Quando il 4 giugno 1944 Roma fu liberata dai componenti del Sicherheitsdienst (SD, Servizio di Sicurezza), un servizio di informazione e intelligence delle SS tedesche che operò dal 1932 al 1945, furono trasferiti a Forlì e si insediarono nell’edificio del brefotrofio in viale Salinatore. Nella capitale gli stessi uomini, comandati dal criminale di guerra Herbert Kappler, il 16 ottobre 1943 parteciparono al rastrellamento di oltre 1.200 ebrei e alla loro deportazione nei campi di concentramento (ne torneranno vivi 16), dopo aver estorto alla comunità ebraica 50 kg d’oro. Nella loro sede di via Tasso praticarono quotidianamente torture a partigiani, antifascisti e chiunque fosse ritenuto in possesso di informazioni che una volta estorte potevano colpire i componenti della resistenza romana. Inoltre, il 24 marzo 1944, furono fra coloro che uccisero, uno ad uno, le 335 vittime delle Fosse Ardeatine e nelle ore in cui lasciarono Roma eliminarono, in località La Storta, quattordici antifascisti che detenevano nel carcere di via Tasso.
Il loro arrivo a Forlì e in Romagna determinò un cambiamento della strategia della repressione nei confronti dei partigiani locali accanendosi in particolare contro la popolazione civile per terrorizzarla affinché non sostenessero la Resistenza. In un’accurata ricostruzione degli avvenimenti redatta dal locale Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea si legge che il 22 giugno 1944 l’Aussenkommando della Sicherheitspolizei e del Sicherheitsdienst (Sipo-SD) di Forlì effettuò con propri uomini e altri reparti tedeschi, un rastrellamento nella zona di Piangipane (RA) contro i partigiani della 28ª Brigata Gruppi di Azione Patriottica (GAP). Nel rastrellamento furono uccisi Caruso Balella, Francesco Casadio, Francesco Drei, Enrico Donati, Aristide Sintini, Pietro Bartoletti e 9 abitanti di Piangipane furono arrestati, tradotti a Forlì e rinchiusi nel locale carcere.
Pochi giorni dopo, il 26 giugno 1944, fu effettuato un atto di sabotaggio partigiano alla linea ferroviaria tra Forlì e Faenza che provocò un deragliamento e la morte di un militare tedesco e il ferimento di altri. La mattina del 29 giugno alcuni ufficiali delle SS prelevarono i 9 uomini di Piangipane dal carcere e un partigiano, Giulio Benigni, catturato a Senigallia, e li portarono alla sede del SD in viale Salinatore dove furono fatti salire su un camion che li portò nei pressi dell’aeroporto. Le SS fecero scendere i 10 dal mezzo e li fecero sdraiare col volto rivolto a terra sul fondo di un cratere provocato da una bomba d’aereo. Poi spararono loro alla nuca. Sui corpi fu gettato un sottile strato di terra e nei giorni seguenti ad alcuni detenuti nel carcere, portati sul luogo del delitto, fu ordinato di riparare la strada chiudendo il cratere.
Nonostante l’occultamento dei cadaveri, il comando del SD di Forlì pubblicò un manifesto con il quale informava gli abitanti delle province di Forlì e Ravenna dell’avvenuta rappresaglia con queste parole: “In questi ultimi tempi gli atti di sabotaggio contro impianti militari si sono ripetuti sempre più frequentemente. Il giorno 26 giugno c.a., nelle vicinanze di Forlì, fu fatto deragliare un treno provocando la morte di un soldato tedesco, mentre parecchi rimanevano feriti. I Comandi militari Germanici non sono affatto disposti a lasciare impuniti simili atti di sabotaggio. Quale provvedimento di rappresaglia per l’atto di sabotaggio in oggetto, oggi sono stati fucilati – mediante fucilazione alla schiena – i seguenti comunisti e partigiani: Agusani Nello, Babini Domenico, Benigni Giulio, Buzzi Nello, Lolli Colombo, Mezzoli Francesco, Ravaglia Emilio, Ricci Costante, Taroni Francesco, Tascelli Giovanni“.
Un cippo in via Seganti, che dovrebbe essere restaurato, li ricorda. Dopo la liberazione di Forlì avvenuta il 9 novembre 1944 un’inchiesta dello Special Investigation Branch britannico individuò, grazie alla collaborazione di un disertore del distaccamento SD di Forlì, i responsabili della strage. Il relativo fascicolo, passato alla Procura Generale militare italiana nel 1946, fu archiviato provvisoriamente nel 1960 e fu ritrovato nel 1994 in un locale di Palazzo Cesi-Gaddi di Roma nel cosiddetto “armadio della vergogna”, nel quale erano contenuti i documenti riguardanti le inchieste per i crimini di guerra della Seconda guerra mondiale. Nel 1996 la Procura presso il Tribunale Militare di La Spezia ricevette il fascicolo e avviò nuove indagini; nel 2003, dopo aver accertato che tutti i responsabili erano deceduti o irrintracciabili, gli atti furono archiviati.
Gabriele Zelli