morte del Passatore. La verità sul personaggio doveva già essere abbondantemente nota, per cui, bando alle dicerie su eroi, Robin Hood, e quant’altro di simile, anche il poeta doveva esserne a conoscenza. E allora perché? Non era meglio dimenticare un delinquente del genere? E ancora l’Ente Tutela dei Vini di Romagna per rappresentare la Romagna vinicola, introduce come simbolo la figura di un brigante, senz’altro di fantasia, perché del Passatore non esistono né disegni, né tanto meno foto. Abbiamo solo degli identikit delle Procure o della Gendarmeria. Ne vedremo in seguito. Anche Giuseppe Garibaldi nell’ottobre 1850 scrive una lettera di elogio per questo giovane che si ribella all’autorità pontificia. Anche il generale però non è affatto ben informato. Il Passatore non ha alcun ideale politico. Mai esistito. Il suo credo è rubare e uccidere.
In più Garibaldi ha dimenticato che fuggendo da Cesenatico e sbarcato a causa dell’inseguimento della flotta austriaca sulla spiaggia di Magnavacca si ferma alle Mandriole nella fattoria dei fratelli Giuseppe e Stefano Ravaglia. Qui muore Anita (4 agosto 1849), e su questa morte sarebbe interessante sapere di più. Garibaldi fugge. I Ravaglia per questa ospitalità hanno persecuzioni sia dal governo pontificio e dall’autorità austriaca, sia, soprattutto, da parte del Passatore che per il rincorrersi di voci, spiate e false informazioni, crede che a casa dei fratelli Ravaglia sia nascosta la cassa del reggimento (il tesoro) di Garibaldi. Così entra in scena il brigante che dopo varie violenze per sapere, riduce in fin di vita Stefano e uccide suo fratello. Il racconto di questo fattaccio non era giunto al generale? I suoi ospiti erano stati dimenticati? Di tutto questo non possiamo sapere, quindi torniamo all’argomento principale e cioè l’assalto alla diligenza. Premetto che ho scelto questo fatto criminoso perché a differenza di tantissimi altri è incruento. Non scorre sangue, quindi non vi sono omicidi. È solo, si fa per dire, solo una rapina, una volgare rapina da strada.
Dal documento della Commisione Straord. per le 4 Legazioni
Processo per “Grassazione armata mano con minaccie e ruberia di danaro ed oggetti per l’entitativo di oltre 2000 scudi a danni di Luigi Tiberi conduttore della Diligenza Pontificia e di vari viaggiatori nella medesima seguita per la strada Emilia presso S.Arcangelo la sera del 23 settembre 1850”. Circa alle ore 8 e1/4 (ovvero le 20 e 15) della sera del 23 settembre.
Contro
1-Lama Lodovico detto Lisagna, ucciso dalla forza il 18 novembre 1850;
2-Lama Angelo detto Lisagna. I due fratelli sono evasi dal carcere della Rocca di Forlì la mattina del 1° luglio1849 dopo essere stati condannati, Angelo a venti anni e Lodovico a venticinque anni di galera per furti, grassazioni, e invasioni.
3-Afflitti Giuseppe detto Lapanno;
4-Babbini Francesco detto Mattiazza;
5- Scheda Felice detto Anguillone;
6-Morigi Giuseppe detto l’Incantato;
7-Ravajoli Antonio detto Calabrese;
8-Bertoni Pietro detto Spiga;
9-Panzavolta Alfonso detto l’Innamorato. Questi otto sono tutti contumaci;
10-Cantoni Giacomo sunnominato Corneli, fucilato il 14 maggio 1851. Lui e l’altro Giacomo Cantoni sono cugini;
11-Cantoni Giacomo del fu Vincenzo, alias Miseria di anni 33 contadino e selcino nato in S.Mauro, domiciliato in Parrocchia S.Pietro di Cesena, arrestato il 27 gennaio 1851;
12-Morgagni Gaetano detto Fagotto o anche il Rosso della Grata, di anni 24, ammogliato, operaio, nato e domiciliato a Forlì, arrestato il 30 novembre 1850;
13-Drudi Giovanni alias Bastianello, di anni 28 contadino, domiciliato in parrocchia Sajano, contado di Cesena, arrestato 27 gennaio 1851;
14-Brandolini Domenico alias Visino di anni 61, sensale di bestiame, nato in parrocchia Bulgaria, domiciliato in Badia di Longiano, arrestato il 17 gennaio 1851;
15-Barducci Giacomo (figlio di Giovanni) alias Mezzabotta, di anni 43 contadino, ammogliato, nato e domiciliato in Parrocchia Montigallo di Longiano, arrestato il 27 gennaio 1851;
16-Barducci Giovanni (padre di Giacomo) detto Mezzabotta, di anni 62, ammogliato, contadino, nato e domiciliato in Parrocchia Montigallo di Longiano, arrestato il 27 gennaio 1851;
Tutti ricettatori e complici. Questi i nomi del conducente della diligenza e dei 7 passeggeri.
Luigi Tiberj di Roma conducente, Angelo Armandi di Ferrara, Don Luigi Savini di Faenza, Don Ubaldo Baldini di Bologna, Ferdinando Vierano di Torino, Camillo Benedetti di Bologna, Cesare Frizzati di Bologna, Don Giuseppe Monari di Bologna.
La diligenza Pontificia, dell’Impresa delle Diligenze Liborio Marignoli di Roma, nei pressi di questa città (S.Arcangelo) fu aggredita da una masnada di assassini, manomessa e spogliata di quanto aveva.
Nell’immediatezza del fatto, intervenuta la Forza, non è possibile avere informazioni precise sui fatti. Gli otto passeggeri chiaramente sconvolti e presi dal panico non riescono a dare notizie utili agli inquirenti. Si parla di una decina di aggressori, ma come abbiamo letto, le indagini raccolgono i nomi di ben sedici malviventi, tutti nomi legati per altri fatti criminosi alla banda del Passatore.
Chiaramente l’aggressione è violenta e il fatto che questi malviventi a differenza del solito loro armamento con fucili a una o più canne sia invece solo con pistole e coltelli è senz’altro dovuto al fatto che nello scontro a distanza ravvicinata sia più utile un’arma corta che lunga. Sedici contro otto non lascia scampo agli aggrediti. Abbiamo visto che fra di loro ci sono ben tre sacerdoti e gli altri sono commercianti e nessuno di loro è armato. Dopo aver scassinato la cassaforte della diligenza dove senz’altro tutti hanno depositato i beni di maggior valore, i passeggeri vengono derubati di tutto ciò che hanno addosso. Tutti questi superato il momento di sconforto e di agitazione decidono di continuare il loro viaggio. Le loro deposizioni avverranno in seguito. Ma il tutto non finisce qui. Questa è l’aggressione, ma le indagini continuano e ci portano a tutti i personaggi di cui abbiamo letto i nomi come indagati. Ad esempio i due Barducci. Il primo Giovanni, il padre, interrogato, confessa che un giorno all’epoca della vendemmia 1850 dieci o dodici individui armati vennero a casa sua dove vollero rimanere per forza tutta la giornata e lui fu obbligato a stare sempre nella stalla. Sostiene che non ebbe denari, ma che il figlio Giacomo, potrebbe lui averli presi. Il figlio, Giacomo, confessa che su istigazione di Domenico Brandolini alias Visino, nel mese di settembre accettò di far entrare in casa sua alcuni sconosciuti. Brandolini condusse da lui una decina di individui armati e così padre e figlio furono costretti a cedere alle minacce e preparare il vitto tanto più che nella somma miseria della famiglia ne furono convinti da sei Napoleoni d’oro che quegli armati pagarono. Giunta la sera il gruppo partì alla volta di S.Arcangelo dopo aver dato ai Barducci anche una doppia d’oro. Dopo la rapina, dal Brandolini, Giacomo ebbe altri due Napoleoni d’argento. Quindi come abbiamo letto anche loro due sono incriminati e arrestati.
Giorni prima la “famigerata masnada di ladroni” si aggirava per l’agro cesenate per trovar compagni, complici o ricettatori. Uno di costoro era Giovanni Drudi detto Bastianello che per altri delitti era amico con Domenico Brandolini alias Visino. Ai due venne l’idea, subito accolta, di rapinare la diligenza pontificia nelle vicinanze di Sant’Arcangelo poiché lì si trovava poca Forza. Intanto Visino si occupa di trovare una casa per nascondere i banditi. Il problema viene subito risolto perchè c’è la casa di Giacomo Barducci. Così, la Banda si trattiene fino a sera. Poi tuttti nella casa dei Barducci detti Mezzabotta a Montigallo.
Qui si fermano tutta la giornata del 23 mangiando e bevendo ciò che era stato loro preparato e fattasi sera se ne vanno alla volta del luogo designato al delitto, con loro anche Giacomo Barducci che aveva prestato, dietro corrispettivo di una doppia d’oro, il coltro (la lama) dell’aratro da usare per scassinare la cassaforte della diligenza.
Appostatisi lungo la strada Emilia in prossimità del Ponte cosiddetto della Giustizia, e sotto una dirotta pioggia, sulle otto e un quarto della sera sopraggiunge la diligenza Pontificia. Fermatala, armata mano, e con minacce di morte, ne fanno discendere i viaggiatori ai quali rubano denari e orologi, svaligiano l’imperiale (il portabagagli sul tetto della diligenza), asportano la maggior parte degli effetti che vi si trovano, rompono con il coltro la cassaforte della diligenza e tolgono tutto il denaro vi si trova, per cui il bottino ammonta ad oltre 2.000 scudi. Lasciati finalmente in libertà i rapinati e la diligenza, per strade traverse, ad eccezione di Brandolini che si si reca alla sua abitazione, dopo aver percepito un acconto di trenta Napoleoni d’argento, i banditi si ritrovano nella casa, in prossimità di Cesena di Giacomo Cantoni detto Miseria, cugino del bandito Cantoni, ove si dividono la preda. Drudi porta altri 30 scudi a Brandolini ed altri 5 ai Barducci. In questa casa ove erano soliti rifugiarsi si trattengono per tutta la giornata del 24 settembre, mangiando, bevendo e la sera dopo la spartizione del bottino se ne vanno. Sempre lì vengono dati alle fiamme gli oggetti che vogliono far sparire e mentre Babbini riconsegna a Morgagni la schioppa questa esplode ed i proiettili colpiscono il tetto della camera.
Da questa cronaca possiamo ricavare alcuni elementi che ci chiariscono le modalità con le quali la banda operava. La ricerca di una casa in prossimità del luogo del colpo. In questo caso è semplice perché sono tutti complici. Ugualmente il comportamento è il solito, l’ospitalità si ottiene o con la violenza, ma assai più spesso pagando. Questi contadini che vivono in case isolate di campagna sono in massima miseria, vedere, tanto denaro mai visto per poca cosa (in fondo, si ospitavano degli sconosciuti), e non pensando alle conseguenze, accettano ben volentieri. Poi ci saranno lo sgradito seguito. Denunce, processi e condanne.
Un altro particolare degno di nota è quello che questi banditi, una volta catturati e sottoposti ad interrogatorio, sono disposti a dire tutto quello che sanno ma… in cambio dell’impunità, che però non sempre viene concessa, ma loro parlano… parlano, e raccontano tutto nei minimi particolari. Sono, in definitiva, dei pentiti ante litteram! È così che noi possiamo sapere anche i particolari dei loro fatti criminosi.
Voglio chiudere con qualche parola sul personaggio, qui assente, purtroppo sempre presente e cioè il Passatore. È un assassino senza scrupoli, anzi, c’è da aggiungere l’aggravante del vilipendio ai cadaveri, che molte volte vengono fatti a pezzi e gettati chissà dove o addirittura bruciati. Cosa ci sia di cortese non riesco a capirlo. Sul giornale il Monitore Toscano del 18 marzo 1851, quindi sei giorni prima della sua uccisione vengono pubblicate le taglie poste su Pelloni e parte dei suoi accoliti. A noi interessa il suo l’identikit e l’importo della taglia.
“Stefano Pelloni, detto il Passatore, di Boncellino, di anni 30 circa (sono 27, è del 1824) statura giusta, corporatura complessa e spalle grosse, capelli scuri, fronte alta, ciglia scure, occhi neri, naso giusto, bocca regolare, mento tondo, viso tondo, carnagione naturale, barba nera con mosca al mento, rara, marcato in faccia da granelli di polvere solfurea. Scudi 3.000”.
Questi segni sul volto sono dovuti all’esplosione di un fucile che Pelloni, da ragazzo, già esperto di armi, aveva caricato sbagliando la quantità della polvere. È altresì da sottolineare il fatto che oltre agli scontri armati fra la Forza e i banditi esisteva una guerra nascosta fra omertà, spie e ricettatori. Insomma un grande segreto lavoro di spionaggio che coinvolgeva tutti. Denaro, denaro per tutti, più da parte del Passatore che delle Procure. Lui non aveva certo problemi a fornire soldi ai suoi confidenti o per un aiuto, una dritta, un rifugio.
Ecco la descrizione di come si presentava la banda in occasione di qualche invasione o rapina: “….armati di schioppi a due canne di coltelli e di stili, ciascuno di essi aveva denari in quantità e li spendevano e regalavano senza miseria che oltre il denaro… cinque altri sacchetti come quelli nei quali i mercanti tengono la munizione da caccia ne recavano piene di denaro, ed oltre ciò portavano seco loro involti di argenteria da tavola, avevano pure orecchini, anelli e pendenti di ogni qualità che tenevano nelle dita e nelle orecchie….”.
Agostino Bernucci